Messa per la festa di Sam Tommaso d’Aquino

La Parola di Dio ci invita a preferire la sapienza a scettri e a troni, a quella forza che la disprezza, disumana, volgare, sfacciata, pericolosa per tutti, che insidiosamente conquista i cuori e condiziona le relazioni delle persone e dei Paesi. Quanta poca sapienza, in realtà, quando si preferiscono gli scettri e i troni, quando si finisce per essere prigionieri dell’idolatria che questi impongono, della mai soddisfatta discussione su chi è il più grande e, quindi, su come fare a diventarlo o a conservare i primi posti e la supposta ammirazione della gente! In realtà, quando stimiamo la ricchezza e riteniamo la sapienza inutile, anzi un inutile rallentamento delle proprie ambizioni, si diventa sciocchi, immaginiamo la realtà come quella che vediamo noi e non come quella che è, imponendo noi stessi, il nostro possesso che serve a noi e non al prossimo. In realtà non capiamo,perché il mondo coincide con quello che possediamo, che ci serve, evitando le domande vere che il mondo pone, ignorandole e consumando solo le emozioni per verificare la forza. Facilmente si sperimenta lo schianto, quello che Papa Francesco chiama lo scarto. Resi insignificanti dalla stessa logica che è stataesaltata.
Lo splendore della sapienza, invece, non tramonta. È proprio vero: nelle sue mani siamo noi e le nostre parole, ogni sorta di conoscenza e ogni capacità operativa. Come a dire: non c’è capacità umana vera senza la sapienza. E la sapienza di Dio non è altra rispetto a quella degli uomini, anzi la esprime e la esalta per davvero. Fede e ragione si nutrono e si stimolano a vicenda. Viene dainterrogarsi perché ce n’è poca dell’una e dell’altra. Una ridotta ad auspicio, a prodotto per il benessere individuale, oppure cristallizzata in un ossessivo sistema difensivo. L’altra, senza cuore e senza umanità, finisce per impazzire e si rivolta contro l’io, e contro la persona che pure si era illusa di esaltare e difendere.

Il Vangelo ci rende consapevoli che siamo noi la luce che può sconfiggerele tenebre, il sale della terra che può dare sapore, ma anche che possiamo tenere la luce nascosta e che il sale può perdere il sapore. E il problema non è solo del sale che diventa insignificante, ma pure di quello che viene a mancare agli altri! La domanda di Gesù è amara, una sconsolata constatazione: non serve più a niente, è inutile, insignificante. Non si può ridare il gusto perduto. A volte pensiamo che non siamo il sale della terra perché misuriamo le nostre umane capacità, l’inadeguatezza davanti ad un servizio così grande: il sale della terra, il sapore della vita, tutta, per tutti. Ci rifugiamo nella nostra modestia, ci proteggiamo con la pigrizia speculare al protagonismo della banale esaltazione di sé.

Siamo il sale della terra proprio quando siamo umili e dispensiamo il Suo e il nostro amore perché dia il sapore intorno a noi. Lo perdiamo quando per paura o facile orgoglio narcisistico non ci sprechiamo per nessuno e per niente, restiamo chiusi in noi stessi, prendiamo per possedere e non doniamo nulla. Senza amare. Il sale trova il suo senso rendendo bella la vita del prossimo. Il poco che abbiamo può dare sapore a molto. Se ne sente subito la differenza! Gesù non dice voi potreste essere” il sale, ma “voi siete. E cosa diventa la terra senza sale? E cosa diventa il sale se non si perde, anche nelle migliori intenzioni come quelle di Pietro che vuole conservare Gesù e ragiona secondo Satana? La verità non va conservata distinguendosi, isolandosi, giudicando e condannando tutto e tutti, ma regalando amore, il vero sapore che Gesù ci affida. Disse Papa Francesco che noi quando mangiamo non diciamo: “Ah, buono il sale!”. No, semmai diciamo: “Buona la pasta, buona la carne”.

Siamo sale se diamo valore agli altri perché questo è l’amore sapiente che Gesù ci ha affidato. Non serve una dimostrazione imponente o definitiva. Poco sale compie il miracolo di una vita buona. Non sprechiamo, allora, il sapore che fa sentire l’altro semplicemente amato, ben voluto, regalando la nostra ricerca intellettuale e di studio e facendone discorso, intelligenza, sapienza umana. Se ci parliamo addosso finiamo per essere come gli scribi e i farisei che giudicano e non amano, che si ritengono giusti e guardano con disprezzo. Senza il sale della sapienza si diventa disumani, prigionieri di idolatrie che stordiscono e tradiscono, come abbiamo ricordato drammaticamente e sempre in maniera inquietante ieri. Non potevo non pensare al vostro, nostro,padre Girotti, figlio di San Domenico, che con tanta sapienza e passione evangelica affrontò la pandemia della guerra e dell’ideologia nazista e fascista.

