Cristo è venuto per “ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”. Egli, dice l’autore della Lettera agli Ebrei, “si prende cura”. Ecco cosa significa amare: prendersi cura. Non lo si fa da lontano, come chi non ama, ma in modo concreto. Gesù si è reso “in tutto simile ai fratelli” “proprio per essere stato messo alla prova e aver sofferto personalmente, Egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”. È quello che aspettiamo. Il mondo aspetta, in tanti modi, a volte negativi, come sappiamo. Siamo all’inizio del Giubileo. Ogni uomo è una speranza. E ogni uomo attende qualcuno che aiuti a viverla, a trovarla, che riaccenda il mio cuore, perché non si vive senza speranza. E la speranza non è una dimostrazione ma una passione che ci fa vedere oggi quello che ancora non c’è, ci fa vedere i frutti nella parzialità e nelle contraddizioni che sempre accompagnano la nostra fragilità umana. Perché ci sia vita, però, dobbiamo liberare i cuori dalla polarizzazione, dalle paure, dai pregiudizi, e dal rancore, dal fanatismo, dall’odio, che sembrano più veri e appaiono legittimi, anzi una vera espressione di sé.
Quando non ci vergogniamo di odiare vuol dire che siamo già davvero intossicati da questo e il Giubileo vuole proprio disinnescare questa violenza che arma le mani e le lingue, che diventa abitudine alla contrapposizione, che irride la mitezza e l’amabilità, che riempie di rabbia e spegne la speranza, perché sono solo attento a difendermi, a restare quello che sono e a conservare, ancor di più, quello che ho. Dobbiamo disarmare i cuori per ritrovarli, il nostro e quello degli altri, altrimenti non sappiamo riconoscere la vita. Possiamo liberarci dai confronti imparando a riconoscere l’altro come il mio prossimo, così com’è, scoprendo il bene che è nascosto sempre in ognuno. La vita non è competizione, contrapposizione, consumo. La speranza è una gioia e un rischio. Prendersi cura vuol dire affezionarsi, legarsi, prendere in braccio. La speranza è una virtù nascosta, tenace e paziente eppure i suoi frutti si vedono ed è resistentissima. Si vede. E vede. Come Simeone e Anna, che non avevano davanti agli occhi nient’altro che un bambino, Gesù, e in quella fragilissima vita riconoscono la pienezza della vita e il Suo Creatore.
La loro vita cambia, diventano uomini di speranza e non solo di attesa. Ecco chi è un cristiano: una persona che con dolcezza e rispetto ama e difende la vita, amandola, è vicino a tutti, capace di riaccendere la speranza non con parole distanti ma prendendosi cura, amando e difendendo la vita non a parole ma con i fatti. Uno capace, perché pieno dell’amore di Dio, di mostrare la bellezza e la speranza anche nelle situazioni apparentemente senza speranza, dove la vita viene buttata e scartata. Uno che paga lui il prezzo della speranza, non lo mette in conto ad altri, e non rinuncia a pagarlo! E il prezzo della speranza è sempre e solo l’amore. Per questo non può esibire la vita, non può dare lezioni, ma si umilia e lava i piedi. La speranza e la difesa della vita vanno insieme. Quando non si ha speranza non si trasmette vita e la si conserva. La speranza genera sempre legame, umana amicizia, vicinanza.
Facciamo nostre le speranza della vita come quelle delle madri che aspettano la fine della guerra, di chi si mette in viaggio affrontando rischi terribili, diventando straniero perché in cerca di un futuro migliore, dei bambini che cercano solo qualcuno che li ami e che li protegga con bontà. Ecco cosa significa difendere la vita. E dare cuore al mondo, perché non c’è vita senza cuore. Il Giubileo vuole essere proprio questa speranza. Pellegrini, perché su questa terra, ricordiamocelo e ricordiamolo sempre con amore, siamo solo pellegrini. Pensare che tutto finisce qui è contro la speranza, rende nichilisti o consumatori di vita. La vita chiede vita. Quando non abbiamo speranza non si trasmette la vita. È il tema di questo anno della 47ª Giornata Nazionale per la Vita che, come sappiamo, cerca di aprire gli occhi al mondo, non di chiuderli per illudersi, come ci consentono le tante droghe e dipendenze che la vita la uccidono. Non possiamo vivere senza speranza. Invece si uccide la vita, si riarmano i cuori, ci si conserva e basta. Trasmettiamo la vita. Farlo ci fa capire chi siamo e cosa siamo, perché il nostro valore lo troviamo rendendo preziosa quella del prossimo e dandole valore. E ciò avviene in tanti modi perché la vita si trasmette in molti modi. Per questo incoraggiamo a non aver timore di mettere al mondo dei figli e anche ad adottarli.
Offriamo con intelligenza e mitezza, sempre nel rispetto della persona, gli aiuti necessari per difendere la vita, dal suo inizio alla sua fine, prendendocene cura. Restano largamente inapplicate le disposizioni tese a favorire una scelta davvero libera e consapevole da parte della gestante. Aiutiamo la generatività e una genitorialità non limitate alla procreazione ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri, e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, gli orfani e i migranti “non accompagnati”. Trasmettere vita negli infiniti modi con cui possiamo regalarla al prossimo, se liberati dalle misure avare della paura. Trasmettiamo vita per non perderla. È un impegno di tutti, in realtà richiesto proprio a tutti. Dio non ci farà mancare la forza. È debole chi non ama. È fortissimo chi spera e ama, ama e spera. Il Giubileo ci porti a “nuovi inizi”, anche a chi come Nicodemo è vecchio, perché nulla è impossibile a Dio e nulla è impossibile a chi crede.
Spes non confundit, la speranza non delude. Diamo tutti valore a quel tesoro che è ogni persona, e che se è amata vive nella speranza. Maria, donna della speranza che anche ai piedi della croce ha creduto nell’adempimento della Parola, sia la stella del mare nelle tante tempeste del mondo e della nostra vita.