Messa per l’incontro internazionale delle Istituzioni teresiane

Saluto i coordinatori dell’Istituzione Teresiano in Europa, insieme alla nuova Direttrice Generale e al Consiglio di Governo Generale. Nella Chiesa siamo sempre una famiglia e ringraziamo di poter servire, in una generazione con tanto invadente individualismo, una rete di fraternità e maternità così larga, universale e, allo stesso tempo così radicata nelle varie situazioni. Viviamo in un tempo di molte difficoltà, di scristianizzazione, di grande deserto. È la fine della cristianità o è l’aurora di una nuova epoca dove essere cristiani, cadute tante vestigia che in realtà non rappresentavano più nulla, possa essere, come questo scriba, ritrovare il senso vero della nostra vita, che è molto più vicino di quello che pensiamo?

L’antifona al Vangelo è sempre la chiave per comprendere meglio il messaggio, perché la Parola spiega la Parola. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui”. Osserviamo e amiamo, e se amiamo osserviamo, perché lo facciamo per amore. Non serve osservare senza amare, perché ci illude di conoscere mentre restiamo estranei, di essere giusti perché non capiamo il nostro peccato. Non resterà mai solo chi ama perché scoprirà la presenza dolce e forte del Padre. Se ami, sei amato. È quello che Gesù pensa per sé e ci ama per primo perché il suo amore sciolga il nostro cuore e ci indichi la beatitudine se metteremo in pratica i suoi insegnamenti.

Spesso anche siamo noi come gli scribi: amiamo le idee e poco la realtà, discutiamo ma così poco viviamo, interpretiamo e mostriamo le nostre capacità ma non ci leghiamo al prossimo e non costruiamo fraternità, sappiamo riconoscere la pagliuzza ma sappiamo ancora così poco accogliere il peccatore, credere che non è il suo peccato, vedere in lui il bello, entrare nelle sue case senza paura e filtri. Come gli scribi riduciamo la Parola a legge, da interpretare più che vivere, ridotta a regola più che ad amore, cosa individuale più che relazione, tanto che il prossimo praticamente non esiste, non è un incontro personale e affettivo, e Dio diventa un fatto privato. Il rischio è che la Parola diventi una delle tante istruzioni da offrire, sentendosi a posto per questo, mentre deve diventare vita, legame, amore che aiuta a usare la vita, che si fa carico, che lava i piedi e che coinvolge in qualcosa per cui valga la pena vivere. Un noto analista italiano ha parlato del desiderio che la nostra generazione non sa più aiutare a vivere. Abbiamo tante sicurezze ma siamo molto più fragili. Scappiamo dalla nostra vera e strutturale fragilità rincorrendo un’onnipotenza, una prestazione irreale, pornografica, finta. “In un tempo come il nostro che ha sdoganato il piacere da ogni forma di reticenza, pudore e morale, il desiderio non si espande ma tende ad appassire. Abbiamo una libertà estrema ma senza desideri! Non riusciamo più a cogliere nel desiderio il senso più profondo della legge. Questo senso si chiama vocazione.

Dobbiamo rendere il desiderio un dovere, dando testimonianza credibile di quello che dà anima alla nostra vita, fuoco grazie al quale la vita può essere accesa”. Un dovere senza desiderio, diremmo oggi senz’amore, non è credibile e rende distante ciò che è vita. Ma anche viceversa! È quando il desiderio diventa dovere che, perché scelta, vocazione appunto, troviamo noi stessi. Ecco l’educazione che traduce la forza del Vangelo in cultura, contenuto, comprensione, intensità, conoscenza. Ecco perché il primo comandamento è quello dell’amore! Non capiamo nulla di noi stessi senza amore. Lo scriba cerca in realtà l’amore e non l’aggiornamento delle sue infinite interpretazioni, Gesù lo aiuta a capire che non è lontano dal Regno, non perché ha capito tutto ma perché ha quello che conta, non gli olocausti e i sacrifici che lo facevano sentire giusto o, se serio, sempre in difetto! Aveva capito cosa significa che Dio vuole misericordia e non sacrifici e capiva la libertà di amare e il vero legame a questo comandamento. A che serve, dirà Paolo, compiere anche cosa grandi se non abbiamo la carità? Tutto è vano!  Ecco la libertà del Vangelo, ma anche l’impegno vero e radicale che questo richiede!

Parliamo di amore in un mondo che parla di guerra, che ha smesso di ripudiarla, che non cerca altra sovranità che quella catturata dall’enfasi dell’individualismo che è il nazionalismo. Dio ci chiede di amare. Non abbiamo altro da desiderare, la creazione intera geme e soffre alla ricerca dell’amore. Tutto vuole essere amato. Anche noi siamo, in realtà tutti mendicanti di amore, dobbiamo vivere e donare amore vero, in una generazione che si accontenta di surrogati e che lo ha ridotto a benessere individuale, così da non uscire più da sé, che lo scambia per esperienza, moltiplicando all’infinito relazioni occasionali, superficiali, coinvolgenti ma pur sempre limitate. Ama Dio e ama il tuo prossimo. Li abbiamo troppo divisi, tanto che qualcuno si stupisce per l’insistenza sui poveri, il primo nostro prossimo. In un incontro di giovani, un ragazzo che si definì non credente mi chiese se era possibile amare il prossimo senza amare Dio. Sì, è possibile. Ma sappiamo anche che c’è una grande differenza tra filantropia e amore, tra offrire qualcosa e una relazione affettiva.

Questa va vissuta e si comunica con la vita, è vita. L’amore per Dio ci aiuta ad amare il prossimo, addirittura a perdonarlo, a compiere miracoli che solo l’amore infinito di Dio può permettere. Il pastore Ricca ricordava che non è possibile il contrario, cioè che non puoi amare Dio senza amare il prossimo. L’amore è sempre il primo comandamento. “Perché la fede è vivere davanti a Dio, la speranza è vivere in vista di Dio, ma l’amore è vivere in Dio. La fede e la speranza ci portano vicino a Dio, ma l’amore ci porta dentro Dio. La speranza un giorno finirà, perché diventerà realtà, quello che noi adesso speriamo diventerà un fatto che constateremo, che vedremo. Ma l’amore non finisce mai, è l’inizio ed è la fine”. Poveda scelse come modello Teresa di Gesù poiché attratto dalla sua fisionomia “eminentemente umana e piena di Dio”. E nella tempesta terribile della guerra civile indicava la mitezza, “arma decisiva per la vittoria della causa di Dio. Perché le ingiustizie, la ribellione, la confusione, il disprezzo delle cose sante provocano ira e rendono amaro ed aspro lo zelo”. Ha ragione: solo la mitezza disarma  i cuori e apre all’incontro. È l’amore per Dio che ci rende operatori di pace, creativi, capaci di compiere quei miracoli che solo l’amore può realizzare.

Non siamo lontani dal Regno di Dio. Rendiamolo vicino e sveliamolo ai tanti che quell’amore cercano.

Casa generalizia delle Figlie della Carità (Canossiane) - Roma
03/11/2024
condividi su