Corpus Domini, pane di angeli e pane di pellegrini. Pane del cielo, che circondiamo di cura, di venerazione, perché è quanto di più prezioso e santo abbiamo e allo stesso tempo pane di pellegrini, nutrimento umano, familiare, mensa di amore per mendicanti di amore, perché il Signore ci accompagna nella vita concreta com’è. È il nutrimento di cui abbiamo bisogno, che ci sazia e risponde alla domanda di eternità, di senso, di amore che portiamo nel cuore. È pane che ci libera dalla tentazione di trasformare le pietre in pane, di piegare tutto al consumismo che ci illude di star bene possedendo. Non saziamo la fame di futuro riempiendoci di presente, per poi sprofondare nel nichilismo, nella vanità della vita perché privi di quello che conta per davvero. È pane offerto, di solo amore, presenza, non simbolo. Dio non resta una presenza indefinita e, quindi, meno impegnativa, come un’entità che chiede solo quello che vuole l’individuo.
È un corpo che ama e chiede amore, che rivela da che parte siamo, da imparare ad amare e che penetra nell’intimo della nostra vita. Noi siamo corpo e anima, non possiamo ridurci a istinto, a superficialità, alla ricerca della personale considerazione che finisce sempre nella competitività. Perché se non sappiamo amare, l’altro o non esiste o diventa un concorrente. Un corpo che ci insegna a curare il rapporto stretto tra anima e quello che siamo (quando questo si perde non stiamo meglio, finiamo solo schiavi delle nostre passioni ridotte a istinto). Il corpo di Gesù ci rende una cosa sola tra noi, uniti da lui. L’eucarestia ci rende suoi nonostante il nostro peccato. Saremo una cosa sola. E se ci pensiamo una cosa sola fin da oggi sappiamo vedere nella nostra povertà e miseria il riflesso dell’amore di Dio. Un corpo vuol dire non tutti uguali, ma insieme. È Gesù che unisce quel puzzle bellissimo e misterioso della vita, nel quale ognuno di noi è un pezzo unico, che acquista il suo significato solo inserendosi insieme a tutti gli altri per comporre l’immagine di Dio. Siamo fatti gli uni per gli altri e l’altro è fatto per me, il mio posto non lo trovo da solo ma trovando il resto. E solo così stiamo bene. L’arte di comporre il puzzle della vita è proprio quella del Corpus Domini, mistero di amore che ci unisce a Lui e tra di noi. Ecco la comunione.
Ecco la pace che non è non avere problemi, ma ricostruire la comunità tra le persone. È quello di cui abbiamo bisogno nel mondo e nella Chiesa. Guai a chi divide nel mondo, a chi bestemmia lo Spirito Santo, che è comunione, per interessi personali o di parte! Chi non ama è alleato della morte e della distruzione. È così quando invece di cercare quello che unisce si afferma quello che divide, si risponde al male con il male, ignorando l’altro o combattendolo come un nemico invece di amarlo, cioè trovare il suo posto nel puzzle della vita. Non è cristiano e aiuta il divisore, il nemico della persona e di Dio.
Contempliamo questo cibo che è spirituale e materiale. L’invisibile si vede solo con gli occhi del cuore. Ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Non vediamo la nostra intelligenza eppure l’abbiamo. Non vediamo l’amore eppure lo possiamo rendere manifesto. Non vediamo la corrente elettrica, e tuttavia vediamo le luci. Non vediamo il Signore stesso, ma ne sentiamo la presenza e possiamo manifestare gli effetti. Così possiamo capire che Gesù è presente. Sono proprio le cose invisibili le più profonde e importanti. Non dimentichiamo che il Corpus Domini è unito al Verbum Domini, da ascoltare aprendo le orecchie del cuore, e chi si nutre del pane del cielo ama e condivide il pane della terra, venera il Corpus pauperum, quello del fratello più piccolo di Gesù. È la vita spirituale che dà senso a quella materiale, ci aiuta a capire cosa è «l’unum necessarium».
Dice sant’Antonio che «un re aveva un anello d’oro, ornato di una gemma preziosa. L’anello, che gli era molto caro, gli si sfilò dal dito e cadde in una cloaca, per cui ne ebbe grande dispiacere. Non trovando nessuno che fosse in grado di recuperare l’anello, deposte le vesti della sua regale dignità, vestito di sacco si calò nella cloaca, cercò a lungo l’anello, e finalmente lo trovò: trovatolo, pieno di gioia lo riportò con sé nella reggia». «Quel re è figura del Figlio di Dio, l’anello rappresenta il genere umano, la gemma preziosa incastonata nell’anello è l’anima dell’uomo. Questi dal gaudio del paradiso terrestre, quasi sfilandosi dal dito di Dio, cadde nella cloaca dell’inferno; il Figlio di Dio ebbe grande dispiacere di questa perdita.
Egli cercò tra gli angeli e tra gli uomini qualcuno che ricuperasse l’anello, ma non trovò nessuno, perché nessuno era in grado di farlo. Allora depose le sue vesti, annientò se stesso, indossò il sacco della nostra miseria, cercò l’anello per trentatré anni, e alla fine discese agli inferi e lì trovò Adamo con tutta la sua posterità: pieno di letizia prese tutti con sé e li riportò all’eterna felicità». Sant’Antonio è taumaturgo, guarisce e ci aiuta a chiedere la guarigione di una relazione, perché sia piena di amore. L’impegno per la pace inizia nel combattere il male con il bene, la vanità con il senso, l’odio con il perdono, l’ignoranza con la cultura e la conoscenza, cercando quello che unisce e non quello che divide. Non abbiamo perso troppo tempo a combatterci invece di stimarci a vicenda? È possibile essere distruttivi del prossimo o dobbiamo imparare a pensarci gli uni per gli altri? È un’ingenuità o l’unico modo per sopravvivere?
Antonio esorta, e anche oggi possiamo sentire la sua esortazione rivolta a ciascuno e ciascuna di noi: «La prima pace devi averla con il prossimo, la seconda con te stesso, e così avrai anche la terza pace, con Dio nel cielo». E sono unite l’una con le altre. Antonio è realista: «Se due nemici con la spada in mano combattono, chi oserà frammettersi tra loro e trattenerli?». L’impegno per la pace deve trovare la risposta perché non sia mai la logica della vittoria sull’altro ma quella del pensarsi insieme. Affermava sempre S. Antonio: «Osserva poi che nella parola pace – pax- ci sono tre lettere che formano una sola sillaba: in questo viene raffigurata l’Unità e la Trinità di Dio. Nella P è indicato il Padre; nella A, che è la prima delle vocali, è indicato il Figlio, che è la voce del Padre; nella X, che è una consonante doppia, è indicato lo Spirito Santo, che procede da entrambi (dal Padre e dal Figlio).
Quando dunque disse: Pace a voi, ci raccomandò la fede nell’Unità e nella Trinità». È il messaggio dell’unità nella diversità. Sempre S. Antonio nei Sermones scrive: “La casa consta di tre parti: le fondamenta, le pareti e il tetto. Nelle fondamenta è raffigurata l’umiltà, nelle pareti l’insieme delle virtù e nel tetto la carità”. Ecco, siamo artigiani di pace e l’esempio di ognuno è importante! Ecco come si costruisce la pace. Ecco perché interrogarci se abbiamo fatto tutto quello che potevamo per aiutare i nemici a smettere e a riconoscersi come fratelli. La pace è possibile e inizia da noi, dono di Gesù che ci è affidato.
Buon Pastore, vero pane, o Gesù, abbi pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi.