Messa per i cent’anni dell’approvazione pontificia dell’Istituzione Teresiana

La reazione di Gesù verso la sofferenza è sempre quella della compassione. Non si mette a certificare le cause, non giudica, non cerca colpe o responsabilità: ha compassione e coinvolge i suoi discepoli nel lavoro della messe perché ha compassione della folla. Non ne ha paura. Non mette limiti. Si commuove per la sofferenza, come per questo lebbroso. Noi abbiamo la grazia di poterci conformare a Lui e imparare da Gesù la compassione, grande libertà dagli idoli e anche da noi perché ci fa trovare noi stessi senza diventare prigionieri del nostro io ma in relazione con il suo amore e con il prossimo.

Se viviamo la compassione, dono suo che ci libera dalla paura, dall’indifferenza, dall’estraneità, compiamo la volontà di Dio, quella che chiediamo al Padre. Chiedendola ci impegniamo noi per primi a farla. Sia fatta la tua volontà significa anche insegnami a compiere io la tua volontà, perché avvenga in me secondo la tua parola e perché il mondo cambia se io inizio a cambiare. Perché chi compie la volontà del Padre impara anche a compiere la volontà del prossimo, a fermarsi, a farsi carico, a non giudicare o commiserare, a fare agli altri quello che vuole sia fatto a lui, a capire il desiderio dell’altro e farlo proprio. Gesù ascolta il lebbroso: lo prende sul serio, annulla tutte le distanze e le paure, lo tocca per eliminare tutte le distanze.

Qualcuno, diversi secoli dopo, vedendo un altro lebbroso cominciò a sentire dolce quello che gli sembrava amaro e, viceversa, a sentire amaro quello che prima gli sembrava importante e attraente! Facciamo così anche noi per le tante persone isolate, tenute a distanza da noi, dalla loro condizione, da quelle barriere invisibili ma resistentissime per cui vediamo ma restiamo distanti. Il lebbroso esprime la sua volontà, Gesù la fa sua e manifesta la volontà di Dio. Viene a salvare, non a giudicare. Ha compassione e libera dal male. Gesù non mette condizioni, non lascia possibili malintesi o equivoci, chiarisce qual è la volontà di Dio davanti alla sofferenza. Gli uomini facilmente scappano e restano a prudente distanza! Lo voglio, sii purificato, cioè liberato da quella malattia che rovina il corpo e l’anima. Il Vangelo permette di riappropriarsi della propria vita, della propria persona, del proprio corpo. Gesù non è neutrale e seguirlo significa scegliere il bene, non restare mediocri, senza amore, senza compassione.

Oggi ringraziamo per i tanti segni della sua presenza e della forza della sua volontà, realizzatisi nei cento anni di storia dell’Istituto Teresiano. Le generazioni si intrecciano molto più di quanto pensiamo. In realtà le portiamo dentro tutti noi, raccogliendo sempre dove altri hanno seminato, in una trasmissione profonda, molto umana, personale e comunitaria. La famiglia di Dio genera alla vita: è una madre che non dal sangue ma dallo Spirito trasmette la sua essenza e si comunica nel profondo.

La santità è vita, perché è amore che entra nella nostra vicenda umana, la trasforma, la anima, la trasfigura, la rende capace delle cose grandi di Dio che solo gli umili vivono e donano. I sapienti e gli intelligenti, invece, piegano le stesse capacità al proprio io e lì tutto finisce, diventa la gloria dei primi posti e delle apparenze. La santità non solo non invecchia ma ha una capacità di rigenerarsi, di donarsi proprio perché libera dal possesso, è gratuita, personale e comunitaria.

Godiamo tutti di questa storia vostra e nostra, che ci fa vivere la comunione della casa di un Padre dove tutto ciò che è mio è tuo, dove l’ideale è un cuore solo e un’anima sola, così diverso dal pensiero unico dell’individualismo e del penoso protagonismo che deve annullare gli altri per affermarsi. Tutto ciò che è mio è tuo, senza che sia meno mio e meno tuo. Il vostro carisma rivela come la Chiesa ha tanti doni quando li spende per il Signore, cioè per tutti, e sono doni diversi eppure così vicini, come i fratelli, che hanno tanti tratti in comune, tutti figli della stessa madre che si rassomigliano tanto pur essendo diversi, sono simili per lo stesso amore di Dio e perché al centro c’è Gesù e c’è questa madre. L’Associazione Internazionale privata di fedeli viene approvata da Pio XI proprio l’11 gennaio 1924, visione Regnum Christi, in un cristianesimo forte, per niente subalterno, libero dalle idolatrie – che erano fortissime – non perché mediocri, passivi, addirittura secondo la retorica dell’epoca giudicati come fiacchi e codardi ma, anzi, al contrario, più forti, da Regnum Christi, liberi dagli idoli e dai tiranni delle ideologie. Cento anni fa un inizio in pochi, non dobbiamo mai dimenticarlo, e forse oggi che sperimentiamo di più la debolezza siamo chiamati a vivere la stessa passione creatrice dell’inizio, per un nuovo inizio che non si concretizza per le sicurezze ma per la passione evangelica.

Siete una famiglia grande, 30 Presidi in quattro continenti: Africa, America, Asia ed Europa, e così continuate a cercare i più piccoli nelle tante periferie esistenziali e sociali delle nostre città, in un mondo che si è abituato a ridurre a pratiche i piccoli, che non si lascia ferire dall’ingiustizia, che  calpesta i diritti, che devono essere sempre per tutti e che pongono a tutti, ad iniziare dai cristiani, la questione del loro rispetto. A partire dal diritto dei fratelli piccoli di Gesù di essere amati. San Pedro Poveda aveva preso coscienza dei problemi posti dalla presenza, ai margini della città, di una grande estensione di grotte scavate nel tufo, dove viveva una popolazione estremamente povera.

