Omelia nel Centenario della nascita di don Oreste Benzi

Lasciamoci sempre, e in particolare in questo anno per voi doppiamente giubilare, guidare dalla Parola di Dio edalla vita di don Oreste che ci aiuta a capirla, a farci ardere il cuore nel petto, a non avere paura di metterla in pratica, liberandoci dalle tante glosse che la svuotano di forza. Non possiamo, infatti, addomesticarla rinchiudendola nella prigione del nostro io, privatizzandola o rendendola generica espressione di un’entità diffusa e senza concretezza. Inizia un anno di grazie per riscoprire il dono che è don Oreste, dono personale e nostro, di tutti, specialmente della sua e nostra Comunità Papa Giovanni XXIII. È la comunionedei santi, legame di fraternità senza fine e senza confini. Inizia un anno di grazie per essere pieni di speranza in un mondo disilluso, che si abitua alla fame e alle diseguaglianze, alla tortura e alla tratta, a chi muore in mare e si dispera negli immensi campi profughi che chiedono futuro. Un mondo che ha perduto la speranza della pace, tanto che parla solo di guerra, di riarmo, che esaspera le differenze invece di cercare ciò che unisce, che esalta la contrapposizione e non il dialogo. Quanto servono le colombe della pace! Don Oreste con dolcezza e inquietudine, con tanta determinazione e semplice umanità, ci coinvolge nella speranza, come Giovanni XXIII, che non ha ascoltato i profeti di sventura. Questo doppio giubileo ci aiuta anche a ritrovare l’amore dell’inizio, a costruire una casa di amore e di paceperché la costruzione non finisce mai, per aiutare la Chiesa tutta ad essere famiglia di tutti, specialmente per quelli che non hanno famiglia. Non può essere la stessa Chiesa un Istituto! Don Oreste sognava la prima comunità dei cristiani, dove tutto era in comune, che aveva un cuor solo e unanima sola, e dove nessuno diceva sua proprietà ciò che gli apparteneva perché tutto era comune. Non si vive nella Chiesa senza questa dimensione umana, affettiva, e spirituale allo stesso tempo, dimensione che commuoveva don Oreste e che è costitutiva della Chiesa. Nel giubileo siamo consapevoli del tanto che abbiamo e di quello che dobbiamo donare per rendere il mondo una casa comune dove i fratelli imparano a riconoscersi e aiutarsi.

Il profeta descrive come Dio ha aperto l’orecchio del servo che non si è tirato indietro, non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi perché ha amato fino alla fine, superando tutti i limiti perché pieno di fiducia nel Signore Dio che “assiste”. Quel servo è Gesù e con lui quanti amandolo danno carne al suo amore, non si tirano indietro, si prendono responsabilità. Don Oreste non si è tirato indietro e con fermezza si è coinvolto, ha ascoltatoe coinvolto tanti a lasciarsi amare da Gesù, a sentire il suo amore e a non avere paura di amare, perdendo tutto, perché la santità non invecchia ed è sempre generativa. A cosa serve una fede senza le opere? Cosa diventa la fede senza l’umile concretezza delle opere? Una devozione, mentre dobbiamo fare la rivoluzione, avrebbe detto. La fede perché sia viva e dia vita deve dare il necessario per il corpo di quei “fratelli o sorelle” che sono nudi, affamati, assetati. Non possiamo crederesufficiente, magari con facile supponenza o sterile e narcisistica commozione, invitare ad andare in pace. Non basta offrire le istruzioni per l’uso, raccomandare,senza prendersi in carico. «Se vuoi uccidere una persona c’è un modo molto efficace, falla sentire inutile». Quando mandiamo via senza fare nulla significa anche che la loro vita non vale nessun impegno. Lo possiamo fare pensando proprio che non ci riguardi, che ci occupiamo dello spirituale, come se questo giustificasse di non fare nulla di umile servizio. Ci sono tanti modi per mandare via senza farsi carico, ad esempio, la sociologizzazione, la politicizzazione o professionalizzazione. Don Benzi ha sempre insistito sul rapporto personale con i piccoli, e per questo non poteva accettare la loro istituzionalizzazione. Abbiamo capito che per loro gli istituti erano un’anticamera della morte. “Al povero non va dato ciò che è possibile a noi ma ciò di cui lui ha bisogno”, diceva, che vuol dire coperte, cibo, lavoro, famiglia. Non è un utente ma, sempre un fratello. «Dio ha creato la famiglia, gli uomini hanno inventato gli istituti». Gesù viene a donarci sua madre e la famiglia di quanti ascoltano e mettono in pratica. Don Oreste ha reso vicino, possibile, attraente, liberante rinnegare se stessi per essere se stessi, prendere la crocee seguirlo per amare senza misure. Solo chi perde la propria vita la salva. E perdere significa in realtà condividere, donare gratuitamente, senza interesse che non sia l’interesse del prossimo perché il bene individuale è contenuto solamente nel bene di tutti; il male individuale diventa male di tutti…. L’amore non è un’astrazione teorica ma una proposta concreta, perché in essa si pensa come poter far lavorare i disabili, non a rinchiuderli in istituti. Si organizza la scuola sulla misura di chi ha più difficoltà a comprendere e ad apprendere. Si costruisce la città rendendola agibile per gli anziani, le donne incinte, i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i bambini”. Non c’è l’assistenza mia verso te derelitto, ma la condivisione di tutto. E non basta dire qualcosa se non si fa qualcosa, e anche non basta questo se non rimuovi le cause. Dovevamo rimuovere le cause dell’oppressione, dell’ingiustizia, dello sfruttamento. Capimmo bene, che dovevamo scuotere l’indifferenza di chi aveva il potere di liberare e di opprimere. Capimmo che si doveva smettere di commuoversi sui bambini che morivano di fame, e dovevamo invece chiamare per nome coloro che li affamavano, dovevamo smettere di essere gli strappa-lacrime per gli orfanelli, dovevano invece denunciare noi stessi se non li accoglievamo in famiglia e anche coloro che, come noi, non li accoglievano. Dovevamo portare la nostra attenzione non solo sugli emarginati ma, prima di tutto, chiamandoli per nome, su coloro che emarginavano”.Non ha camuffato la sua identità e iniziato a fare ciò che fanno gli altri, credendo così di essere vicino e finendo per tradire la sua missione. La simpatia che voleva edesprimeva, senza nessun compiacimento, è frutto di condivisione, non di compromesso. Nell’ultima predicazione tenuta alla Comunità, don Benzi disse: «Il Vangelo è estremamente semplice e parla tutto di simpatia. Questa simpatia produce la sintonia, la stessa strada, lo stesso cammino. E quando questa sintonia viene compiuta con tutti i fratelli, raggiungiamo la sinfonia della vita, che vuol dire il canto assieme, il canto della vita. Cos’è la Comunità Papa Giovanni? È una comunità di gente simpatica perché è totalmente in simpatia con Cristo; è una comunità di gente in sintonia per cui ha il sorriso sul volto perché il bene prevale sul male. Pensate a quando arrivano gli ultimi, i disperati, i carcerati, e il tuo cuore è in sintonia con quello di Gesù,e in ognuno di loro incontri Gesù e quindi viene fuori una Comunità che è una sinfonia, la sinfonia di Dio. Questa sinfonia si ripercuote sugli altri».

