Messa per il 50° della Comunità di Sant’Egidio

Questa sera contempliamo. Papa Francesco ci invita spesso ad avere uno sguardo contemplativo. Noi penseremmo cercare una dimensione lontana dalla vita. Al contrario la contemplazione è aprire gli occhi della fede, quelli dei due discepoli di Emmaus che distinguono finalmente la vita intorno, che riconoscono le persone e le sanno amare perché accesi loro di amore e di speranza. Gli occhi della contemplazione sono quelli pieni di amore che vedono nel profondo, che accendono tutto con l’interesse per cui tutto è importante e “bello”. Contempliamo gli anni e i tanti doni, sia in termini personali sia per quella persona che è la comunità, iniziata da Andrea Riccardi, davvero giovanissimo. Quanto è vero che solo chi ama conosce Dio e quando pensiamo di conoscerlo riducendola senza amare diventa una regola, una consuetudine, una verità senza vita. Contempliamo la vocazione della Comunità di Sant’Egidio nel suo giubileo, occasione di ringraziamento per il passato ma anche di tanta consapevole responsabilità per il futuro, come un nuovo inizio. Contempliamo le meraviglie della sua grazia liberi dal protagonismo, così banale all’epoca con esplosioni di entusiasmo che poi si perdeva e non diventava legame, scelta, responsabilità.
Siamo consapevoli che “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi”. La sua grazia, i suoi doni ci confermano che il suo amore è tanto più grande del nostro cuore. E’ sua la forza che ha protetto e guidato, forza che rende tutto possibile, per la quale tutto ci riguarda, si unisce alla nostra vita intesse le relazioni con situazioni diversissime, insegnandoci a non fare preferenze di persona perché tutto è importante nel cuore di Dio, i poveri e i ricchi e sforzandoci di trovare per ognuno il suo linguaggio.
Contempliamo i tanti frutti e anche come la nostra stessa vita è diventata un frutto, al di là di ogni aspettativa. Una comunità senza confini, che significa anche ruoli convenienze, opportunismi, logiche alla moda o scorciatoie ideologiche, che unisce globale e particolare, che rende familiare il mondo e allo stesso tempo fa capire il piccolo senza chiusure e senza paure. Il globale inizia in uno sguardo misericordioso verso l’altro, quell’uomo o quella donna, quel barbone o quel vecchio, per diventare artigiano di pace e profeta di misericordia, perché quella persona diventa prototipo non virtuale di tutti quelli come lui.  In lui c’è l’universale e con lui possiamo capire davvero il mondo intorno, tutto.
Non si ‘celebra’ il giubileo per formalismo ma per ripensare la nostra comune storia di Chiesa. Davvero Dio non fa preferenze di persone. Il mondo sì. Sceglie le apparenze, l’immagine, preferisce i risultati immediati e facili, considera perduti quelli che richiedono impegno e sacrificio. Ringraziamo perché per Dio siamo tutti suoi, diversi ma allo stesso tempo tutti suoi, tutti un dono da proteggere, aiutare ad esprimere, da capire, tutti da amare perché solo così il dono che siamo ognuno di noi può fiorire e maturare. Per la comunità è sempre stata così forte la consapevolezza che tutti possono essere raggiunti dall’amore del Signore senza le esclusioni a volte sottili, altre volte credute giustificate dalla paura o nascoste dall’indifferenza. Tutti sono i molti che già fanno parte della mensa eucaristica perché il Signore versa il suo sangue per noi e per loro. Ce li indica perché partecipino anche loro alla mensa. Anzi: già ne fanno parte!
Dio non fa preferenze, ama tutti e ci insegna ad amare tutti, che significa anche dare valore ad ognuno, restituire quello che l’ingiustizia toglie. La Comunità non ha mai smesso di amare le differenze, di cercare conoscerne la storia e di gustare la ricchezza di ognuno e allo stesso tempo ha tessuto quella rete di amore che viene dal Vangelo, dall’amare il prossimo come noi stessi, da unire l’amore per Dio, lo spirituale, l’ortodossia all’amore per l’altro, all’ortoprassi, all’incontro con quel sacramento eucaristico che sono i poveri. La preghiera e la vita. La misericordia e la pace. Maria e il samaritano, il piccolo e il grande. San Francesco ci ha sempre aiutato, lui che sentiva familiare la stanza del mondo. Non smettiamo di scoprire la gioia e la responsabilità di essere amici e non servi che non sanno e quindi possono sempre rimandare, scaricare ad altri, nascondersi dietro le competenze, il mansionario, il terribile “sono forse io il custode di mio fratello” o “a me che importa” di una fede individualista, ridotta a benessere individuale o a verità senza l’amore di cui ha sempre bisogno. La verità senza amore diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona. Chi ama conosce Dio, capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo. Il servo coltiva il sottile gusto di essere padrone. Capiamo quanto il Signore ci ha chiamato amici molto prima della nostra consapevolezza e non ha smesso di farlo affidando un talento che crediamo dobbiamo spendere.
Il Papa ha detto: “Non avete voluto fare di questa festa solo una celebrazione del passato, ma anche e soprattutto una gioiosa manifestazione di responsabilità verso il futuro”. La fede è chiamata a diventare nuova audacia per il Vangelo. “L’audacia non è il coraggio di un giorno, ma la pazienza di una missione quotidiana nella città e nel mondo. È la missione di ritessere pazientemente il tessuto umano delle periferie, che la violenza e l’impoverimento hanno lacerato; di comunicare il Vangelo attraverso l’amicizia personale; di mostrare come una vita diventa davvero umana quando è vissuta accanto ai più poveri; di creare una società in cui nessuno sia più straniero. Il segreto di questa storia è molto semplice: essere rimasti legati alla vite e aver accolto la linfa che da essa promanava. Rimanere con il Signore non è statico, conservativo, ma la dinamica antica e sempre nuova di ascoltare la Parola di Dio e lasciarsi guidare da essa, di riconoscere la presenza di Cisto nei fratelli e nei poveri, di spezzare il pane con intelligenza, di porsi il problema di dare frutti e di non accettare una vita sterile, che vive per se stessa. La Parola è stata la luce che ha illuminato i passi della Comunità in questi cinquanta anni. Una luce che ci ha permesso di leggere in profondità la vita delle nostre città, le vicende di questo nostro mondo, soprattutto quelle più dolorose, facendole incontrare con il Vangelo dell’amore. Davvero “nulla è impossibile a Dio”, nulla è impossibile all’amore. Abbiamo una speranza da spezzare con gli altri. E con umile ma ferma convinzione sentiamola gioia di camminare con Lui per le strade del mondo.
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

06/05/2018
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