Omelia Messa per il 19° anniversario della morte di don Giussani

Ringraziamo. Fa bene. Farlo ci rende consapevoli della grazia e ci fa ritrovare chi ce la regala, sempre senza merito. Non è un caso. È amore, da qualcuno per qualcuno. Ringraziamo per un incontro che ha cambiato la nostra vita facendoci sentire un amore che non conoscevamo e che ha rivelato la nostra grandezza, bellezza, forza; che ci ha strappato da una vita mediocre, affannata per quello che non vale, prigioniera di idoli, confusa tra i tanti incroci nella ricerca di una strada, banale perché senza un amore per il prossimo, prigioniera dell’ideologia o del facile pensare a sé. La comunione ci ha ingentilito tutti, ha riempito di poesia il nostro cuore, spesso selvatico; ha dato un nome, Cristo, all’amore che cercavamo e ci ha regalato tanti fratelli e sorelle che hanno vinto la solitudine che è in noi, cambiato le durezze del nostro carattere e dato tanto valore alla nostra persona.

L’amore non è anonimo, indefinito, come una certa pigrizia interiore che l’individualismo impaurito amerebbe, tanto da finire per provare fastidio per l’umanità concreta. L’amore vero ha sempre un volto, una storia. Il nostro amore inizia da Gesù, che lo affida ai suoi discepoli. Il Vangelo si comunica così, non è immateriale, astratto, impersonale. Il Vangelo non è la sentenza di un giudice o l’interpretazione di uno dei tanti tecnici che devono occuparsi del nostro io malconcio. L’amore è la verità e la verità è l’amore, e questa non è un’etica ma, appunto, un avvenimento, una storia personale e di popolo. Il Vangelo arriva attraverso un fratello o una sorella che ci aprono gli occhi, come Anania, ed è un incontro che diventa vero incontro, preferenza che ci rende capaci di amare tutti, di donare amore. Non smettiamo di capire e di rinnovare questo avvenimento, di esserne sorpresi, con la passione dell’inizio. Questa sera contempliamo la comunione che genera vita, personale ma non individuale, come il demone dell’individualismo ci fa cercare, tentazione che isola e condanna. L’amore nutre ed è nutrito dalla comunione, ci fa gustare la gioia di esserne parte, ci chiede la responsabilità di farla crescere.

Disse don Giussani (28.X.1992):L’avvenimento cristiano è Dio che entra nella vita dell’uomo e nella storia dell’uomo come entra nella storia dell’uomo e nella vita della sua famiglia e nella storia dell’umanità un bambino che nasce da una donna”. E questo ci cambia e si rinnova. Troviamo e ritroviamo un popolo grande, mio e nostro, che proprio nella nostra piccola vita ci fa contemplare un amore tanto più grande del nostro cuore. L’individualismo fa pensare vero solo quello che penso io, ci fa difendere con i limiti e persuade che solo possedendo siamo noi stessi. Al contrario l’amore supera i limiti, tutti, tanto che possiamo rendere un nemico amico, un estraneo il prossimo. Non facciamo mancare la nostra personale testimonianza di questo amore: curiamolo e regaliamolo perché ognuno di noi trasmette molto più di quello che pensa. Noi non sappiamo quanta forza trasmette un cuore che ama! Per questo non è mai indifferente come viviamo, se diventiamo oziosi e supponenti, come quegli adulti cui non si può più dire nulla, prigionieri delle difese e giustificati dalle paure, o se al contrario vinciamo il demone dell’individualismo con la semplice e disarmante forza dell’amore, della fiducia, del guardare sempre il prossimo con occhi buoni e svegli, senza la malizia che fa vedere solo il peccato o il calcolo, che cerca solo le convenienze.

Scopriamo e riscopriamo con gioia il seme che Dio ha messo nella terra del nostro giardino, stupiti di come questo non smette di dare frutto anche nelle stagioni più fragili della nostra vita e continua a farci vedere il tempo del germoglio, a farci vivere sempre un mattino, il mattino di un giorno che non conosce tramonto perché il giorno dell’amore non finisce. Nel 1968 Giussani disse che la comunione è “una struttura nuova dell’io”, che non è tanto un complesso di formule, di dogmi, di concezioni astratte, di idee, ma una realtà fisica, “è l’appartenenza a Cristo, ma Cristo non è il Cristo di duemila anni fa, il Cristo è quella realtà che si compie, che si rende presente nel suo corpo mistico, nella Chiesa”. Tanti cercano un segno, ne hanno bisogno. La nostra esperienza è che la vita può cambiare, che tutto può essere diverso, trasformato. Giona non lo credeva, moralista com’era e diffidente verso la misericordia di Dio, che invece di distruggere il nemico lo vuole salvare. L’esperienza è che le parole del profeta disarmano le mani violente, spezzano il legame con l’iniquità.

