Omelia Giorno di Pasqua

“Noi speravamo che fosse Lui”. Ecco i nostri sentimenti. Proprio come i due discepoli di Emmaus. Ci troviamo senza speranza, pieni di delusione, di tristezza, anche di rivendicazione, un po’ aggressivi come chi ha il cuore ferito tanto da rispondere in maniera in fondo sgarbata ad un pellegrino che dimostra interesse per noi. Quando siamo sofferenti spesso tutto sembra inutile e fastidioso. Ricordiamocelo, per non rispondere male oppure per non metterci subito a parlare di noi! Gesù ascolta e capisce le ferite del cuore. Se abbiamo visto la morte da vicino, se siamo stati travolti dalla forza del “potere delle tenebre”, come quello delle pandemie del Covid e in questi giorni terribili della guerra, croce che ha ucciso la bellezza, la speranza, la gratuità, l’amore insomma, ecco tutto ci sembra fuori luogo, inutile.

I due discepoli non restano a Gerusalemme. A far che? Tornano a casa! Salvano se stessi, discutendo, certo, ma come qualcosa del passato. Ne avranno fatto una posizione ideologica, come spesso avviene. La speranza è finita e resta solo da sopravvivere. Come sono diverse le donne che vanno al sepolcro perché amano, e trovano la vita! Anche i due sapevano che erano andate e quello che avevano riferito, ma appariva loro un vaneggiamento di donne, certificato dagli uomini, troppo poco per riaccendere qualcosa in chi ha il cuore ferito.

La Chiesa è come quelle donne: non smette di amare Gesù, di cercarlo, di stare con Lui. Non ci va per dovere, ma solo per amore. Non può vivere per se stessa e ama Gesù. Gli uomini, invece, se ne stanno tra loro, chiusi, difendendosi da un mondo violento. Forse uno di loro sarà andato a prendere di nuovo la spada, che peraltro aveva sempre con sé, nonostante il maestro, e meditava di vendicarsi o di difendersi se qualcuno fosse andato a cercare un galileo. Forse un altro si esercitava con i confronti e i giudizi, perché voleva stabilire le responsabilità e chi fosse il più grande, perché la tentazione di farlo non è mai sconfitta e senza il maestro che ammoniva di essere servi la discussione diventa ancora più brutale. Forse qualcuno si era già attrezzato a cercare una soluzione individuale, pensando di avere il diritto di essere rassegnato, cinico, attento a non farsi riprendere da sogni che giudicava solo illusioni, come Tommaso.

I nostri due discepoli stanno tornando alla vita di sempre. Cercano le occupazioni e le abitudini di prima, per verificare le capacità, per riaffermare una normalità. Si chiudono in un piccolo mondo per non pensare più a niente, fare gli spettatori, prendere tempo ed energie per il loro io. Spesso questo significa non imparare nulla da quello che è successo. Il male impone solo la rassegnazione, fa arrendere, intimidisce, fa credere tutto vano. Perché continuare a sperare quando tutto è finito?

Incontrano un pellegrino che sorprendentemente cambia lui strada e li segue. Quasi sembra lui il discepolo! Davvero Gesù è così innamorato di noi che si mette, pur di stare con noi, a fare il nostro cammino, ad aspettarci in un punto dove sa che passiamo anche noi, e cambia strada, prende la nostra. Lui si converte alla nostra strada perché noi impariamo a cambiare la nostra. Ascolta. Chiede e ascolta. Ma poi parla. Non ci parla sopra, ma parla. Anzi. La sua domanda non è retorica: vuole che apriamo il nostro cuore, che ci misuriamo con noi stessi, altrimenti qualunque cosa avesse detto sarebbe stata sopra le nostre parole. Ascolta e poi ci dice: “Lenti di cuore!”. Noi? Lenti noi che soffriamo così tanto? Sembra che non ci capisca o non ci prende sul serio? Davvero è così diverso dai tanti consulenti compiacenti che corrono appresso alle nostre emozioni, a volte per mera convenienza, altre perché non sanno cosa fare e dire, ma sempre assecondando l’io credendo che così trova se stesso.

Gesù ricorda che aveva parlato molto del male. Si vede che pareva loro come un’esagerazione, forse un pessimismo. Gesù non aveva mai parlato di una speranza a poco prezzo. Non aveva attratto i discepoli con un ottimismo a poco prezzo, che non deve fare pensare e non chiede amore. Non ha mai detto che ci pensava lui, avrebbe risolto tutto! Anzi: ci mette di fronte la forza del male e ci dice che dovremo affrontarla. La differenza è che non saremo soli e che possiamo seguire il suo amore.

