Santa Barbara è la nostra patrona, cioè ci ricorda che siamo parte di un corpo e di pensarci insieme, appartenenti ad un organismo più grande. Sia nelle nostre situazioni personali, nell’unità della nostra casa comune, e delle istituzioni che le rappresentano e ne garantiscono il funzionamento, dobbiamo pensarci insieme. Troviamo, infatti, il senso di quello che siamo pensandoci in relazione con gli altri, non da soli. Capiamo il senso della nostra vita aiutando, svolgendo il nostro ruolo e contenti di questo, senza riempirci di confronti inutili perché ognuno ha la sua utilità. Quando tutto è relativizzato all’io finiamo per essere ossessionati dal nutrirlo, condizionati dalla prestazione, dall’esibizione di sé, che esalta e abbassa, pericolosamente. Ma a che serve il ruolo se poi non capiamo per chi serve, per chi vivere, per chi abbiamo valore per davvero? E, poi, ricordiamo che abbiamo il dovere di adempiere il nostro servizio con disciplina ed onore, e che tutti abbiamo il dovere di svolgere, secondo le nostre possibilità e la nostra scelta, “un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Così recita la nostra Costituzione. Materiale e spirituale. Voi sapete bene nei vostri diversi servizi e compiti, tutti importanti, che per affrontare le emergenze bisogna essere attenti, cercare di anticipare i problemi, non aspettare, non farsi cogliere impreparati. E voi sapete trarre dalle esperienze, soprattutto dalle difficoltà, motivo per migliorare, per essere più efficaci. Ci ricordate – spesso poco ascoltati – che il problema vero è la manutenzione che richiede tanta preparazione, serietà, studio, conoscenza e un sistema, di controlli e garanzie e che questi siano realizzati. Ecco come guardare al futuro e pensare con serietà un Piano di ricostruzione. Altrimenti è solo opportunismo, sconsiderato pensando ai problemi e alle sofferenze vissute. La preparazione è uno dei segreti per proteggere le persone in pericolo o per evitare che lo siano. Significa conoscere ciò che di imprevedibile, disumano, insidioso, traditore dobbiamo combattere, come gli incendi o le alluvioni, così come, recentemente, avete straordinariamente garantito in Romagna e in Toscana. E fa parte del segreto saperlo fare insieme, pensarsi insieme, perché se sappiamo aiutarci saremo efficaci. E bisogna anche saper immaginare i pericoli, soprattutto quando sembra tutto andar bene e che le preoccupazioni siano eccessive.
Ci insegnate cosa significa vigilare: dovete essere sempre pronti. In questo ci aiutate a capire il tempo liturgico che è iniziato, l’Avvento. Non ci si può addormentare e tanto meno possiamo vivere da sonnambuli, come ci ha ricordato con intelligenza il Censis. Sonnambuli, apparentemente vigili, ma incapaci di vedere i segni che mettono fortemente a rischio la tenuta del sistema, pieni di paura per il futuro. Quando si tratta di salvare qualcuno, di aiutare il funzionamento sulla terra, di garantire sicurezza dal cielo e dai pericoli che possono arrivare da lì, lo fate per tutti. Non sapete prima chi sarà difeso dal vostro servizio: è chiunque, perché è il nostro prossimo, senza etichette e senza esclusioni. Unite competenze tecniche a quelle fisiche, disponibilità, prontezza e spirito di sacrificio. Dovete affrontare il pericolo e forse proprio per questo lo conoscete e vi allenate a dominarlo per essere pronti. Esattamente quello che dobbiamo fare nella vita. L’amore ce lo suggerisce: se ci ricordiamo che la fragilità non è fuori ma dentro di noi non pensiamo di poter fare quello che non possiamo e che non ci è chiesto! Ma un mondo che fugge dalla debolezza propone sempre una forza terribile, impossibile, disumana. Vorrei far parlare uno di voi, per ringraziarvi e per aiutarci a capire chi siamo. Ecco, chiedo ad uno di voi, rubando le risposte di un’intervista ad un Vigile del Fuoco che mi colpì alcuni anni or sono. Tenere a bada le emozioni è la regola numero uno? Lui rispose: «Non so se è la numero uno ma di sicuro è fondamentale. Mentre stai recuperando qualcuno da sotto le macerie, mentre intervieni per un incidente stradale o in qualsiasi altra circostanza, sulla divisa devi indossare anche una specie di corazza per proteggerti dall’emotività che ti arriva addosso.
Poi, se vuoi, te la porti a casa, ci pensi di notte e, siccome sei un uomo, ti capita ogni tanto anche di lasciarti andare a momenti di sconforto. Ma quando sei lì, operativo, lo sconforto non te lo puoi permettere, perché la gente che hai davanti conta su di te e tu devi essere lucido». Che cosa ha imparato da questo lavoro? «Ho imparato che le cose brutte succedono. Lo so che sembra una banalità ma non lo è. Le persone tendono ad accettare soltanto quelle belle e, invece, avere la consapevolezza che da un momento all’altro può succedere il peggio ti fa apprezzare di più la vita di ogni giorno e di ogni momento, che magari ti sembra senza colori». Le è mai capitato di salvare qualcuno? «Una volta, tanti anni fa. Andava a fuoco uno scantinato e ho portato fuori una ragazzina che era svenuta. Quello che senti in quei casi lì basta a farti dire per tutta la vita che hai fatto proprio bene a fare il pompiere». Ad Amatrice? «Lì, purtroppo, abbiamo estratto solo morti. Mi ricordo che sotto le macerie dell’Hotel Roma abbiamo trovato un uomo e una donna abbracciati. Spesso, poi, ho ragionato su quell’abbraccio, sull’amore che trasmetteva e sul contrasto così stridente con tutto il macabro che c’era attorno…». Pensa mai ai rischi che corre? «A volte, raramente. L’incognita è sempre dietro l’angolo anche se esci per interventi che sembrano di routine. Quindi la risposta è che sì, ogni tanto penso ai rischi che corro. Ma poi mi sento fortunato, perché sono un vigile del fuoco e qualunque rischio io corra so che ne vale la pena. Sempre».
