Risaliamo a Montesole. Questo luogo, santuario delle vittime, di tanti nuovi martiri, ci aiuta a capire il mondo, a non avere paura di perdere la vita per trovarla. Qui, in questa terra di tenebre e di luce, siamo aiutati a scegliere, a resistere al male, a non vivere tiepidamente e in modo mediocre, a camminare insieme e a farlo finché c’è tempo, proprio in nome loro e di quel popolo immenso con la veste bianca che ha attraversato la grande tribolazione. Quanti oggi affrontano sofferenze terribili a causa della violenza e della guerra, del mistero di iniquità, dell’istinto di morte che Caino porta dentro di sé e che sceglie di non dominare! Quanta enorme, incalcolabile, per certi versi umanamente inconsolabile,sofferenza! Quante Rachele chiedono di fare silenzio del vano ciarlare quotidiano, insipido e stolto, delle infinite,e senza vergogna, parole del narcisismo senza vita, e che rende sterile la vita, per ascoltare il loro grido, quello che giorno e notte si alza dai piccoli, quello che Dio ascolta e gli uomini no! Dov’è tuo fratello? Ci chiederà sempreDio, ricordando che il fratello ci riguarda e che distruggiamo noi stessi se distruggiamo la fraternità. Èun luogo di pensoso e interiore silenzio, dove alzare lo sguardo e contemplare la gloria di Dio, l’amore fino alla fine, l’amore per chi non ama, l’amore della solitudine amara e sconsolata della croce, gloria che trova il suocompimento nella luce del mattino di Pasqua, del giorno che non conosce tramonto. Non smettiamo di comprendere il loro testamento, per unirci in comunione spirituale e umana con loro e con quanti vivono, oggi, la stessa violenza. Affrontiamo il buio terribile del Venerdì Santo, perché è nella notte che si attende l’aurora ed è nella notte che c’è bisogno di sentinelle che resistono e fanno resistere alla logica del male, quella che arma le mani e i cuori, dal coltellino agli spietati e micidiali ordigni. Da qui sentiamo decisivo, per noi personalmente e per tutti, l’impegno spirituale e civile di amare il bene unico della pace, fine che arriva sempre troppo tardi in ogni strage, in quell’unica strage sempre inutile che è la guerra. Lo chiede anche per l’Anno Giubilare Papa Francesco: “Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno «operatori di pace saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura”. L’opera della pace inizia con quella della giustizia che per noi non può essere quella degli scribi e dei farisei. È l’unica che sconfigge le premesse dell’orrore e libera dalle sue conseguenze, come la logica disumana della vendetta. La Gaudium et Spes ci ricorda come viviamo dentro il mondo, non fuori, non al sicuro nelle nostre presunte oasi o nel chiuso di fortezze che non hanno niente di cristiano. Ci invita a sentirci in intima unione con l’intera famiglia umana, con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, perché queste sono nostre. Non c’è nulla, proprio nulla, di genuinamente umano che non trovi eco nel nostro cuore, personale, e nel cuore delle nostre comunità. Vuol dire anche che quello che viviamo risponde alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce che abitano il cuore delle persone, e che la vita del Signore è umana, concretamente umana, psicologicamente umana. Qui comprendiamo l’invito di Gesù per “un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra”. Oggi risuona ancor più forte l’appello perché i cristiani “collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull’amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento”, consapevoli (non so peraltro quanto e non so se disposti a pagarne il pezzo!) che la pace non è raggiunta “una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente”. Non smettiamo di credere, facendo però anche tesoro dei problemi emersi, che “dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra”, e perché sia “istituita un’autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti”. Parole che sentiamo attuali e urgenti davanti alle notizie di guerra e alla scelta di pensare praticamente solo al riarmo (ma non avevamo ripudiato la guerra! …) e non agli strumenti per risolvere i conflitti. Per avere gaudium e spes accettiamo l’invito a darci da fare “in ogni modo per eliminare la guerra”, considerando certo la “complessa realtà delle situazioni”. La Gaudium et Spes nasceva proprio nella consapevole memoria di questo dolore, che facciamo di nuovo nostra: “Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, l’umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell’ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte” (GS 82). E l’impegno della pace inizia da noi, da contrastare ogni ingiustizia, da eliminare le cause di discordia, da superare le disparità economiche, dal combattere ogni disprezzo delle persone, l’invidia, la diffidenza, l’orgoglio e le altre passioni egoistiche. “La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace” (GS 83). I cristiani sono chiamati ad essere sale della terra, non a trasformare il mondo in una salina, e questo sale si riconosce per il sapore che sa dare davanti alle domande grandi e piccole che la storia ci ha posto e ci pone, alla speranza di chi attende e al dolore di chi ha perduto la speranza. Come allora, 80 anni fa, come oggi. Oggi, infatti, sentiamo nostre le tante Marzabotto davvero