Gli uomini cercano facili rassicurazioni, si sentono forti con qualche ideologia, corrono da influencer che offrono risposte sicure e rassicuranti. Dio risolve, questo sì, ma aprendo gli occhi su dove sta il male, piangendo per le tante, enormi croci e ci aiuta a vincerlo. Poi sta a noi, liberi di amare o di fare il suo contrario, drammaticamente liberi, di costruire delle croci dove finiamo noi stessi crocifissi, come le fabbriche di armi o come i nazionalismi che le giustificano e nutrono le guerre, la violenza e distruggono la vera appartenenza comune che è l’identità umana. Sta a noi credere che il mondo può cambiare e che la forza è quella di Gesù. Ecco perché “tardi di cuore”.

Adesso iniziava la speranza, non finiva! Per loro la vittoria era quella dei re di questo mondo, che combattono il male con il male. Per Gesù, invece, il male si combatte e si vince amando fino alla fine, morendo per risorgere, perdendosi per amore, cadendo a terra, trovando la via del cielo perché così si vive bene anche sulla terra.

Portiamo nel cuore e negli occhi la guerra. Non la vediamo da spettatori, ma con gli occhi delle vittime e dei loro cari. Sono i nostri cari. Vediamo tantissime croci, terribili, insopportabili, che il male ha alzato. Che possiamo fare noi? Tornare ad Emmaus, starcene noi in pace, come se la speranza di Gesù fosse impossibile, ingenua? Per questo Gesù ci dice che siamo tardi di cuore! Non giustifica le nostre tristezze, non fornisce medicine per curarci senza risolvere la causa della tristezza e lasciandoci come siamo. Gesù ci aiuta a ricordare, a capire, perché è un amico vero e ci accende il cuore di amore e di speranza, non chiudendo gli occhi o scappando, ma ricordando e capendo. Non si mette a fare una predica sul peccato senza scaldare il cuore e spiegare cosa c’è di bello, come dice Mazzolari mostrando come “il bene è bello, che il volersi bene è bello, che il prodigarsi è bello. Prima di disamorare bisogna innamorare: prima di chiudere una porta sul tempo bisogna spalancare una finestra sull’eterno”.

Le parole di Gesù accendono il cuore, svegliano perché piene di amore! Certi consulenti per le nostre tristezze e fragilità finiscono invece per infragilirci ancora di più perché il nostro problema è trovare per chi vivere, amare per affrontare le difficoltà.

Quando loro sono arrivati Gesù fa come se dovesse proseguire. I due per la prima volta non si preoccupano solo di sé ma del pellegrino che doveva camminare ed era sera, buio, pericoloso. Gli chiedono: “Fermati con noi! Resta!”. Finalmente si preoccupano del prossimo. Resta Lui perché hanno bisogno loro o perché serve a Lui? Non ci lascia soli e non vuole restare solo! La notte del dolore e della tristezza avrà sempre Lui, nostra luce. Gesù risorto lo vediamo nello spezzare il pane. Lui lo spezza per noi e noi lo spezziamo tra noi. Lui condivide perché noi condividiamo. Questo è essere uomini di pace, che non scappano dal male pensando di salvare se stessi, ma lo affrontano con l’amore che vince. Gesù, che non è un ricordo da venerare, ma una presenza da riconoscere. La nostra speranza non è rivolta al passato, ma al futuro. Il cristiano non è uno sconfitto, ma un vittorioso, che cerca la vera vittoria, quella che dona vita e luce.

Ecco, la Chiesa non smette di amare anche quando tutto sembra finito. Inizia di nuovo l’amore a mettere in movimento. I due finalmente si convertono al pellegrino, imparano a camminare assieme, affrontano il male che era a Gerusalemme, cambiano strada non per obbligo ma per amore, perché hanno visto, hanno il cuore pieno di amore. Il cuore ardeva nel petto. Lui scompare ma resta con loro. Davvero non va più via, la sua presenza è nel cuore, interiore. Hanno ricordato, hanno capito la via dell’amore, tutt’altro che ingenua e remissiva, l’unica che può sconfiggere il male.

Impariamo anche noi a farci pellegrini assieme ai tanti con il cuore triste. Spezziamo il pane perché tanti sono terribilmente soli e il dolore è enorme. Essi chiedono comunione, pace, vittoria sul male. Condividiamo la sofferenza di tanti che hanno la notte nel cuore. Restiamo con loro per trovare noi con loro il senso del cammino. Così si accende la luce della pace. Così verrà la pace: affrontando il male e spezzando la catena di odio e di divisione, con un amore grande.

“Mostrati, Signore; a tutti i pellegrini dell’assoluto, vieni incontro, Signore; con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus; e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori; non sanno che ti portano dentro: con loro fermati poiché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore” (David Maria Turoldo).

Bologna, Cattedrale
17/04/2022
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