Omelia per i funerali di don Enzo Mazzoni

Il mondo di Dio è diverso da quello finto degli uomini ma non è affatto alla rovescia. È il mondo come Dio lo voleva. Non è la consolazione per quelli che non ce la fanno, il premio per gli ultimi, ma la grazia di una vita piena per tutti noi, mendicanti di amore come siamo, tutti, liberandoci dalla triste ricerca di innalzarci da soli. Quello che è stolto per il mondo, che quindi non lo considera, lo umilia, lo reputa una sconfitta, diventa pieno di Dio che non può entrare, invece, da chi si crede già sapiente e forte da solo. Il mondo di Dio è per persone vere, che non fanno finta di essere quello che non sono. Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti. È stolto nel mondo parlare di una porta stretta, eppure se vogliamo amare per davvero dobbiamo liberarci dalla convenienza, dal possedere, dall’orgoglio, ed entrare nella porta stretta dell’amore, che appare tale a chi vuole conservare tutto di sé. La mia porta sarà chiusa per il ricco e per il forte, ma sarà larga per l’umile e il piccolo. Per il mondo è davvero stolto pensare che si è beati quando si è poveri o quando si piange, che è stolto amare senza quelli che non possono darti niente in contraccambio. Eppure solo donando gratuitamente possediamo quello che altrimenti ci viene tolto. Ciò che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; ciò che è ignobile e disprezzato per il mondo, che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. Ecco il senso della vita cristiana che ci libera dal rincorrere una sapienza che ci rende egoisti e pieni di noi stessi ma vuoti di amore, supponenti e ricchi ma incapaci di condividere. Don Enzo ha vissuto sempre in luoghi non centrali, quelli in cui si trovava bene, e li ha resi preziosi riempiendoli dell’amore di Dio, perché questo lascia la creta dei nostri vasi sempre tale ma contenitore del tesoro più prezioso ed eterno.

Ringraziamo il Signore perché don Enzo non ha tenuto per sé il suo talento, ha vinto la paura di amare per restituire la fiducia accordata, sentendo suoi quei talenti affidati, spendendoli per aiutare il suo padrone e trovando così se stesso. E i talenti diventeranno così suoi. E ringrazia per il tanto ricevuto! Uso le parole di don Enzo nel suo testamento, piene di vera sapienza umana proprio perché umile e consapevole di sé: “Ringrazio Dio per il dono fondamentale della vita e ancora di più della fede cristiana; senza sarebbe tutto vuoto. Ringrazio Dio per un dono che mi ha sempre sorpreso: la vocazione al sacerdozio ministeriale. Io che non riuscivo a dire due parole in pubblico, sono chiamato ad annunciare la notizia più bella del mondo: il Vangelo. In me si attua il mistero dello strumento povero, chiamato a toccare il pane consacrato, ad alzare le mani per assolvere, benedire, incoraggiare gli altri, quando io invece sento la mia povertà umiliante. Sia lodato il Signore nei suoi piani imperscrutabili. Un dovere chiedere perdono a Dio e ai fratelli per i tanti peccati in pensieri, parole, opere ed omissioni. Troppo facile sono stato nel criticare, troppo lento a perdonare. Non sono stato di buon esempio. La mia speranza è la misericordia di Dio e il crocifisso con quelle braccia aperte per abbracciare tutti i peccatori del mondo. Un grande grazie per il momento più importante: la messa della domenica. Un parroco vede i suoi cristiani giovani, vecchi, grandi e piccini ed insieme accoglie il Signore che parla e che viene nell’Eucarestia. E grazie ai malati che con la fede di un tempo avete accolto il Signore nella comunione e a casa vostra. Vengo da una famiglia che ha contato fino a 21 componenti e con un comando: lavoro, messa, famiglia, onestà. Forse sorprende che io non abbia parlato dei superiori e vi confido una mia paura di fronte a voi per le mie origini contadine. Avevamo paura del padrone, del fattore. Ebbene, ciò mi è rimasto incollato dentro per tanti anni. Scusatemi”.

