Veglia in occasione della Giornata nazionale di preghiera per le vittime degli abusi

La preghiera è una parte centrale e importante del processo di guarigione per le vittime e per tutta la comunità dei credenti, ed è un modo significativo per aumentare la consapevolezza della Chiesa e renderla più sensibile. Non smettiamo mai di interrogarci su chi è il mio prossimo. La domanda ci aiuta a scoprirlo e a riscoprirlo di nuovo, a capirne il dolore. Il nostro prossimo è qualcuno che rendiamo tale, facendo nostra la sua richiesta esplicita, o muta, di avere qualcuno che si faccia prossimo, anche nel senso fisico del termine, cioè che si avvicini, che non resti prudentemente a distanza, che non giudichi o si protegga.

La differenza è quando il “caso” di passare proprio lì non resta solo un caso ma diventa una grazia, un incontro che cambia la vita di tutti e due, del samaritano e dell’uomo mezzo morto. Niente resta un caso se amiamo. La sofferenza ci fa scoprire il nostro prossimo, quella persona che disperatamente cerca e grida con la sua condizione la sua richiesta di aiuto. Bisogna saper ascoltare prendendo il tempo necessario, per capire certi silenzi che sono in realtà richieste di aiuto, silenzi che a volte richiedono silenzio, vicinanza, prudenza, rispetto, attesa. E ringrazio di cuore quanti lo fanno nei centri di ascolto, con professionalità e tanto amore.

Occorre dare voce al silenzio. La compassione ci fa ascoltare parole altrimenti non ascoltate. A quella persona i briganti avevano portato via tutto. Gli abusi spogliano delle cose più preziose: la dignità del corpo e dell’anima, la fiducia negli altri e in se stessi, la gioia di qualcosa di bello, l’entusiasmo dell’incontro, la passione di abbandonarsi all’amicizia. Quei briganti rovinano la bellezza, la sporcano, usando la persona, perché l’abuso inizia sempre con un uso distorto. E l’abuso spinge a usare.

Spesso c’è un’istigazione al brigante: è una società che toglie valore alla vita perché cerca solo quella che si afferma, la priva della sua sacralità, rende il corpo un oggetto, spinge a possedere, a idolatrare la propria soddisfazione, a rimuovere il peccato che è sempre il male con cui umilio la vita del prossimo, e quindi anche la mia, che rende tanto spazio alle dipendenze che producono sempre relazioni tossiche. La nostra società spinge ad una pornografia delle relazioni segnate dalla prestazione, dall’interesse, dalla rapidità dei rapporti per cui si pensa che non vi siano conseguenze a quello che viene fatto o detto, quasi non ci si rendesse conto, mentre tutte queste cose sempre e comunque segnano nel profondo. Quanto narcisismo riduce il prossimo a specchio del proprio imperante io, induce alla cupidigia del possesso e a non capire il limite! I briganti feriscono l’anima, la spogliano di dignità, fanno sentire sporchi o fanno vedere tutto sporco, spengono la bellezza delle relazioni fraterne e amicali.

La cosa peggiore dei banditi è quando questi sono coloro che si credevano buoni e amici. È l’amarezza causata dal tradimento, che ferisce l’amicizia e inquina la bontà. Proprio tu, che mi eri amico! Il dolore delle vittime degli abusi è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui!

Quanta superbia, quanta autosufficienza!», disse l’allora cardinal Ratzinger. La persona ferita e svaligiata non ce la può fare da sola. Ha bisogno di qualcuno che si fermi, che se ne faccia carico. Invece “Quando lo vide, passò oltre!”. Come è possibile? Il sacerdote e il levita forse pensarono che non era niente, che lo faceva apposta, lo conosco, se l’è cercata, non mi riguarda, non è possibile, non è vero nulla, poteva stare attento. Passano oltre, credendo così di difendere se stessi, non considerando le conseguenze del loro gesto. Questo fa perdere l’altra metà della vita, è davvero complice dei banditi, spegne la luce della speranza che qualcuno si prenda cura di me e mi ridia fiducia. La differenza è la compassione. «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12, 26). E quella persona non è un estraneo, è nostra. Il paternalista che non si ferma, commisera, si accontenta delle sue emozioni perché non si rende conto o non si vuole rendere conto. Non vuole chiamare le cose con il proprio nome, non accetta di vederle da vicino, di capirle e soprattutto di farle sue. In realtà bisogna solo farsi carico, capire la sofferenza e così ridare la vita e combattere i briganti. C’è un albergo dove il samaritano porta quella vittima.

Mi piace pensare che sia l’ascolto e la giustizia di cui abbiamo bisogno per sanare le ferite, per capirle, per il tempo necessario a chiuderle. Farsi carico significa coinvolgimento di tutto quello che è necessario. Ma la giustizia ha sempre bisogno della misericordia, di quell’amore che solo può restituire la bellezza, che può chiudere le ferite perché non restino aperte o perché non diventino definitive perché non curate. Le cicatrici sono occasione di vita non di morte, così l’amore trasforma il male in bene. È questo che affranca la vittima, che trova guarigione, non resta prigioniera del passato. È la misericordia che affranca e restituisce la piena bellezza della luce, altrimenti si vive con il rischio di vedere banditi ovunque, di vedere tutto buio con incredulità e diffidenza, ed è anche questo tra i frutti peggiori del male. Serve la giustizia, non il moralismo o il giustizialismo che fa più male perché deforma la giustizia.

Padre tu non passi oltre. Non hai paura di fermarti, di farti carico, di scendere nel profondo delle ferite, anche quelle invisibili e inconfessate. Grazie Signore perché non vai oltre e ci insegni a fermarci, a chiedere perdono per le complicità, a ritrovare il prossimo, e a far ritrovare il prossimo che trasmette luce e bellezza di amore. Preghiamo per quanti hanno subito abusi da parte dei tuoi ministri, perché si sentano guariti con il balsamo dell’amore della speranza. Perdonaci quando non affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità e ti chiediamo che la consapevolezza diventi sincera domanda di perdono. Insegnaci l’intelligenza per contrastare i banditi, comunque essi si presentino, e a curare le ferite con passione per vivere la gioia di amarci gli uni gli altri e di servici come Tu ci hai chiesto, perché l’ultima parola non è il male ma la forza del tuo amore. Amen

Bologna, Cattedrale
09/11/2023
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