Messa per l’Ottavario di Santa Caterina da Bologna

Incontrare S. Caterina è sempre ricco di emozioni e di insegnamenti. I santi possiamo imparare a conoscerli e ad amarli, perché non finiamo di comprenderne la loro santità. In essi contempliamo  il  mistero dell’amore che ci aiuta a scendere nella profondità della vita e ci permette di scoprire l’umanità di Dio. L’anno scorso Santa Caterina ci aiutò a guardare la città con occhi contemplativi, proprio come ci chiede con insistenza Papa Francesco. Ella univa l’attenzione concreta e umana delle situazioni delle persone con la preghiera e la mistica. Per contemplare la città occorre non mettere al centro se stessi, ma diventare “specchio dell’amore di Dio”. Nella sua umanità tutti potevano vedere riflessa la presenza di Dio, quella che il Vangelo chiama la gloria, luce attraente e profonda, che ci è affidata perché non sia nascosta sotto il moggio, ma la teniamo in alto con la nostra umanità e le opere buone perché gli altri possano riconoscerla. E’ una luce che aiuta a credere, che comunica conforto, speranza, incoraggiamento, correzione. Dio, come abbiamo ascoltato dall’Apostolo Paolo, riempie oggi i nostri vasi di creta con il suo tesoro, perché appaia chiaro che questa forza appartiene a lui e non viene da noi. E’ la vera forza straordinaria che ci è regalata e che possiamo riconoscere piena nei santi. E’ una fonte di amore che scopriamo in noi e che ci rende capaci di combattere la forza del male che divide, tribola, schiaccia, sconvolge, perseguita, colpisce.
Santa Caterina amava la città. Vedeva con occhi spirituali, quelli che permettono di capire le persone e le situazioni. Si racconta di lei che “conosceva i segreti altrui, e, alcune volte, parlava di cose che le sue sorelle avevano tenuto nascoste”. Non è forse questa la profondità semplice della misericordia? Caterina sapeva aiutare. Lo faceva lei e insegnava a farlo, trasmettendo la sua esperienza, non accontentandosi del suo soggettivo, tanto che rendeva quello che aveva vissuto un itinerario e un itinerario possibile per tutti. Sono “le armi spirituali” che ci ha consegnato. Cerchiamo sempre anche noi di comunicare la nostra esperienza e di farlo con la nostra vita concreta, perché aiuti, conforti e renda più facile agli altri nel cambiamento interiore. Dobbiamo però combattere noi la battaglia, anzitutto contro il nostro io. Se non cerchiamo la nostra potenza e ci lasciamo riempire da quella di Dio, se ci liberiamo dall’amore per noi stessi con le armi spirituali, non saremo “schiacciati”, “disperati”, “abbandonati”, “uccisi”! Questo non significa diventare invulnerabili o non sperimentare più le avversità e le fatiche, ma che in esse vedremo sempre quello spiraglio di luce che ci trasmette l’amore infinito di Dio. E’ l’uomo interiore, che si rinnova ogni giorno, anche nel senso che si trasforma, cioè che è sempre nuovo, che non invecchia. Quello esteriore, invece, cui prestiamo tanta attenzione e che diventa ossessivamente importante, sperimenta il limite, la debolezza, la fragilità inquietante dell’essere creta. Madaleine Delbrel, donna che scelse di andare a vivere in periferia, diceva: “Impara l’arte della guerra a te e l’arte della pace con gli altri”.  Il Patriarca Athenagoras affermava: “La guerra, la faccio a me stesso, per disarmarmi”. Per lottare efficacemente contro la guerra e contro il male, bisogna volgere all’interno la guerra. In realtà chi fa la guerra al proprio orgoglio trova finalmente anche se stesso, proprio pensandosi per Dio e per gli altri. “Ecco: il nostro specchio è il Signore! Aprite gli occhi, guardatevi in lui, imparate a conoscere il vostro vero volto!”, troviamo nelle Odi di Salomone. Questa è la lotta spirituale proposta da Santa Caterina, che ci aiuta a restare attaccati alla vite perché la linfa ci comunichi vita e permetta che questa dia frutti. La Quaresima è il tempo non delle rinunce ma della scoperte e queste siano frutto della lotta interiore. E’ tempo di non essere mediocri, di