Omelia del Corpus Domini

Ecco il Corpo del Signore. Già soltanto questa affermazione ci commuove. In un mondo virtuale, in tanti legami fluidi e insicuri, cangianti perché poveri di amore, contempliamo la presenza viva, buona, familiare di Cristo. Vogliamo essere come Maria sorella di Marta: solo stando con Lui ai suoi piedi troviamo la parte migliore che non ci sarà mai tolta. Altrimenti troviamo tanti affanni che ci tolgono il cuore.

Ecco il Corpo del Signore, la presenza buona in un mondo malevolo; gratuita, quando tutto è convenienza; offerta, quando il calcolo condiziona ogni relazione; uguale per tutti e per tutti speciale. È una presenza che genera unità perché ci rende tutti commensali. È il pane che ci rende fratelli tra noi e verso tutti. La Chiesa è famiglia di Gesù, che chiama peccatori, che restano peccatori, che condivide quello che ha di più prezioso: il Corpo di Cristo. Alcune volte le tempeste sono solo nel nostro cuore, in quell’abisso che è la psiche, e non sono certo tempeste meno severe perché destabilizzano, fanno credere che tutta la vita è perduta, ne nascondono la bellezza. Come Elia che sente il desiderio di morire e non vuole più camminare. In questi mesi del Covid abbiamo avvertito la nostra fragilità, quella che la pandemia delle guerre oggi accentua, rendendo imprevedibile il futuro, minaccioso, tanto che a volte appare impossibile.

Fermiamoci ad adorare e lodare Gesù, il suo Corpo benedetto. Perdiamo tempo con Lui per non dissipare i nostri giorni in quello che non vale e per sentire la profondità del suo amore. Ascoltiamo Lui per imparare a parlare e ad ascoltare gli altri e per non finire come Marta che non ascolta, parla sopra tutti. Marta non pensa sia necessario stare con Gesù, piena di cose da fare. Senza il cuore di Gesù si perde il cuore e alla fine il servizio diventa solo sacrificio e ci domandiamo perché farlo. Stiamo con Lui per essere liberati dalle inevitabili amarezze, per rientrare in noi stessi, per sentire il suo amore e non farne una motivazione lontana, un ordine di servizio ingiallito che non ci appassiona più.

Il problema non sono le cose da fare, ovviamente, ma dove sta il cuore e di cosa lo riempiamo. Per non perdere il cuore, anzi per trovarlo, occorre stare con Gesù, essere pieni di Lui, nutrirsi della sua presenza. Adorare è isolarci con il Signore per non vivere soli; godere della sua compagnia ci insegna ad essere vicini a tutti. Quando adoriamo Gesù ci lasciamo conquistare il cuore da Lui e dal suo amore pieno, non sfuggiamo dal suo sguardo per imparare a vedere il mondo con i suoi occhi, per essere pieni di compassione e non di giudizi, per amare e non avere paura, per guardare con misericordia e non con il giudizio tagliente dei farisei.

Restiamo con Gesù, con la sua presenza per essere presenti, con il suo corpo per rendere opera, fatto, storia il nostro amore. Adoriamo Lui per non adorare noi stessi, il nostro benessere e per adorare l’uomo mezzo morto con il culto della misericordia. Si esce dall’adorazione per incontrare, parlare, trasmettere con la nostra vita quei sentimenti che ci hanno raggiunto con l’adorazione. Adorare il Signore ci insegna a “vedere” oltre il velo del visibile, che spesso si rivela ingannevole. Dio amore ci aiuta a vedere il suo tabernacolo nell’umanità che incontriamo e anche ad essere noi, con la luce dell’amore, un pezzo del corpo di Gesù. Quando al centro c’è Lui noi ci “perdiamo” – perdersi significa anche sacrificarsi, regalare per amore quello che si è e si ha, non tenerselo per abitudine o convenienza.

La pandemia è come nel Vangelo di questa sera un deserto. È vero, la pandemia genera un deserto di vita, di umanità, la carestia di pane e la carestia di sentimenti umani, deserto di intelligenza per gli altri, di amore, di fame, di siccità. Quanta sofferenza! Il grande deserto di vita ci chiede di renderlo un giardino, perché nel deserto non si può vivere e costringe ad andare lontano, a cercare futuro, nutrimento. I discepoli possono guarire questo mondo, aggiustare quello che è rotto, riparare quello che non funziona, raggiungere quello che è isolato. Non sciupiamo questa occasione. I discepoli pensavano che ad un certo punto bisognava mettere un limite. “Congeda la folla!”.  Manda via! Sembrano imporsi, come agitati – in fondo come Marta – per il loro futuro. “Ora basta! Ognuno deve pensare a sé!”. In fondo è l’idea triste di ridurre il Vangelo a un discorso individuale, privato, lasciando che la vita degli altri resti la stessa e che la preoccupazione per loro sia solo fino ad un certo punto. I discepoli non pensano che il loro futuro è legato a quello della folla e viceversa!

L’amore, invece, non accetta limiti e ci fa capire che se ne esce solo insieme! L’amore va sempre oltre, perché ci fa capire che il pane è lo stesso, per noi e per loro. Gesù è questo pane. I discepoli sembra siano più saggi di Gesù, in fondo incosciente tanto da non rendersi conto, continuare a parlare, a tenerseli vicini, a non mandarli via! Gesù invece vuole che tutti mangino e siano insieme, in piccoli gruppi, per parlare, ascoltare, servirsi, come in una famiglia. I discepoli sembrano previdenti, ma per non avere problemi! Gesù ci chiede, davanti al deserto di oggi, di tanta vita perduta, “Date voi stessi da mangiare”. Io vi dono me stesso e voi donate a tutti il pane dell’amore. Il mio corpo interamente spezzato e versato ci aiuta a donare il poco che abbiamo perché sia pane di amore per tutti. Basta poco, pochissimo. Inizia e poi vedrai che non te ne mancherà e non finirà. Ma devi cominciare! Il Corpo ricevuto deve diventare amore!

Gesù è il pane e la sua eucarestia moltiplica il pane per chi non lo ha. Per questo il servizio è sempre anche un fatto spirituale e va oltre i limiti che pensiamo giustifichino il salva te stesso. La pandemia del deserto ci aiuta a spezzare il pane dell’eucarestia e a renderlo solidarietà rinnovata, piena, verso i più deboli. Quel giorno in quel luogo deserto non cadde la sera e tutti furono sazi! Ogni volta che amiamo e doniamo quello che abbiamo, si moltiplica, e capiamo come l’amore non finisce e ci nutre a sazietà. “Voi stessi date loro da mangiare”. Ecco, così il suo Corpo diventa anche il cibo del giorno che non conosce tramonto.

Aiutaci a trasformare il tuo Corpo in amore per chi ha fame, nel deserto e nel buio del mondo. “Chiediamo la grazia per ognuno di noi e per la Chiesa intera, di imparare ad adorare, di continuare ad adorare, di esercitare tanto questa preghiera di adorazione perché solo Dio va adorato”. Con timore e gioia grande.

Bologna, Cattedrale
16/06/2022
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