Omelia nella Festa della Madonna di Montevergine

Quando cominciamo la “juta”, la salita, scompare la pigrizia, dimentichiamo affanni, preoccupazioni, paure, dubbi e ci mettiamo in cammino. Lo facciamo volentieri perché vogliamo vederla. Certo, noi lo facciamo molto più comodamente di quei tanti irpini che in passato salivano cantando, pregando, “alla buona”, con enorme e indimenticata forza di spirito. Vorrei oggi, nel giorno del Signore e in questa casa di umanità e divinità, casa di Maria Madre di Dio uomo, ricordare proprio i nostri anziani, quelli che ci hanno trasmesso la vita e la fede, portandovi spesso fin da piccoli davanti agli occhi della Vergine. I loro occhi erano molto aperti su di noi, ma sapevano bene che c’era bisogno di quelli di Maria, per loro e per noi. Oggi celebrano in cielo lo stesso amore di Dio. Con loro vorrei ricordare i tanti che per lavoro sono andati in luoghi lontani per cercare il futuro che qui non avevano, ma che non hanno dimenticato le loro radici e questa immagine. Anzi, forse l’hanno portata con sé come protezione e guida.

Ci fa bene salire! Ci allarga il cuore, ci fa trovare cuore, ci fa sentire parte di una comunità. Bisogna salire altrimenti non si vede bene la terra e facilmente si scende. Salire ci fa sperimentare che siamo piccoli e ci aiuta a capire come si diventa grandi. Non ci facciamo, infatti, grandi da soli, affermandoci, imponendo noi stessi. Solo se ci fanno grandi gli altri lo diventiamo per davvero! È Dio che ci innalza, perché l’orgoglio poi abbatte. L’umiltà ci fa sollevare per davvero perché ci rende utili agli altri, perché grande è chi serve. È innalzato chi come Maria solleva il prossimo. Maria è umile e alta. La “juta” della vita finisce nella casa del cielo dove ci ritroveremo tutti abbracciati dal Signore come Maria che, al termine della sua vita, lei “Vergine Madre, figlia del Suo figlio“ è presa in braccio da Gesù che la conduce in cielo. Dante fa pregare così San Bernardo e sento queste parole così vere in questa casa dove tutto parla di Maria: «Tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Qui se’ a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ‘mortali, se’ di speranza fontana vivace. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre». Non ce lo fa nemmeno chiedere e capisce quello che noi stessi facciamo fatica ad esprimere. Sento vero qui per noi, pur così analfabeti dello spirito, quello che avvenne a Dante che si trovò come colui che fa un sogno e, svegliatosi, gli rimane impresso l’effetto delle emozioni ma non gli tornano alla mente i particolari,  portandosi così nel cuore la dolcezza che nacque da esse. Capiamo qui con Maria l’amore che muove il sole e le altre stelle, il senso di tutto, la forma in cui tutto l’universo “si annoda”, mistero di amore per cui Dante più ne parla più è felice. Non incontriamo un sogno ma contempliamo, aprendo gli occhi della fede, la sua presenza e capiamo le cose invisibili che però sono, come è noto, proprio quelle essenziali! Qui capiamo qual è la forza che protegge la nostra fragilità che a volte si rivela drammaticamente e ci riempie di sgomento, come avviene quando siamo travolti dalla sofferenza della malattia nostra o di una persona amata. Quando si ama si soffre con l’amato e la sua sofferenza è la mia e questa diventa più lieve per tutti. Abbiamo bisogno di mettere i nostri occhi nei suoi occhi per sentirci amati, per ritrovare chi siamo, per vedere attraverso quelli la luce che non tramonta, per chiedere attraverso di lei il perdono, per sentire la dolcezza del suo aiuto. Non a caso qui tutti i fragili hanno trovato sempre accoglienza, si sono sentiti a casa, con tutti e come tutti, protetti, non giudicati o, peggio, allontanati. E davvero non era e non è scontato. Facciamo anche noi sentire sempre tutti a casa! Guardare Maria negli occhi ci insegna a guardare negli occhi il prossimo e a farlo con uno sguardo non da estranei, di malevolenza, aggressivo, ma da fratelli.