non accontentarsi per combattere l’antico tentatore che tanto minaccia la nostra vita e questo mondo. Il cambiamento che c’è chiesto non è quello di un’impossibile perfezione individuale, ma quello della misericordia, da accettare e da donare. Un combattimento possibile proprio agli umili. Il male inganna, confonde, illude, tanto che Santa Caterina ammoniva di “fare buona guardia ai propri pensieri, perché, alcune volte, il diavolo mette buone e sante intenzioni nella mente per ingannarla e, poi, spingerla alla disobbedienza, che è il contrario della virtù pur nella convinzione di operare il bene, e da qui indurla nella fossa della disperazione”.  Una lotta forte, tanto che chiedeva a tutte e tutti di “virilmente non temere di combattere prontamente contro i diavoli”. Cambiamo interiormente e con forza per amore di Dio e degli uomini, perché non vogliamo accettare il deserto di umanità, le divisioni, le tante sofferenze ingiuste; vogliamo liberarci dalla sorda e muta indifferenza che fa chiudere il nostro cuore e lo rende dissipatore di doni, incapace di aiutare gli altri. Rimaniamo nella sua parola perché questa genera continuamente la linfa buona dell’amore che trasmette la vita. Quando “non rimaniamo” con lui? Quando pensiamo di bastare a noi stessi, quando vogliamo possedere con l’io quello che sarebbe in realtà già nostro nell’amore e nella comunione. Chi rimane attaccato alla vite, diceva Santa Caterina, si adorna delle sante e nobili virtù e riconduce la bellezza della sua anima al “primo stato della innocenza”, quella di San Francesco, di Santa Chiara, quella del Paradiso dove tutto è riconciliato e dove troviamo il “bene della comune fratellanza”.
Delle sette armi in questo Congresso Eucaristico vorrei ricordare questo anno proprio l’ultima, per la quale per vincere i nostri nemici dobbiamo avere la memoria della Santa Scrittura, da portare sempre nel nostro cuore. “Da lei dobbiamo prendere consiglio, in tutte le cose, come da fidatissima madre, così come si legge della prudentissima e sacrata vergine Santa Cecilia: In segreto sempre portava in seno il Vangelo di Cristo; e con quest’arma il nostro salvatore, Cristo Gesù, confuse il diavolo nel deserto dicendo: – è scritto. – perciò, dilettissime sorelle, fate fruttificare le quotidiane letture del coro e della mensa, per rafforzarvi in questa arma. Immaginate i brani del Vangelo e delle Epistole, che ogni giorno udite nella Messa, come altrettante lettere del vostro celeste sposo; custoditele nel vostro cuore, con grande fervente amore, pensate ad esse il più possibile e, particolarmente, quando siete in cella, perché meglio e con più sicurezza possiate dolcemente e castissimamente abbracciare Colui che ve le manda; se farete così, vi troverete continuamente consolate nel vedere quanto spesso riceviate nuove e belle notizie da Quello che sommamente amate”. Impariamo in questa Quaresima a chiuderci nella stanza del nostro cuore, la personale cella della nostra vita, per sentire come dirette a ciascuno di noi la parola di Dio, per pregare ascoltando la Scrittura, voce del Corpo spezzato e del Sangue versato proprio per noi. Troveremo il dolce ristoro della sua pace e la forza straordinaria degli umili, che diventano capaci di cambiare il deserto nel giardino di Dio e di domare gli uomini che sentono nell’umile “il profumo che Adamo emanava prima della caduta”, (Isacco di Ninive), il profumo dell’uomo libero dal male e finalmente se stesso.
 “Amatevi insieme di cordiale amore e consolatevi, perché meglio vi servirò nell’altra vita che non in questa; rimanete in pace tutte, con la benedizione di Cristo e con la mia. Questo è il testamento che io vi lascio”, disse Santa Caterina poco prima di morire. Ricevuti i Sacramenti, levò gli occhi a riguardare le sue amate sorelle una ad una, e li chiuse dicendo tre volte “Gesù, Gesù, Gesù”; e l’anima parti dal suo corpo. Era la sera del 9 Marzo 1463. A gloria di Dio.

09/03/2017
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