La comunione dei santi è un legame intimo, sorprendente, anticipo di quello che vivremo pienamente nel cielo, presenza e relazione fisica di amore. Gesù è in mezzo a noi e con Lui viviamo oggi la pienezza dell’amore, nella casa dove tutto ciò che è suo è nostro e dove è andato a preparare un posto per ciascuno. Ci aiutano, ci confortano, ci guidano nell’oscurità minacciosa della vita, ci relazionano con Dio perché un santo parla di Lui e ci porta a Lui. Questa sera viviamo un’occasione unica di comunione dei santi insieme ad un martire che ottant’anni fa venne barbaramente ucciso: don Mauro Fornasari. Don Mauro è un figlio prediletto della nostra Chiesa di Bologna e di questa Parrocchia di Longara. Qui, nei pochi mesi del suo servizio diaconale, si è rivelato fratello e amico di tanti ragazzi, attento verso ogni sofferenza, generoso verso chi lottava per la giustizia e la libertà. Si stava preparando al sacerdozio in uno dei momenti più tragici del nostro Paese, nei quali la lotta tra luce e tenebre, il duello tra morte e vita rivela la grandezza dell’amore o la pavidità di chi scappa, perché siamo vagliati come grano e possiamo salvare noi stessi o salvare l’amore.
In questi anni ci ha aiutato il ricordo fedele e affezionato di alcuni suoi compagni di seminario, specialmente di don Dante che finché ha potuto, anzi anche quando era molto impedito, ha sempre voluto ricordare con tanta commozione la grandezza del suo amico diacono. Mons. Luigi Bettazzi – cresciuto assieme a don Mauro e nato nello stesso anno – ammirava questo ragazzo (ventidue anni!) per “la sua pietà profonda e coinvolgente, come per la sua umanità e la freschezza della sua vitalità”. Egli esprimeva apertamente, con l’amore per la Chiesa e con la chiarezza e la libertà che lo hanno sempre contraddistinto, il rammarico per “non avere indagato per saperne di più, riservando di fatto la memoria ai parenti e a quanti lo avevano conosciuto, tra le esitazioni del resto della Diocesi. La Chiesa bolognese aveva dimenticato per non associarsi a chi ne aveva fatto la sua bandiera”.
Come per Marzabotto, per don Giuseppe Lodi furono piuttosto don Gherardi, don Giuseppe Dossetti, don Mario Lodi a tener viva la memoria e a farne occasione di consapevolezza, di ascolto, di scelta, per imparare da questi testimoni così evangelici. Ricordiamo le responsabilità nell’odio di quei mesi terribili, frutto dell’ideologia pagana del fascismo e del nazismo, dell’irrisione dei diritti umani, in nome del nazionalismo distorto, che tanto avevano intossicato le menti e i cuori delle persone. Don Mauro si opponeva per amore di Cristo. Non possiamo oggi non provare orrore per la ripresa di violenze di vario genere e orientamento, di distruzione dell’altro, di visioni che non ammettono l’incontro e hanno paura del dialogo, spesso violente e che di fatto favoriscono la convinzione che solo le armi e la forza possono risolvere i problemi. Si sceglie l’annientamento dell’avversario con l’illusione così di combattere il male.
Si accetta la forzatura del diritto e delle regole piegandole alla convenienza personale. Non sappiamo scegliere quello che unisce accentuando, invece, quello che divide. Solo quando conviene si chiede l’accordo con l’avversario per il bene comune per poi dileggiarlo nella pratica, decidendo da soli e imponendo il proprio punto di vista a tutti i costi. L’odio, la prevaricazione, la mancanza di rispetto, da quello elementare del corpo dell’altro o delle sue convinzioni, sono segnali inquietanti che richiedono ai cristiani di essere forti operatori di pace, di non farsi intimidire e tanto meno coinvolgere da questo clima, e di mettere sempre al centro la persona umana, perché in ognuna c’è Cristo, immagine di Dio.