Qui ci sentiamo “guardati”. Impariamo da Maria a far sentire “guardati” i deboli, per non vivere da ciechi che non si accorgono di nulla perché cercano solo la propria immagine. Quante persone aspettano qualcuno che “li guardi” con attenzione, che li capisca, che non li faccia sentire umiliati con lo sguardo altero o di supponenza, che non giudichi, insomma che faccia sentire importanti! Siamo figli per imparare ad essere fratelli davanti alla nostra Mamma Schiavona, “colei che tutto concede e tutto perdona”. La Chiesa è madre, una madre che accoglie tutti i suoi figli perché sono suoi, lo restano anche se lontani, non li lascia ad altri o fuori casa e li cambia facendoli sentire amati, figli. Capiremo tutto solo alla fine. Ma qui capiamo molto, perché sentiamo oggi il suo amore. Sentirci qui a casa con Lei ce la fa portare a casa con noi. Non la lasciamo qui! Portiamo questa Madre, mia e nostra, nella vita di tutti i giorni, nei nostri cuori, perché il mondo non sia di estranei che finiscono per ignorarsi o combattersi, ma di fratelli che imparano a volersi bene. Solo l’amore combatte il male, disarma la violenza, sconfigge l’indifferenza, spegne la vendetta, libera dall’odio. Dio, si cantava con semplicità e profondità, si è fatto come noi per farci come Lui. Siamo già oggi come Lui. Restiamo sempre figli ma non irresponsabili! Anzi, proprio perché figli, capiamo come aiutarla, facciamo di tutto per aiutarla, per difenderla dalla divisione e per aiutarla a raggiungere tanti.

Noi consegniamo tante richieste a Maria. Le ascolta, le fa sue, sono sue. Ma Maria ce ne consegna tante anche Lei! Noi abbiamo bisogno di Lei ma Lei ha bisogno di noi, ha bisogno di figli che siano tali, che facciano per davvero quello che Gesù dice, che non abbiano paura di rispondere alla chiamata di Dio che chiede di essere accolto nel nostro cuore.

«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!», gli grida una donna per farle un complimento, con ammirazione ma anche con fatalismo. È come dire: Beata è lei, io non lo sono e non lo posso essere, non dipende da me esserlo! La felicità, pensava, è distribuita dalla sorte e io non ce l’ho e non la posso avere. Quanto fatalismo c’è ancora nei nostri cuori, che ci fa arrendere ad una vita grama, che ci fa aspettare senza rischiare e senza impegnarsi, che ci rende passivi, magari pieni di amarezza oppure, banalmente, ci fa accontentare o tirare a campare! E sappiamo come facilmente questo nutre la convinzione che bisogna salvarsi da soli, fa crescere l’individualismo oppure la ricerca di favori e non di diritti, di quello che conviene a me e non di quello che è giusto.

Gesù, però, le rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». La beatitudine dipende da noi. Beato significa felice, di una felicità che nessuno può portare via. Era quello che cercava e ha trovato Guglielmo da Vercelli, aiutando tutti a trovarla qui a Montevergine. Beato non il fortunato o il furbo, ma chi ascolta e mette in pratica la Parola. Beato sei tu se prendi sul serio il voler bene, proprio come Maria che ha creduto senza aver visto nulla, che ha affrontato i rischi di una promessa che le cambiava la vita, che ha affrontato anche la spada che le trafiggeva l’anima, beata perché ha creduto che la Parola si sarebbe compiuta anche quando non vedeva nulla. La Parola va messa in pratica, perché la capiamo solo quando diventa vita e non resta un auspicio, un’emozione, un sentimento vago, perché la Parola entra nella storia e la cambia, ma non lo può fare senza di noi. Gli occhi grandi e buoni della Madonna che ci fanno alzare lo sguardo, questa casa che ci rende il cielo vicino e ci orienta nel cammino perché “vedetta visibile da tutta l’Irpinia”, ci aiutino a capire che la felicità dipende da noi e, in un mondo con tanta violenza e solitudine, ci insegnino a trovare felicità rendendo felici gli altri. Solo per amore. E basta, magari con meno, ma in realtà possedendo tutto proprio perché solo per amore, gratuitamente.

“Oi Maronna comme sì bella/che ‘nce fai ‘int’a cappella/che ‘nce fai ‘int’a cappella/Mo saglimme ‘stu muntagnone/Maronna bella spare ‘o cannone/E Maronna mia bella/fa’ finisce chesta guerra/fa’ finisce chesta guerra. Arrivamu int’a cappella/e la Maronna ngi pare na stella/La Maronna è spasu lu mantu/
e ngi accogli a tutti quanta/Che bell’uocchi tène la Maronna/ca me pàrene doi stelle/Statti bona, Maronna mia/ l’annu chi bene turnamu a benì/ E si nu’ nge verìmu qua/nge verìmu a eternità, mparavìsu.

Grazie Maria, proteggi noi deboli come siamo e questo mondo pieno di dolore che cerca pace.

Abbazia Santuario di Montevergine - Montevergine di Mercogliano (AV)
01/09/2024
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