Lo sento particolarmente nostro in questa memoria di San Tommaso, attratti tutti e due dall’ideale dell’Ordine. San Tommaso aveva fondato l’Ordine pochi mesiprima, quell’Ordine fondato non molti anni prima da San Domenico e in quello studio che parte sempre dal libro che dona la vera e unica sapienza: il Vangelo. Uomo europeo, studiò a Parigi sotto la guida di Alberto Magno e poi a Colonia. L’Europa non la inventiamo noi, ma noi abbiamo il dovere di conservare quella unita che gli uomini hanno a lungo diviso e combattuto! Non ebbe paura di incontrarsi con la cultura pre-cristiana di Aristotele e con le sue interpretazioni, con la sua radicale razionalità e l’unico intelletto universale (noi oggi rischiamo di finire con l’unica intelligenza artificiale!) e con la classica cultura cristiana, in fondo sempre artigianale!

Oltre che allo studio e all’insegnamento, Tommaso si dedicò alla predicazione al popolo. E anche il popolo andava volentieri ad ascoltarlo. Ci ricorda sempre che la ricerca teologica si deve misurare con la semplicità del gregge, degli ascoltatori di tutti i giorni e che la teologia e la riflessione non possono accontentarsi di impartire contenuti fuori dalla storia e dall’esperienza umana. Abbiamo da poco vissuto la Cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, e allora come non ricordare Jacques Maritain, che ha percorso in modo originale e incisivo i ponti attraverso cui giunge il pensiero di Tommaso, esplorando la dignità della persona, il rigore e l’umanità del bene comune, la giustizia, che è ben diversa dalla sua caricatura del giustizialismo, puritano e davvero la peggiore summa iniuria. Pensiamo, in questo anno dell’ottantesimo della liberazione del nostro Paese, a Giorgio La Pira e a quantihanno immaginato il futuro del Paese ancora una volta lasciandosi guidare dal Santo. Per certi versi possiamo pensare che anche la democrazia che oggi viviamo si nutre delle sue intuizioni, che ancora possono aiutarci in questo tempo attraversato da grandi desideri di crescita, di innovazione, di pace, ma anche da paure, chiusure, orgogli, nazionalismi, intolleranze, disperazione.

Tommaso invita a pensare la speranza proprio come pensiamo il desiderio, motore della nostra vita, quello che ci spinge verso il nuovo, verso le cose che ci mancano, verso il futuro. È la prima lezione di Aristotele, che Tommaso ha meditato molto a fondo. Ma la speranza non è un desiderio qualunque. Per lui è un desiderio di futuromigliore, illuminato dal discernimento e rinforzato dall’impegno, dalla tenacia nel mettersi in gioco. Nel suo linguaggio sintetico ed efficace Tommaso dice che la speranza è il desiderio di un bene futuro, arduo ma raggiungibile. Chi si fa pellegrino di speranza si lascia attrarre dal bene, ne sente il fascino, ma camminacon discernimento, cerca di dirigersi verso il miglior bene possibile, raggiungibile, proprio per rimanere in guardia dalle illusioni.

Il male prova aostacolarci proponendoci obiettivi buoni ma irraggiungibili. Sperare, allora, richiede di sentire il buono che manca e di esplorarne con cura la fattibilità.Sperare significa anche mettere in conto anche la fatica, la difficoltà, non per deprimersi, ma, al contrario, per rinforzarsi, per crescere nella motivazione, nelle alleanze necessarie, per non arrendersi alla prima inevitabile difficoltà o contraddizione. Tommaso ricorda: Non si dice di sperare cose da poco” (ST, I-II, q. 40, a. 1, co.), anzi gli umili sognano di cambiare il mondo! Tommaso ci aiuta a trovare i desideri di oggi, in particolare il desiderio della pace. La speranza richiede che sia, per questo, differente dal timore. Che sia futuro, perché non riguarda ciò che attualmente si possiede ed è diversa dal godimento. La speranza deve essere qualcosa di arduo, raggiungibile con difficoltà, che non sia da poco, diversa dal desiderio o cupidigia e infine che sia raggiungibile, diversa dalla disperazione. Non un orizzonte intimistico e ridotto al privato, ma dimensione interiore nei suoi nessi con quella sociale e politica e anche con la struttura profonda della nostra vita, libera dall’essere ridotta ad emozioni di superficie.

Signore, mio Dio, donami un cuore vigile, che nessun pensiero curioso trascini lontano da te; un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi;un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare; un cuore fermo che resista ad ogni avversità; un cuore libero che nessuna passione violenta possa soggiogare. Concedimi, Signore mio Dio, un’intelligenza che ti conosca, uno zelo che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia, e una fiducia che alla fine arrivi a possederti. Amen.

Bologna, Basilica di San Domenico
28/01/2025
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