Messa per il 75° anniversario Giuseppe Fanin

Il profeta Malachia ci pone in maniera diretta una domanda di Dio: “Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro, profanando l’alleanza dei nostri padri?”. Perché? Sentiamo questa domanda decisiva in un momento nel quale vediamo evidenti le conseguenze terribili della perfidia, che contrappone le persone, le nazioni, che induce ad alzare i muri, nutre il pregiudizio rendendolo verità, insegna a fare confronti invece di stimarci a vicenda, a guardare la pagliuzza invece di cercare la bellezza che l’altro sempre porta con sé.

La perfidia porta ad alzare le mani contro il nostro fratello che diventa nemico. Eppure siamo creati dall’unico Dio, tutti in realtà fragilissimi e tutti sulla stessa barca, mendicanti di vita e bisognosi di aiutarci. Siamo tutti figli di un padre. Quanto è vero che avere solo un padre in cielo ci aiuta a capire che siamo tutti fratelli. Non ci salviamo da soli e solamente se salviamo tutti salviamo noi stessi. Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato sono severe. Gesù vuole ferire l’orgoglio, la presunzione dei grandi, di coloro che si esaltano da soli, di chi lega fardelli pesanti sugli altri e non fa loro quello che invece vuole sia fatto a sé.

Gesù vuole liberare dai giudizi, dalla cura spasmodica delle apparenze e non dell’interno. Non permette che mettiamo carichi insostenibili, senza misericordia, prove per dargli fiducia, esigenti e senza amore verso il prossimo, ma accondiscendenti, comprensivi, pieni di giustificazioni. Gesù non vuole che le opere siamo fatte per “essere ammirati dalla gente”, per esibizione, protagonismo, vanto, narcisismo, quella che chiameremmo vanagloria. Anzi, farlo così fa perdere quello che resta. Non ascoltano l’unico maestro che insegna a fare le cose per amore, gratuitamente, solo perché è utile agli altri.

Lo sappiamo: quante occasioni perse per orgoglio, per sentirsi importanti e non rendere importanti, per far vedere le proprie capacità, non perché servono agli altri ma solo per esibizione di sé, e lo faccio solo se mi conviene, non se conviene. Ci si esibisce con chi ha qualcosa che pensi ti renda importante. Se il maestro è uno solo, ed è il vero maestro che insegna a vivere bene e che ci rende persone, siamo tutti fratelli. E quanta gioia c’è nel riconoscere nell’altro, chiunque esso sia, un fratello, una sorella, e anche nell’essere noi riconosciuti da lui. Manzoni lo sintetizzava dicendo: «Fate del bene a quanti più potete (…) e vi seguirà tanto spesso d’incontrar de’ visi che vi mettono allegria».

Non fate niente e nessun viso vi metterà allegria, tutto diventerà insignificante, facilmente ostile! Ecco perché Gesù rivolge questo invito che sembra deprimere il nostro onnipotente, idolatrato “io”, che nutriamo di tanti prodotti benessere e così finiamo, in realtà, per maltrattarlo, sciuparlo, perché non si accontenterà mai, perché cercheremo di dominare senza capire insieme il senso delle cose. Quello che cerca è l’amore, umano, vero, esigente perché amore, che spiega il dovere perché lo faccio per amore, che ci fa diventare migliori e ci rende quello che siamo e che capiamo non da soli, allo specchio, ma solo guardando il prossimo e perdendoci per lui.

Vediamo le conseguenze di un mondo così. La manifestazione del male nella violenza e nella guerra rivela sempre le complicità e le responsabilità che finiscono per armare le mani e i cuori, caricare di odio e di morte. La rabbia diventa morte se non è dominata, l’etica non deve mai essere messa in discussione e non si deve mai superare la vera linea rossa che è quella dei diritti, del rispetto, della sacralità della persona.

Chi ama Dio ama il prossimo e amare Dio ci libera dalla paura di perdere, che il servire sia buttarci via e ci libera dall’orgoglio ci rende padroni di noi. Per amarsi bisogna amare. Ecco, allora, questa affermazione liberante di Gesù: «Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». L’umiltà è una virtù che non gode di grande stima. Deriva da humus e indica vicinanza alla terra. E, allora, dobbiamo dire che chi è umile sta con i piedi per terra, non si gonfia, non ha paura di essere quello che è. Se siamo liberi dall’idea della ricompensa, e impariamo a regalare e non a fare tutto per la nostra considerazione, troveremo tanto amore, che è l’unica vera ricompensa ed è gratuita. Per arrivare in alto bisogna restare bassi, semplici, umani. Dio è innamorato dell’umiltà. I grandi dominano e possiedono.

I piccoli, gli umili, amano e sono amati. Ecco perché il cristiano compie cose grandi. Giuseppe Fanin era un cristiano. Portava nel cuore i dolori della  guerra e ne vedeva le conseguenze. Era cristiano senza subalternità, uomo di fede, laico che aveva il vangelo nel cuore e ascoltava quel maestro, per questo non si faceva maestro che dava lezioni ma cercava quello che avrebbe cambiato la vita dei contadini, dato dignità, lavoro. Il Cardinal Caffarra giustamente sottolineò il suo spirito di preghiera, parlando di «spiritualità solida e semplice», la pratica del Rosario quotidiana. In mano gli troveranno la corona del rosario, che è solito recitare nella biciclettata di sei chilometri da Persiceto a casa sua. Una grande fedeltà ai sacramenti della fede, Confessione ed Eucaristia. Quando era malato, a Castelfranco andava ad assistere gli anziani della casa di riposo!

Chi ascolta l’unico maestro fa le cose non per sé  ma per gli altri e, quindi, anche per sé! Non usa il prossimo, lo serve. Essere servi e cristiani non porta fuori dal mondo, non chiude in intimismi spiritualistici. Aveva studiato progetti di ordine sociale, prospettive di sviluppo. Il cristiano che serve traduce l’amore in cultura, conoscenza, concretezza. Fanin elaborò i suoi programmi sociali per rinnovare, secondo la dottrina sociale della Chiesa, quel mondo agrario che era il suo. La sua morte è frutto dell’odio insensato ma anche della pratica della violenza, di tante mani che diventarono quelle di Caino. Questo ci deve sempre ammonire su dove arrivano i pregiudizi, le ideologie, le polarizzazioni che perdono l’insieme. Fanin ci ricorda di non lasciare il mondo com’è, di essere cristiani che non fanno per sé ma per gli altri, che cercano il bene vero perché questo mostra la nostra veste più bella e il primo posto. Non separiamo ciò che si celebra alla domenica da ciò che si vive il lunedì. La fede diventa modo di vedere il mondo, di cercare il riscatto degli ultimi, di far migliorare le condizioni. «La fede che non diventa, o meglio che non genera cultura, non è viva», ricordava spesso San Giovanni Paolo II.

Fanin è un cristiano che non ha smesso di esserlo fino alla fine, che ha avuto cura di esserlo e per questo non faceva cose per opportunismo ma perché utili. Non basta avere buone idee. Occorre tanto lavoro di preparazione. Oggi esaltiamo lui, e lui ci esalta ricordandoci quello che conta, in un tempo di ricostruzione che chiede cristiani capaci di servire, liberi dalla deformazione penosa dei primi posti e dall’esibizione di sé e, proprio per questo, capaci di cose grandi.

San Giovanni in Persiceto, chiesa collegiata di San Giovanni Battista
05/11/2023
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