Ordinazione diaconale di un Missionario del Preziosissimo Sangue

Il Signore ci chiama. Non fa altro e lo fa perché ci ama. Non è una chiamata generica, ma sempre molto personale. È per tutti, ma sempre unica come unico è ognuno di noi. Senza questa premessa sembra che noi serviamo a Lui e non Lui a noi. Davvero Dio ci è necessario, scriveva Paolo VI: luce nelle tenebre, speranza nell’angoscia della vita, salvezza nel pericolo, amore nella solitudine, via nel deserto, vita nella carestia, verità nell’inganno e nella fatica di trovare risposte vere. Ci chiama ad essere noi stessi. La bellezza della vocazione è proprio questa: troviamo noi stessi imparando ad amare, trovando l’amato, il perché stiamo sulla terra, cosa facciamo della nostra vita, delle nostre qualità. Non troviamo risposta nel culturismo delle tante cose da fare, dell’invasione di contatti e di immagini digitali, e nemmeno in quello spirituale di tante emozioni superficiali e individuali, ma seguendo Gesù, amando i fratelli, iniziando a farlo con dei fratelli. Sono tre dimensioni che il Signore mette insieme: l’io, la comunità, la folla. Vanno insieme e questo è rivoluzionario. Senza l’io saremmo mano d’opera, senza i fratelli saremmo soli, individualisti, senza la comunità diventeremmo un club o un muro. Gesù e i fratelli ci aiutano a trovare chi siamo. Ti accompagnano Anna e Nino, uniti nella pienezza di quella comunione dei santi che viviamo già tra noi e che contempliamo nelle nostre relazioni, sempre tanto più grandi e piene di significato, del nostro cuore.

I tuoi e questi altri fratelli: hai trovato quello che cercavi. Sarai coinvolto nel servizio all’altare della presenza del Signore in mezzo a noi, di quella tenda che si crea intorno all’altare dell’eucarestia, così come a quello del servizio, anch’esso eucaristico e altare. Mosè chiama perché altri assumano l’incarico suo e quello di tutta la comunità, prestando servizio alla dimora. E lo sai bene aiutando, con tanta attenzione, molti ministranti a rendere servizio all’altare. In questa tenda, in questa casa, accolti tutti come Maria e da Maria (ricordiamoci sempre che non si ha Dio per Padre se non si ha la Chiesa per madre. Non anagrafici ma reali, direi affettivi, amando il significato ma anche l’umanità concreta, limitata, fragile così com’è) capiamo meglio che siamo un corpo, un solo corpo in Cristo. Facciamo fatica perché viviamo in un mondo di isole, individualista, predatore e consumatore di cose e persone ridotte a oggetti da possedere. Un mondo fragile e violento. In questa casa, nella sua casa, dove due o tre sono riuniti nel suo nome, siamo aiutati a pensarci insieme e a sperimentare la gioia di questo stare insieme che non solo non riduce il nostro io, ma lo completa. L’amore vero è così, insieme, mentre quello pornografico dell’esibizione di sé, del possesso, delle apparenze, del prendere, del consumare, deve affermarsi da solo. E che amore è quello che prende invece di donare? In un mondo dove la mediocrità avanza, in un mondo dove il calcolo egoistico prende il posto della generosità, l’abitudine ripetitiva e vuota rischia di sostituire la fedeltà vissuta come continua novità del cuore e della vita, tu doni a tutti gratuitamente ciò che gratuitamente ti è stato dato, vuoi testimoniare la bellezza di una vita disponibile verso gli altri, di una vita che si dona ai fratelli, sull’esempio di Gesù.

Non sei e non sarai perfetto, ma farai sempre vedere l’amore di Gesù, che rende perfetti, perché pieni di lui, pure le nostre povere persone. Siamo membra gli uni degli altri. Il relativismo cristiano è il contrario di quello del mondo che pensa tutto in funzione di sé e crede di stare bene così, e ci aiuta a fare esattamente il contrario. Ecco la radice del servizio, che è chiesto a tutti e che per te diventa il diaconato. Cosa ce ne facciamo, altrimenti, dei doni che abbiamo se non servono, se non sono utili? Non ne troviamo altri? Non ne vediamo l’utilità spendendoli? Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Non uniformità ma nemmeno doni solitari, che diventano protagonismo, prestazione, esibizione e che servono all’io e non all’insieme. Diamo la vita, perché serviamo, perché l’amore non tiene nulla per sé. Ogni cristiano è chiamato ad amare ed è chiamato a dare la vita, perché generato da Gesù che ha dato la sua per noi, amando senza riserve. Mettete la vostra vita a disposizione di un amoroso servizio alla Chiesa e al mondo, insieme, perché la stessa Chiesa non si pensa da sola, non vive per se stessa ma per annunciare il Vangelo del Regno e guarire ogni malattia e ogni infermità, spirituali e del corpo, che vuol dire che tutte possono essere guarite, e tutti ne hanno diritto. Guarire significa che questa immensa sofferenza che è nel mondo ha una medicina, la più vera, la più grande: l’amore. Come inizia? Da Gesù, l’unico che vede le folle e ne sente compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Per questo cercò persone che si mettessero a lavorare, operai, servi, e chiese di pregare il Signore perché mandasse operai nella sua messe! Ci aiuti tutti a metterci a lavorare. Guardando tanta sofferenza, come non fare qualcosa? La folla è del Signore, non è vero che non è di nessuno.