Ricordiamo l’amore di don Giussani per la Chiesa, che si concretizza con l’amore per il Vescovo che siede sulla cattedra di Pietro, la cui memoria cade proprio domani. Penso ad un’immagine che in questi anni ci ha accompagnato, dolcissima, riassunto di tutta la vita, eloquente più di tante parole, che rivela l’atteggiamento suo e nostro davanti al successore di Pietro – chiunque esso sia – che è stato chiamato a occupare quella cattedra. Don Giussani, malfermo, si inginocchia davanti a Giovanni Paolo II al termine della sua testimonianza in quella Pentecoste straordinaria che deve diventare maturità consapevole, non tiepida, bensì radicale ed esigente sequela di Gesù di uomini che non si intristiscono ma sono pieni del vino nuovo e sempre più buono dello Spirito. Giussani ricevette in cambio un abbraccio tenerissimo, protettivo, che risponde pienamente alla richiesta di lui e di noi mendicanti di amore. Disse San Giovanni Paolo II in quell’occasione che “il passaggio dal carisma originario al movimento avviene per la misteriosa attrattiva esercitata dal Fondatore su quanti si lasciano coinvolgere nella sua esperienza spirituale”, e quanti oggi ne hanno la responsabilità e ne servono il cammino, difendono e generano la comunione, il legame tra noi e con la Chiesa. Non smette di generare vita, come i tanti giovani ci dimostrano.

Ringrazio chi ha esercitato in passato il servizio dell’unità e della comunione e oggi ringrazio Davide Prosperi e Mons. Filippo Santoro, e con loro quanti li aiutano in questo delicatissimo e impegnativo servizio, che va sempre accompagnato dalla preghiera e da premurosa e calda fraternità. L’unità si nutre della ricchezza personale di ognuno in relazione con il corpo che tutti amiamo e che ha bisogno proprio di quello che ognuno è, non da solo, ma insieme. E aiutiamoli prendendo tutti cura dell’unità, come vi ha scritto Papa Francesco, perché l’unità non è mai scontata e non è passiva ma coinvolge tutta la nostra vita. Non siamo mai degli spettatori dell’unità e questa ha un grande potere di guarigione delle inevitabili ferite che il camminare assieme produce. Disse don Giussani: “È una grazia divina” l’unità tra le persone. L’unità, infatti, è sì “un ideale perfetto”, ma “si dispiega – lungo il tempo che passa – in mille atti quotidiani imperfetti”. Ci amiamo imperfetti come siamo e siamo uniti per la sua grazia che ci rende una cosa sola nell’amore. Per questo l’unità non ha paura della diversità, ma della divisione.

Salutando una comunità don Giussani raccomandò così l’unità e la libertà nel vivere l’appartenenza al movimento: “Non è una unità vivente se non nella libertà. La libertà è una caratteristica propria dell’essere fatto a immagine e somiglianza del mistero della Trinità”. E che cosa significa libertà? Non è dire: “Faccio quel che voglio”, ma “la capacità di aderire all’essere”; la libertà è “una fonte impetuosa di affezione, una forza di appartenenza”. È più libero, molto più libero, uno che può dire “io appartengo a” di uno che dice “io non appartengo a nessuno”. Anzi, “uno che dice io non appartengo a nessuno è in pericolo”. La nostra unità è data da Gesù, che ne è il centro e l’artefice, ma che ci coinvolge tutti, chiedendoci di pensarci insieme. Disse: “Il fare credito a te non perché mi piaci o ti stimo, il fare credito a te è il sentirmi una cosa sola con te, è il cercare l’unità di vita con te, e di pensiero, genesi dei criteri e dei giudizi di sentimento e di valutazione, di azione, di programma, l’unità con te perché anche tu sei stato toccato da quell’annuncio, sei stato toccato e lo ricevi, lo accogli anche tu”. E aggiunse di avere davanti gente che non conosceva fino a pochi minuti prima: “E ora la sento più di me stesso”.

Guardiamo il mondo intorno, pieno di tante sofferenze nascoste e palesi, di guerre e violenze che chiedono artigiani di pace forti e coraggiosi, con la commozione di Gesù che non giudica ma ama e sa riconoscere come tanti non sanno distinguere la mano destra dalla sinistra come gli abitanti di Ninive, e che nonostante il loro peccato cercano la grazia di un amore vero, gratuito. Gesù ci chiama perché tanti possano incontrare qualcuno che ha pazienza, che sa aspettare, che invita con la sua vita e con parole buone, che parla al momento opportuno, che sa stare vicino in silenzio, che non fa una lezione ma tocca il cuore con un amore vicino, possibile, nuovo. Gesù ci ha incontrato per loro. Ci manda, con semplicità e benevolenza, senza bisacce, senza pulpiti, ma con tanto cuore, mente e mani, con la forza e la bellezza di questa comunione. Ringraziamo don Giussani che per sé e per noi ha saputo riconoscere Cristo nella vita concreta, e continua ad aiutarci a dire la speranza che è in noi.

Cattedrale di San Pietro, Bologna
21/02/2024
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