La libertà che don Mauro viveva era proprio quella del cristiano, quella dell’amore per tutti, per ogni persona sofferente e per quanti cercano la giustizia e la speranza. È questa libertà che lo portava ad aiutare i partigiani come chiunque si fosse trovato in pericolo. Il cristiano all’uomo mezzo morto non chiede responsabilità, appartenenze, meriti, ma lo aiuta solo per la sofferenza. È per amore del servo sofferente Gesù che don Mauro è diventato lui stesso uomo dei dolori, dopo quell’orto degli ulivi terribile dell’ultima notte, aspettando l’ora delle tenebre della quale era consapevole e dalla quale non voleva scappare. “Se questa è la mia ora io devo restare. Non dovevo scappare ieri sera”, disse. “Sentiva che doveva chiedere perdono al Signore per non avere saputo accettare il suo momento e doveva pregare per trovare la forza di affrontare tutto quello che aveva deciso per lui”. Come Gesù, alla fine ha detto: “Ecco il mio momento, sono pronto”. Questo spiega il suo consegnarsi come agnello al macello, scelta dolorosissima per non essere accusato di aver voluto “salvare se stesso” scappando, per non apparire vigliacco o per evitare che altri, penso ai suoi familiari anzitutto, potessero essere coinvolti. Mi ha colpito, peraltro, il particolare che il babbo Cleto aveva proposto a quei vigliacchi e violenti squadristi di prendere lui al posto del figlio.
Don Mauro conosce bene la sofferenza, l’ha affrontata per sé senza scappare, offrendo se stesso in “espiazione”. Come ha fatto Gesù. Fermandoci con lui vedremo anche noi, come dice il profeta, “la luce e ci sazieremo della sua conoscenza”. Ha mantenuto ferma la professione della fede, don Mauro, “forte per un sommo sacerdote che ci trasmette forza vera perché ha preso parte delle nostre debolezze”. È stato davvero grande don Mauro perché ha servito fino alla fine. Chi vuole diventare grande sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Gesù è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti. La testimonianza di amore di don Mauro – a cui ci affezioniamo come ad un parente caro – torturato fisicamente, ci ricorda quanti sono torturati non solo da bande di violenti ma anche da eserciti. Non possiamo acconsentire che la tortura diventi pratica accettata normalmente! Non c’è stata, infine, una richiesta di perdono per don Mauro da parte del mandante e degli esecutori. La famiglia di don Mauro ebbe la forza di donare un perdono sincero, sempre senza smarrire il senso profondo della giustizia terrena. È l’atteggiamento dei cristiani. Non dobbiamo però cercare con fermezza tutti i modi per contrastare l’abitudine alla violenza, che poi passa facilmente alle menti e alle mani?
Non dobbiamo favorire tutto quello che neutralizza l’odio e la divisione, il rancore e la rabbia, praticando l’arte del pensarsi insieme tra diversi, esercitandoci a capire le ragioni dell’altro, cercando e offrendo il perdono ma anche chiedendolo con insistenza perché solo questo può sconfiggere l’odio, le ferite profonde della violenza? Non è anche questo servire il prossimo? E non dobbiamo parlare a tutti di Gesù, il motivo per cui perdonare e non odiare, scegliere la misericordia e la giustizia e non la vendetta? Gesù è il segreto che spiega tutto, perché è il più grande che si fa piccolo e fa vincere la paura come solo l’amore può permettere.
Don Mauro, giovane entusiasta, ci liberi dalle misure falsamente equilibrate. Don Mauro, fragile e fortissimo, ci doni di non lasciarci intimorire da nessuna ideologia e di essere quello che Gesù ci ha chiesto: amore per tutti. Don Mauro ci mostra come vive e muore un cristiano e un diacono, come Santo Stefano, facendo in tutto la volontà di Gesù perché nutrito della Sua Parola, e così già vede quello che non finisce, l’essenziale della vita presente e futura. Tanti scelgano di dare la vita come don Mauro per Dio e per il prossimo, e possano trovare nella comunità persone grandi, perché con cuori appassionati e generosi nel servizio. Tanti rispondano alla vocazione del Signore per combattere il male con l’amore. Sia così anche per noi.