Il talento è pensarsi per gli altri e usare quello che si è per amore. E così trova anche il senso della sua vita, quello che non finisce, la beatitudine di avere trovato ciò per cui sei stato creato. Don Enzo aveva tanti talenti, da uomo della terra com’era, concreto, generoso, serio nel lavoro, instancabile nel servizio e nell’entrare in relazione con tutti. Il suo talento era il suo sogno: trovare gente innamorata della parrocchia e, aggiungerei, fare innamorare di Gesù e della sua Chiesa. Ci ha aiutato a vivere la Chiesa come è: una casa, una famiglia. Era sensibile per questo. E ha visto nella protezione di questi anni, in particolare gli ultimi mesi così difficili, proprio il frutto del vivere la Chiesa come deve essere: famiglia di Dio. Ringrazio di cuore don Pino e tutta le comunità per come avete protetto don Enzo, trattandolo come un padre e un fratello maggiore carissimo. Grazie. Ecco cos’è la Chiesa: una famiglia che non lascia solo nessuno. Se viviamo la Chiesa come famiglia allora anche le nostre famiglie lo saranno di più. E il ricordo di don Enzo ci unisce e ci unirà proprio perché ha vissuto per la sua Comunità. La Chiesa è la nostra casa, nel senso più vero, non del possesso: nostra perché di Gesù, nostra perché l’amore è nostro se lo perdiamo per gli altri. Stava male quando i preti parlavano poco del Signore e chiedeva al vescovo se trovava “un momento propizio perché potrebbe darci una mano a creare più fraternità tra di noi”.
Con cordialità, umiltà e semplicità, quasi timido ha cercato di costruire una casa, vivere la Chiesa come la sua famiglia. Massumatico. Il 21 settembre 1967 cominciò il servizio come cappellano a Molinella, Panzano, dal 1978 al 1997 a Rubizzano e Gavaseto di San Pietro in Casale e come aiuto al parroco di San Pietro. Dal 1996 al 1997 fu amministratore parrocchiale a San Pietro in Casale, dal 1997 parroco a Malalbergo. Ricordava con commozione il gruppo del vangelo nelle case a San Pietro in Casale negli anni ‘80-‘90. Era il primo nel servire perché sapeva leggere bene le necessità degli altri, spendeva il suo talento, non lo teneva per sé. Ascoltava, faceva ironia e battute, non imponeva mai le sue verità, ma conduceva alla verità che è Gesù. I suoi occhi erano occhi che chiedevano e davano amore. Si era fatto pescatore di uomini, sensibile, quasi fisicamente vulnerabile. Il pescatore è paziente: ricordiamo a volte una certa malinconia che lo prendeva anche se sempre raccolto sobriamente in se stesso. E in fondo in questa c’era sempre una ricerca di amore, di aiuto, di relazione tra le persone che Gesù gli aveva dato di servire, il campo dove lavorare da bravo e generoso contadino quale era.

Grazie don Enzo perché hai speso il talento, i tuoi talenti, fino alla fine, coltivando l’orto della casa del Signore con la pazienza e la concretezza del lavoratore dei campi. Ricordaci di essere la famiglia di Dio, di sentirci a casa e di essere casa tra noi e per tutti, amandoci come fratelli, avendo cura del prossimo e di questa casa come e più della nostra, perché così anche le nostre case saranno piene di amore. Col sorriso con cui ti ricordiamo oggi sei abbracciato da quel Cristo che spalanca le braccia sulla croce. Prega per noi e prega perché tanti non cerchino la sapienza del mondo ma quella di Dio, perché ci siano tanti gruppi del vangelo per imparare a spendere i talenti per il progetto di amore di Dio. Il tuo esempio ispiri tanti a scegliere il servizio del prete. E con te ringraziamo Dio per le meraviglie che compie con noi, povera cosa ma riflesso dell’amore di Dio.

Chiesa di Sant'Antonio Abate - Malalbergo
27/08/2022
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