Quanto facilmente ci ritroviamo come Elia, quando le agitazioni e gli affanni finiscono! Il mondo intorno è un deserto, un deserto di vita che appare inesorabile e drammatico e rivela il vuoto di tante agitazioni vitalistiche e di passioni epidermiche. Elia si trova “desideroso di morire”. Spesso non è conseguenza di una scelta, ma forse proprio del non scegliere, delfidarsi solo di sé. È come l’abisso che si spalanca dentro il nostro cuore, che mostra, nel nostro e in quello altrui, com’è un abisso. La constatazione di Elia è di non essere migliore dei suoi padri. È un giudizio che diventa una condanna. Forse lo aveva sfuggito, pensando di star bene relativizzando tutto a sé. Inmaniera impietosa forse ha misurato la propria fragilità e così si scontra con la sua debolezza e non sa più che fare. Prima rifiutiamo il giudizio sulla nostra vita e poi ci sentiamo condannati, anche perché il perdono non ce lo possiamo dare da soli e abbiamo bisogno di una speranza che non troviamo. Ha paura della vita. Non è quello che pensava e si scontra con il limite che non sopporta ma dal quale non può sfuggire. Sono così e non posso farci nulla. È uno sconfitto. L’esaltazione di sé porta sempre, immancabilmente, alla distruzione di sé, tanto che niente vale la pena. Elia, forse, misurava il suo valore in termini di prestazione, di confronto, di forza, e si ritrova invece sconfitto. Quando non cerchiamo e non amiamo il giudizio di Dio – che, nondimentichiamolo, vuole la nostra salvezza, non la condanna, e il giudizio è mostrarci chi siamo e aiutarci a capire le conseguenze delle nostre scelte – finiamoper essere molto sensibili a quello del mondo, che enfatizza i confronti, il successo, inducendo a credere di essere senza valore. Io non sono meglio dei miei padri, non valgo. Il nostro valore lo capiamo amando, non imponendoci o possedendo. Il desiderio di morte si è impadronito del cuore e ha spento la voglia di vivere. Si lascia andare. Com’è possibile che prevalga la paura della vita e l’aria di morte addormenta la speranza tanto da aspettare, fatalisticamente, senza pensare che si possa fare qualcosa? Gli immancabili interpretisaprebbero offrire molte intelligenti analisi, ma non sanno trovare il motivo per cui alzarsi, trasmettere la forza per cui essere se stessi. Ci sono pochi angeli che riempiono di amore la nostra vita, fragile com’è, non parlano sopra, non interpretano, non forniscono indicazioni ma semplicemente mostrano attenzione, amore, fiducia, fanno sentire amati offrendo il nutrimento del senso. Abbiamo tanto bisogno di questo pane degli angeli, pane del cielo, perché unisce la terra ed il cielo, e anche di pane della terra. Abbiamo bisogno di angeli che lo offrano. Il primo che dona il pane è Gesù, che si fa Lui stesso pane di vita, di solo amore, e ci chiede di fermarci e di portare amore aitanti feriti della vita, a chi non riesce più a camminare, senza giudicare ma anche senza assecondare. Elia sisente schiacciato dalla sua solitudine, tanto da pensare che nulla e nessuno possano consolarlo. I problemi gli sembrano troppo grandi: non ne può più e non chiede aiuto, non sa affidarsi a Dio. La sua fragilità è una condanna, non l’occasione per farsi aiutare. Quante volte la propria fragilità, l’amarezza, le delusioni, segnano il cuore degli uomini! A volte sono ferite antiche che riemergono, fantasmi che spaventano, anche dopo anni; oppure è il senso acuto della propria meschinità, la delusione più forte di tante agitazioniche non fanno pensare e che non rispondono alla domanda vera del cuore. È come un sentimento di tristezza profonda, che fa svanire le energie del cuore, che rende la speranza un’illusione. È un misto di rivendicazione e di tristezza, di inquietudine e di pigrizia, di amarezza e di orgoglio, di disperazione e di insoddisfazione. È un disilluso: ha sognato ma sperimenta le avversità e non sa cosa fare o non ha voglia di provare ancora. Gli sembrava più vero smettere, come se continuare significasse ingannare ed ingannarsi. Non chiedere aiuto