Coinvolgeva tanti a collaborare, in una “vocazione a un particolare genere di apostolato”. Viveva nella storia, leggeva i segni dei tempi che saranno indicati decenni dopo dal Concilio come indispensabili per essere cristiani nel tempo, cioè nel mondo. Altrimenti siamo cristiani per noi stessi perché il Vangelo non è mai un “prodotto” per il benessere individuale. San Pedro vi ha insegnato a cogliere il tempo con tanta libertà, perché pieno di passione.

Scrive nel 1913: “Sappiate che questo è il momento opportuno; l’epoca è critica, l’occasione concreta. Domani? Non so se rinviando a domani arrivereste a tempo”. Capiva l’importanza della cultura per risvegliarla nel popolo, senza subalternità, senza supponenza e presunzione, in dialogo e non nello scontro. Cultura e tanto dialogo. Niente è incomunicabile, antitetico, piuttosto si tratta di realtà che si richiedono a vicenda, in un rapporto di reciprocità tale da consentire a ciascuna di esse di raggiungere il proprio specifico, armonico sviluppo, superando così, di fatto, quelle specificità che sempre rischiano di introdurre dualismi e giustapposizioni. I cristiani costituivano comunità nelle quali tutti si chiamavano fratelli e la solidarietà non conosceva limiti imposti da classi sociali o da diverse appartenenze. Qualcuno ha la convinzione che, invece, questo sia il modo per garantire l’identità o credere che l’identità porti necessariamente allo scontro. È ingannevole e, anzi, viene contrastata da Poveda che insegna a coltivare il dialogo e la conoscenza. La fede diventa sempre cultura. Fede e ragione si completano, non si escludono. Fortiter in re, suaviter in modo.

Poveda tornerà sul binomio verso il 1917: “Vi sorprende la contraddizione? Non c’è contraddizione. Soavi, delicati, compassionevoli, miti, transigenti, benevoli, amabili… verso tutti; ma forti, duri, rigorosi, fermi con voi stessi. Il fuoco dell’amore di Dio ammorbidisce e indurisce? Sottoposte alla sua azione, alcune cose diventano tanto molli da sciogliersi, altre, a mano a mano che l’azione del fuoco aumenta su di esse, diventano più dure”. L’Istituzione Teresiana permetteva alle donne di vivere pienamente la loro vocazione, affatto subalterne, nel mondo e nella Chiesa, senza essere identificate con una congregazione religiosa e neanche con un’associazione per finalità assistenziali, culturali o sociali. Poveda vuole che sia “Opera della Chiesa” e cerca di garantirne la possibilità di essere secolare e laicale, cercando un cammino nuovo nel diritto canonico e offrendo il modello per altre istituzioni. Il suo riferimento, non a caso, è la prima comunità cristiana. Nella triplice fedeltà: alla Parola di Dio, allo “spezzare il Pane”, alla preghiera, a cui aggiungerei quella ai poveri. Il gusto del sale non è dato dalla quantità ma dal sapore. I cristiani non contano perché gestiscono o si affermano, misurando il successo secondo l’occupazione di spazi, la visibilità, il potere. I cristiani sono invisibili come l’anima, ma decisivi come l’anima, liberi quindi dalle apparenze nelle varie modalità ecclesiastiche! Invisibili non significa affatto insignificanti, anzi. E sappiamo quanto questo ha rovinato i cristiani quando hanno perso ciò che sono e hanno: l’anima. Non a caso il martirio. Minoranza, ma non subalterna, forte dell’amore per Cristo che li libera dall’idolatria (sono sempre idolatrie anche quando assumono gli attraenti volti dell’individualismo…) e li lega nell’amore vicendevole e verso tutti. Per l’amore siamo riconosciuti, in una chiesa domestica, familiare, ma mai chiusa. Poveda è un martire, testimone dell’amore fino alla fine, che ha vissuto per tutti nella vita di Cristo. “Offerta senza patena e senza calice” è stata quella di Pedro Poveda.

Termino con la sua benedizione. “È facile dirsi umili e manifestare il desiderio di esserlo, ma è molto difficile la vera pratica di questa virtù. Riserviamo il rigore, l’austerità, la rettitudine, la santa intransigenza, l’asprezza a noi stessi; e cerchiamo di essere ogni giorno più austeri, più mortificati, più penitenti, più umili, più distaccati. Rimuoviamo da noi quanto, visto negli altri, ci fa indignare, ci fa spazientire, ci fa scattare; pratichiamo invece quanto è bene, quanto, visto nel prossimo, ci edifica, ci stimola e ci entusiasma. Inoltre, comandiamo molto poco, quasi nulla; cancelliamo la parola comando; chiediamo per favore, domandiamo per amor di Dio; ringraziamo chi ci compiace in una o in altra cosa; e, nello stesso tempo, dimentichi di noi stessi, facciamo molto noi, siamo i primi nell’azione, nella puntualità, nel lavoro, nel silenzio, nel raccoglimento, nella devozione, nello studio, nella carità, nel servizio al prossimo”. Ecco, sia così per voi, e possiate dare tanti frutti.

Roma, chiesa di Sant'Agnese fuori le mura
11/01/2024
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