Omelia istituzione otto nuovi Accoliti

Intorno a questa mensa sulla quale viene deposto il Corpo e il Sangue di Cristo si ritrova la famiglia di Dio. Siamo suoi commensali, “pregustiamo” il banchetto del cielo, sentiamo noi, uomini materiali e bisognosi di amore, “i benefici della redenzione”, anche se “non vediamo e non comprendiamo” ma siamo confermati dalla fede per cui contempliamo il “segno che appare” e che “nasconde nel mistero realtà sublimi”. Il suo corpo, per noi immolato, è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa. Intorno a questa mensa viviamo oggi – non ricostruiamo un passato, inesorabilmente tale – il pane che Gesù spezzò e che offre a noi continuando a dire: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”.

È la tavola imbandita per noi, dove troviamo un posto, preparato dal Signore come anticipo di quello del cielo. Il Cardinale Lercaro ricordava che se condividiamo il pane del cielo non possiamo non condividere quello della terra. Condivisione significa spezzare noi questo pane di amore che riceviamo, donando il nostro amore, concreto, con i nostri cinque pani e due pesci. Condividere non significa perdere ma saziarci insieme e quindi tutti! Noi siamo segnati dalla paura di restare senza, anche se abbiamo in abbondanza. L’amore per noi stessi ci riempie di paure, ci induce a ragionare come i discepoli che ognuno deve pensare a sé e noi difendere i nostri cinque pani e due pesci. Pensiamo che questi sarebbero perduti se condivisi con la folla e che non aveva senso farlo, sarebbe stato inutile, dimostrativo e non risolutivo.

È solo quando il poco che abbiamo diventa della folla che possiamo saziare tutti e siamo saziati noi con loro. Solo quando lo doniamo il pane non finisce. È vivere per gli altri che ci fa vivere per noi stessi. L’eucarestia è il centro, perché ci porta Gesù che è il centro della nostra vita. Quando lo dimentichiamo possiamo fare tante cose, ma non la parte migliore, l’unica che non ci sarà tolta, che è Gesù. Possiamo come Marta essere pieni di tanti affanni, sentirci importanti tanto da rivendicare attenzione, siamo pieni di noi ma vuoti di amore. Gesù si umilia donandosi per amore perché anche noi impariamo a non avere paura di farlo. È un pane di amore che ci rende spirituali e interiori perché ci fa sentire l’amore concreto di Dio e ci spinge a spezzare la nostra vita per il prossimo. Gesù ci nutre e non una volta, ma ogni giorno perché sa quanto abbiamo bisogno di amore: ci accompagna, cresce con noi.

L’eucarestia diventa amore per il prossimo. Dobbiamo rendere questo pane del cielo pane della terra. Non è nutrimento per vivere isolati, per fare a meno degli altri, anzi. Quando condividiamo quello della terra capiamo quello che siamo e saremo: una cosa sola, raccolta in questo mistero di amore. Quanti cuori feriti! Quanti hanno bisogno della cura di qualcuno che ha attenzione, che dia fiducia, che ascolti senza giudicare prima e aiuti dopo, che aiuti senza riserve, solo per amore, nelle difficoltà concrete, che cerchi con intelligenza di sconfiggere la causa della mia sofferenza, che mi faccia sentire persona, che mi stia vicino.

Quanto poco crediamo nella forza di questo Corpo che è solo l’amore! Noi non aspettiamo nemmeno che il giorno inizi a declinare e diciamo subito a Gesù: “Congeda la folla”. I discepoli vogliono che ognuno pensi a sé. Gesù chiede di pensare a tutti. Noi ci lamentiamo subito: abbiamo così poco. Come può chiederci questo? Non si rende conto? È eccessivo a volere sfamare tutta questa gente, lasci fare a noi, è impossibile e noi perderemo il poco che abbiamo. E poi abbiamo già tanti problemi.

Altre volte vorremmo anche aiutare Gesù nel suo sogno di dare da mangiare a tutti, ma ci confrontiamo con il poco della nostra vita, con la miseria e il peccato, con le nostre contraddizioni per cui capiamo che sono davvero poca cosa. Gesù non asseconda i discepoli! Non mette un limite. Date voi stessi da mangiare significa che quella folla è nostra responsabilità e noi ci dobbiamo preoccupare che abbia quello di cui ha bisogno, che cerca. Il primo invito del Signore ai suoi discepoli è di fare sedere la folla a piccoli gruppi.

La folla diventa famiglia. L’altro non è una presenza anonima, “uno”, ma un volto, una storia, una persona. Ecco come inizia la comunità. Il servizio stesso è eucaristico, è rendimento di grazie a un Dio che è padre di tutti perché una folla vuol dire senza distinzioni. Tutti mangiarono a sazietà.

È proprio questo il servizio dell’accolito: fare sedere, preparare l’accoglienza, la familiarità dell’eucarestia, non fare mancare il pane, distribuirlo e portarlo a chi rimane lontano, a chi è nel deserto e non può stare con noi. La mensa raggiunge chi non può partecipare.

È un ministero che aspettiamo presto sia istituito per le donne, come già previsto. Un ministero, cioè un servizio, è il dono di ciascuno messo a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile. L’accolito è legato all’altare, ma proprio per questo prepara l’accoglienza, importante per la mensa. La cura dell’altare non si esaurisce nello spazio sacro, perché la stessa mensa è dove si spezza il pane dell’amore di Cristo per i suoi tanti fratelli più piccoli. Che possiamo apparecchiare tante mense, noi che condividiamo il pane del cielo perché tanti abbiano una vita sazia sulla terra.

Bologna, Cattedrale
19/06/2022
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