non significa che non se ne ha bisogno. Dio non aspetta che lo faccia: lo sa,capisce la richiesta e se ne fa carico. Ecco la differenzatra l’amore e la professione, tra l’amicizia e la tecnica,fare i giudici e i maestri senz’amore. Dorme. Èinsofferente ed egocentrico. C’è solo lui e cancella tutto. Giudica tutto, anche se stesso, con fastidio. Èdisamorato ma presuntuoso, vuole trovare una soluzione a qualsiasi costo, anche quello di lasciare tutto. L’angelo dovette ripetere con dolce insistenza il suo invito. Dio comprende nel profondo, più di noi stessi. È paziente verso Elia, calmo, non lo asseconda nello sconforto e nel sentirsi vittima, non lo rimprovera con un giudizio negativo o svalutante, non gli impone un dovere. Dio sa che non ci si libera facilmente dall’amarezza, dalla tristezza e dalla delusione. Sa che occorre una presenza buona per recuperare senso, desiderio, speranza, forza. Tutti abbiamo bisogno del pane degli angeli, della dolce insistenza di Dio che non ci abbandona, che spera anche quando pensiamo non ci sia più futuro possibile. Ma anche tutti noi possiamo essere angeli che portano il pane buono della parola di Dio, non in astratto ma nella condizione dura in cui ci si trova. L’angelo dona il pane della carità, quel pane di solo amore che Gesù offre donando se stesso. “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato ed ha dato se stesso per noi”. A tanta umanità triste, confusa, che ha paura della vita, doniamo gratuitamente il pane di Gesù, il suo amore, comunicando la sua parola e anche la concretezza dell’amicizia. È possibile far scomparire asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità? È un esercizio e si impara praticando soprattutto la benevolenza, richiestaci dall’apostolo. Cercare il bene, sempre. Non il motivo per cui non vale, ma perché vale; non quello che mi distingue, ma quello che unisce; non i confronti, ma la stima; non la pagliuzza, ma capire il desiderio di amore nascosto e che solo la benevolenza permette di far venire allo scoperto. Benevolenza non significa affatto ingenuità, fare finta! L’amico di Gesù è chiamato a dare amoreprezioso, non un amore qualsiasi, saldi da fine stagioneche rassomigliano più all’indifferenza che all’amore. Gesù è il pane della vita, spirituale e sociale. Ed è quel pane che deporremo sull’altare della mensa, che si lascia spezzare perché anche noi, consacrati come lui,possiamo essere nutrimento per i tanti che hanno paura della vita, che si fermano, che chiudono gli occhi perché oppressi dal sonno, che cercano amore vero che non deluda. Ci aiuta il martire San Lorenzo. San Leone Magno commenta così il suo martirio: “Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e il fuoco che lo bruciava fuori fu più debole di quello che gli ardeva dentro”. Chi ama Gesù vince la forza della paura. Anche noi possiamo rendere la comunione che riceviamo gesto di amore per i poveri e i fragili: una visita senza orologio in mano (o nella testa!), avere tenerezza per la fragilità del prossimo e non indifferenza o giudizio, e cercare la risposta al suo bisogno. Possiamo gettare semi di pace, come con i bambini ucraini ospiti questa estate delle famiglie italiane, che si sentono a casa e capiscono che cos’è la Chiesa: una famiglia vera, di persone che si amano. Vegliamo, cioè non addormentiamo il nostro cuore, senza lasciarsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e daiproblemi quotidiani. Gesù si fa realmente presente, vivo, ci attira con la forza del suo amore disarmato facendoci uscire da noi stessi per unirci a Lui, facendo di noi una cosa sola con Lui. “La presenza reale di Cristo fa di ciascuno di noi la sua “casa”, e tutti insieme formiamo la sua Chiesa, l’edificio spirituale di cui parla anche San Pietro”, come disse Papa Benedetto XVI. Questa casa che ha al centro la mensa del pane del cielo e che diventa pane di amore per tutti.
Omelia nella Festa di San Lorenzo a Castiglione dei Pepoli
Chiesa di San Lorenzo Diacono e Martire - Castiglione dei Pepoli
10/08/2024