tutte uguali, senza classifica del dolore perché tutto è nostro nella fraternità. Qui sentiamo il grido di Gesù dalla croce “Eli Eli lema sabactani” ma anche qui possiamo cercare e vedere la luce della resurrezione, dell’amore più forte della morte, la luce che illumina il buio assoluto di ogni Venerdì Santo, perché le vittime non sono una contabilità ma la distruzione di quell’irripetibile tempio di Dio. Il silenzio di questo luogo, custodito dalla Piccola Famiglia dell’Annunziata, che tutti ci rappresenta e che ringrazio per la fedeltà, l’intelligenza e l’intensità del servizio e per la comunione che vivono con la Chiesa di Bologna, con tutta la Chiesa e con il mondo, parla alla Chiesa e all’umanità tutta, ad iniziare da quella del nostro Paese, nato dal rifiuto delle ideologie che a questa follia hanno portato. La pace si fa in tre: non bastano i due contendenti per farla. Occorre la comunità internazionale, e quindi ognuno di noi, con la preghiera e la partecipazione, con la fede e con le opere che da questa derivano. Altrimenti è sterile e ingannevole devozione. Il silenzio di questo luogo parla all’Europa tutta, per ritrovare l’anima e non solo la forza economica, per abbattere le frontiere e non alzarle di nuovo, per vincere l’odio e ogni logica divisiva, e continuare nell’unica via della pace che è pensarsi insieme, “deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l’umanità, avviata ormai così faticosamente verso una maggiore unità”. A volte la supremazia è anche pensare di fare a meno degli altri, o chiudersi stoltamente in miopi e ingannevoli prospettive interne, dimenticando che solo nella comunità delle Nazioni si difende per davvero la propria identità. Non senza, non contro, ma insieme. Il significato della visita che i due Presidenti di Italia e Germania compiranno a Marzabotto per onorare queste vittime è l’impegno da cui è nata l’Europa, e dalla quale può e deve crescere. Gesù ha presentato il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che strappavano la barba;non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. È la fede di quei cristiani inermi e di comunità martiri d’unaviolenza che li ha resi come i santi innocenti, e che ci rendono attenti ai loro fratelli santi innocenti di oggi.
Ora vediamo qui l’immensa folla di fratelli e sorellesenza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano, come accade sempre in ogni guerra e come continua anche dopo, spogliati di ogni dignità e sicurezza, resi oggetto, affamati di pane e del pane della vita. Non possiamo e non vogliamo dire, a volte con supponenza, senza vergogna e credendo di fare molto: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi». Pensateci voi, insomma, è un problema vostro, tuo, non nostro e non mio. Ecco, qui impariamo a dire noi, nostro, come il Padre nostro che Gesù ci ha insegnato, che include la sua famiglia e tutta la famiglia umana ad iniziare dai più piccoli. Chi dice Padre nostro deve trovare il pane, il vestito e rimuovere le cause che hanno ridotto così i suoi familiari. Opera di misericordia è opera di pace. Il nostro Messia soffre ancora molto, sperimenta la fine ma, dopo tre giorni, speranza della nostra vita, risorge! Non ragioniamosecondo Satana, con la legge del salva te stesso, di un amore fino ad un certo punto, del pensare di conservare la vita senza farla trovare agli altri così che, poi, non la troviamo più nemmeno noi. Seguiamo Gesù perché chi perde la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. La causa di Gesù e quella del Vangelo è quella di un amore per tutti, di fermarsi con chiunque perché non è un estraneo ma il mio prossimo. Ricordiamo tutta la comunità e quei nostri preti che, per certi versi, la rappresentavano, perché per essa stavano lì, perché l’amavano tanto da restare e non assecondare il salva te stesso. Ci aiuta una donna testimone di quella sofferenza– e dobbiamo sempre vedere la guerra con gli occhi della donna! – che l’ha portata nel suo cuore e nel suo corpo tutta la vita, con pudore e fermezza, con le sue parole e la sia testimonianza ci ha aiutato a capirla e adaffrontarla. Antonietta Benni, il cui diario era il suo volto e il suo cuore, ebbe chiarissime parole di perdono cristiano e, allo stesso tempo, penso proprio perché era libera di perdonare, fermissima nell’esigere giustizia e nell’indicare le responsabilità: “Perdono cristiano sì perché ogni cristiano ha da Cristo l’esplicito ordine di perdonare e se qualcuno non perdona diventa in fondo come Reder; cioè odia e l’odio porta a fare quello che ha fatto lui. Quindi perdono morale sì, ma grazia no”.
La pisside – che ha servito per l’ultima eucaristia della comunità residua di Monte Sole, ed è stata tenuta nelle mani di don Marchioni negli ultimi istanti della sua vita – contiene lo stesso corpo di Crsto che ci rende comunione con loro e con quanti sono nella sofferenza. “Dobbiamo avvolgere per così dire tutte le rovine e i segni di desolazione e di morte per trasformarli e trasfigurarli in una luce nuova. Questa vigilanza si deve orientare – in una maniera molto acuta e tesa – alla difesa dei valori che sono stati stabiliti alla fine della guerra una volta per tutte e che risentono della grande catastrofe dell’umano”, disse don Giuseppe Dossetti.
Scendiamo da Monte Sole per vivere da cristiani.