Ecco cos’è la Chiesa e cosa sono le nostre comunità’. Don Oreste univa ortodossia e ortoprassi, preghiera e impegno, come deve essere. Così sogna che sia diversa: «La catechesi viene compiuta da persone specializzate, che la riducono all’informazione… ma non viene proposta la conoscenza di Cristo all’interno di un cammino di vita». Possiamo accettare un cristianoche non conosce Gesù e che non ama i poveri? Diceva che occorre «Ricostruire il tessuto della comunità».Temeva proprio una fede morta, e per questo al centro della casa voleva sempre la presenza di Gesù, nel suo corpo per amarlo nel corpo dei più piccoli, della sua parola per imparare a parlare con amore. È la forza della preghiera il nerbo che reggeva la sua vita. «Per stare in piedi, devi saper stare in ginocchio».  Non siamo quindi gli specialisti dei poveri, come la Comunità non è la specialista dei poveri; semmai è specialista di un compito universale della Chiesa, che è diverso. Era etico ma senza moralismi, pieno di bonomia e allo stesso tempo svelava con rigore l’ipocrisia del politicallycorrect. Trasmetteva tanta umanità e vita vera, si scrollava le ipocrisie delle convenzioni, spiegava l’inganno dei sorrisi finti, dell’assistenzialismo o del paternalismo, deformazione della paternità. Era sociale su tutto e allo stesso tempo prete fino alla fine. E per lui la difesa della vita, da quella cui non si permette l’inizio a quella che si butta via, era importante, e la dignità la stessa. «Lattuale società è egocentrica. Lindividuo è fine a se stesso, l’interesse individuale è la molla universale di ogni attività umana. Tutto è asservito al proprio tornaconto: gli altri esistono solo nella misura che producono per “l’io padrone”». Ecco cosa don Oreste ci rimette al centro: una Chiesa famiglia, una comunità accogliente e totale, lalterocentrismo più umano e più attraente dell’ossessivo egoismo. Ho sempre avuto in mente che non bisogna avere paura del male che c’è nel mondo ma del bene che manca”. Il Signore protegge i piccoli: ero misero ed egli mi ha salvato. Hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta. Io camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventiHa camminato tanto don Oreste per le strade di Rimini e del mondo. Ha camminato seguendo Gesù e ci indica la strada verso il cielo che passa per quelle degli uomini.

Tempio Malatestiano - Rimini
14/09/2024
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