Se la folla è senza pastore Gesù non la lascia così, mostra chi è il buon pastore, cerca uno per uno e se qualcuno manca va a prenderlo. Gesù non si mette a giudicare la folla, magari solo per giustificare il non fare nulla. Non dice come sono arrivati ad essere senza pastore, ma chiede di lavorare, che è servire, perché sono stanchi e sfiniti. Chi cerca e non trova, non lo condanna ma lo aiuta. Ma le sue pecore sono le nostre. Ha bisogno di noi perché tanti hanno bisogno, soffrono, anche se ci mettono paura o li guardiamo negativamente senza compassione. Solo questo fa capire la folla e anche noi: il primo a fare il servo è lo stesso Gesù, servo che si mette a nostra totale disposizione, mite e umile. L’ospedale da campo. La folla è parte della nostra chiamata, è da amare non da scacciare, e da essa non ci si deve difendere. Annunciare Gesù e servire la carità, parola e poveri, vangelo e pane, sempre con gioia e gratitudine. Dona il tuo sangue, la tua passione, il tuo cuore per dare cuore. La compassione te la insegnano tanti fratelli e sorelle e San Gaspare del Bufalo. Troverai tanti Antonio Gasbarrone di Sonnino, e molti ragazzi con lui, il più famoso, tanto da essere chiamato il re dei briganti. “Impasto di bonomia e criminalità, accozzaglia di ferocia e cavalleria, terribile agli uomini e ai governanti, s’imponeva a tutti i suoi gregari. Dalla corporatura gigantesca, dagli occhi scintillanti, maestro in trovate originali e fantastiche, ora vestiva impeccabilmente da gran signore, ora attillato nella scintillante divisa da ufficiale, or da pecoraio, or con la tonaca da frate. Il suo nome affascinava una certa gioventù, pronta a tutto, pur di far parte della sua banda”.

S. Gaspare coraggiosamente si inoltrava negli anfratti alla scoperta delle caverne, li scovava, parlava un linguaggio d’amore e mitezza. È la passione, la compassione, non il coraggio! Nessuno aveva mai parlato loro così! Avvinti da tanto eroismo, affascinati come da un essere arcano. Gaspare aveva capito di aver scoperto il loro punto debole e scrisse al Papa, perorando la loro causa. Quanta violenza, nelle mani, nei cuori, nelle menti, in loro e in chi pensa di combatterli con le loro stesse armi. “Un giorno aveva incontrato dei gendarmi che portavano sul somaro, gettato come un sacco, il cadavere di un brigante ucciso e continuavano a dargli pugnalate, come fosse ancora vivo. Inorridito supplicò il Papa che, anche per un senso di civiltà, oltre che di pietà cristiana, si cominciasse a dare ai briganti una conveniente sepoltura, anziché portare in giro le loro teste, come tanti trofei di vittoria, infilate sulle picche, ed appenderne i cadaveri nelle piazze, istigando la popolazione e i monelli a punzecchiarli e a farne scempio con sadica efferatezza”. “La devozione al sangue di Cristo – scriveva – apre le porte della divina misericordia; se i popoli ritornano nelle braccia della misericordia e si mondano nel sangue di Gesù Cristo, tutto il rimanente facilmente si accomoda”. Questa è la chiave per intenerire i cuori all’accoglienza del Vangelo e portarli a una sincera conversione, “l’attestato d’amore di un Dio fatto uomo”.  Gaspare viene accusato a Roma di tener prediche fredde e di non parlar mai contro il brigantaggio, trasgredendo gli impegni che si era assunto nell’aprire le Case di Missione in Ciociaria, tanto da essere accusato di favoreggiamento ed amicizia con i banditi. Il Signore ti doni di essere sempre forte nell’annuncio del Vangelo e nel servire i poveri. “Di tutti i Cuori si formerà un Cuor solo nell’adorabile Costato di Gesù Cristo. Il Sangue dell’Innocente Agnello ci riconcilierà coll’eterno divin Genitore, e il fuoco santo dell’Amore di Dio purgherà così le nostre Anime, che addiveranno fornace ardente di Carità”.

Chiesa di Maria Regina Mundi
12/01/2024
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