Messa per la Domenica della Parola

Ringraziamo Papa Francesco per aver voluto, con insistenza, la Domenica della Parola e per poterla vivere nell’anno del Giubileo. Il giorno del Signore ci permette sempre di fermarci, di liberarci dagli affanni che tanto ci condizionano, ci incattiviscono, ci rendono banalmente vittimisti, e ci riunisce dalla solitudine e dalla dispersione della nostra vita. La domenica è il giubileo della settimana, così importante per comprendere il tempo, per imparare a contare i nostri giorni, per sperimentare il ristoro del Signore, tanto necessario a noi pellegrini in questo mondo. Come ad Emmaus, il Dio pellegrino spezza prima la Parola e poi il Pane per farci ardere il cuore ferito, chiuso nella tristezza, e per aprire i nostri occhi incapaci di riconoscere la Sua presenza. Fermarsi, fare silenzio, curare l’anima, l’interiorità, per imparare a vivere e ad amare.

Oggi celebriamo la Domenica della Parola, di quelseme di vita che non finisce, perché «chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna» (Gv 5, 24). Non si può venerare il Corpo di Cristo senza fare lo stesso con la Sua Parola. San Francesco aveva un concetto sacramentale della Parola di Dio. Egli ordinò di «venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo» (1Lcus 2). Le due venerazioni sono legate l’una all’altra equeste alla venerazione per i fratelli più piccoli, quelli che se facciamo misericordia la facciamo proprio a Cristo. La Parola diventa amore attraverso il nostro amore e tanti possono vedere, attraverso il nostro amore, quello di Dio, la Sua gloria attraverso le nostre opere buone. È una Parola che parla al cuore e non possiamo renderla vaga, perché è diretta, è finalmente un tu e non un’entità tristemente senza volto e senza passione.

Parla al cuore, ne rimette insieme i tanti frammenti e ne cura le ferite profonde, perché è una Parola di amore, oggi, per ciascuno, per come siamo. Non è un libro di buoni consigli o l’ennesimo manuale di buone pratiche, ma un amore pieno di rispetto, senza pietismo, senza paternalismo, intimo, delicato, tenerissimo eppure forte, diretto, coinvolgente. È del cielo e parla a noi per renderci quello che siamo. Dio parla per noi, non per se stesso, per aiutarci a comprenderequello che serve a noi e che solo per questo interessa a Lui. A volte sembra impossibile vivere la Parola, perché il male la rende impersonale, senz’amore, difficile, distante, usa la Parola stessa di Dio per confonderci, come quando tentò Gesù, piegando ed è la cosa peggiore la Parola all’io. Se la ascoltiamo come isapienti e i dotti appare troppo impegnativa, addirittura ingiusta per i moralisti e i puritani, pericolosa per chi vuole tenerla chiusa nel proprio benessere individuale, imprevedibile per chi non si affida, ma è sempre straordinariamente liberante e fonte di gioia per i piccoli e i peccatori.

È una Parola che ci mette davanti a noi stessi, che ci fa trovare il cuore liberandoci dalla paura del giudizio, perché parla di amore che ci fa sentire amati per come siamo. È la Parola che apre gli occhi e ci fa vedere il prossimo. Ma dobbiamo imparare tutti ad ascoltarla, a restare con essa, a farla scendere nel santuario della coscienza, nell’intimo del cuore. Sommersi da parole non sappiamo fermarci a venerare la Parola. Essa cresce con chi la legge, ma cresce con essa anche chi la legge e cresce la familiarità tra di noi e verso tutti, ad iniziare dai poveri. «La Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà» (AI 13). Solo chi ascolta la mette in pratica.

È Parola di vita che chiede vita. Non capiamo forse il Vangelo quando lo viviamo, quando diventa gesto, parola, compagnia, visita, amicizia? Non siamo familiari tra noi per questo? Siamo generati da lui, e non lo capiamo forse quando ci vogliamo piùbene vivendo il comandamento «amatevi l’un l’altro» come ci chiede? La Parola di Dio è il vino “alla fine” sempre più buono, che berremo con Gesù pienamente nella casa dell’amore infinito del Padre. Non è fuori dal tempo ma oggi, nel nostro tempo.

È Parola di speranza. Anzi indica la speranza. Il profeta accendeva di speranza. Gesù ci chiede di viverla oggi, di accorgerci che oggi si adempie. Cambiava qualcosa nella piccola, piccolissima sinagoga di Nazareth? Ma non è sempre lo stesso Gesù, il figlio di Giuseppe e di Maria? Lo potremmo dire della nostra vita ordinaria. Eppure cambiatutto se anche noi ascoltiamo e mettiamo in pratica e quell’oggi diventa il nostro presente. Quanti miracoli si compiono se ascoltiamo e mettiamo in pratica la Parola!Non a caso a Nazareth, nella diffidenza e nella rassegnazione, non ce ne furono.
Oggi se ascoltiamo la Parola vediamo l’anno di grazia del Signore, che è quello della pace, Giubileo che aspettiamo e che inizia nel nostro cuore quando doniamo la pace a chi è prigioniero dell’odio, prigioniero dell’istinto egocentrico di Caino, che finisce sempreper alzare le mani contro suo fratello, perché si sente escluso, giudicato, non apprezzato, dimenticando che è un corpo. La Parola desidera che nessuno senta più la preferenza come esclusione, ma nell’amore capisca che tutto è suo e che l’amicizia permette a lui di godere di quello da cui altrimenti si sentirebbe privato. Come abbiamo ascoltato: «Se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui». E la Parola di Dio è il fondamento della nostra casa, la roccia del suo amore. Al centro c’è Gesù, nel suo corpo e nella sua Parola, che continua a farci passare dalla solitudine all’amicizia.

Ricordiamoci che dobbiamo sempre avere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale per entrare nella storia e nella profondità del mistero di Dio (non so se chi lo scriveva poteva immaginare l’enormità di informazione che oggi arriva). La Parola è la speranza, l’oggi che «ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero». Accogliere la Parola nel nostro cuore e diventarne ministri. Oggi. Nel seme c’è tutto il futuro. Ma dobbiamo gettarlo e con la pazienza dell’agricoltorerenderlo vita. Ecco il lettorato.

Non sia mai solo intorno all’altare, dal quale curate che la Parola sia proclamata con dignità, con solennità e com’è, una lettera di amoreda ascoltare e conservare nel cuore con devozione. Ma, soprattutto, apparecchiate la tavola della Parola nei gruppi del Vangelo, nelle case e ovunque, affinché aiutino tutti a confrontarsi con questo, a sentire la Sua Parola personalmente, ad aiutarsi a capire cosa chiede a noi oggi. Non avviene discutendo in astratto, in superficie, con emozioni, ma nell’interiorità, nel cuore, perché questo è la terra buona. Domandiamoci sempre: cosa mi chiede, come posso viverla, come aprire gli occhi ai ciechi o spezzare le catene di chi è condannato? Leggere la Parola per renderla vita, nella storia, mai da maestri ma da servi. «Beata colei crede nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Beati, come questa sera, e per come possiamo rendere tanti spezzando insieme a loro il Vangelo della gioia e della vita.

Bologna, Cattedrale di San Pietro
26/01/2025
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