Omelia nella Festa di Sant’Agostino

Fare memoria dei santi non è come ammirare un capolavoro e noi non siamo spettatori, perché è un dono di comunione, cioè amore che ci coinvolge e arricchisce. Nella comunione quello che è suo è mio, e viceversa, anticipo di ciò che vivremo con pienezza quando saremo una cosa sola. La vita dei santi, poi, non è perfetta, ma piena di amore e di storia vissuta, che comunica la luce di Dio a distanza di tempo. Ricordare i santi – tanto più nel buio e nelle difficoltà – ci protegge e orienta, aiuta a ritrovare la bellezza di Dio, a capire il dono che siamo noi, a decidere di spenderlo. Non dobbiamo diventare S. Agostino, ma santi! Anche noi, insomma, un capolavoro! Santo non è il perfetto, ma chi ama e si fa amare da Dio.

Il problema di tutti – e il sogno di Dio è che avvenga per tutti – è trovare amore. Una certa vulgata psicologizzante – che fa torto alla psicologia – impone di trovare se stessi da soli, facendo girare tutto intorno al proprio io, prendendo sempre per sé e perdendo per questo tanto tempo, e anche soldi, consumando interpretazioni ed esperienze. In realtà trovo me stesso quando trovo l’amore e così capisco chi sono e per chi sono. Quando accade sono felice e nessuno ci può separare dall’amore di Dio e, quindi, dei suoi figli. Così è avvenuto per S. Agostino. Non vuol dire risolvere per sempre tutti i problemi, essere invulnerabili dalle pandemie della vita, non dovere soffrire più! Significa avere la forza per affrontarli, anzi, per rendere le stesse avversità motivo per un amore ancora più vero e forte. Quando troviamo l’amore, sempre tardi (che grazia è questa per me ritardatario, che ancora faccio tanta fatica a capire e ad abbandonarmi all’amore!) troviamo la forza per non avere paura di amare il prossimo, la ragione per cui sacrificarci, se serve farlo. Diceva S. Agostino, che come noi aveva cercato l’amore dove non c’era: “Né soltanto io, o pochi uomini con me vogliono essere felici, bensì tutti lo vogliono. Chiedi a due persone se vogliono fare il soldato, e può accadere che l’una risponda di sì, l’altra di no; ma chiedi loro se vogliono essere felici, ed ambedue ti risponderanno all’istante, senza ombra di dubbio, che sì; anzi, lo scopo per cui l’una vuole fare il soldato, l’altra no, è soltanto la felicità” (Conf 10,20).

Sant’Agostino con la sua vita, che condivide senza opacità con noi, ci libera da un’idea puritana, perbenista e falsa. Cercò felicità e se stesso nel prestigio, nel potere, nel possesso delle cose, ma seppe guardare davvero nel suo intimo accorgendosi che Dio era più intimo a sé di se stesso, che gli era stato sempre accanto, che non lo aveva mai abbandonato o giudicato, che era in attesa di poter entrare in modo definitivo nel suo cuore. Ecco la differenza tra una ricerca interiore e lo specchio narcisista che riflette sempre e solo il nostro io. Dio è amore ed è l’altro che ti dice chi sei. Solo l’incontro con lui è la risposta alle inquietudini del cuore umano, a quella nostalgia che abbiamo nella nostra anima e che trova pace solo nell’amore di un Dio vicino, intimo ma non piegato all’io; amore, non sostanza per garantire sicurezza e una vita senza pensieri, ma amore che ci apre alla vita vera. Tutti noi cerchiamo tante sicurezze e, pur avendone, ci scopriamo sempre molto fragili, vulnerabili. La sicurezza, infatti, non la troviamo potenziando i sistemi difensivi, ma liberandoci dalle paure e imparando a difendere gli altri e non il mio io, ad amare il prossimo che diventa il mio caro, un pezzo di me.

Chi ci fa entrare in noi stessi è proprio Gesù e il suo amore. Amando troviamo l’amore che cerchiamo, perdendo possediamo, amando gli altri gratuitamente amiamo il nostro io, non viceversa. Diceva S. Agostino: “Quando dunque compi un atto di misericordia comportati [così]: se porgi un pane, cerca di essere partecipe della pena di chi ha fame; se visiti un infermo quella di chi ha una malattia; se vai a un funerale ti dispiaccia del morto e se metti pace fra i litiganti pensa all’affanno di chi ha una contesa. Se amiamo Dio e il prossimo non possiamo fare queste cose senza una pena nel cuore. Queste sono le opere buone che provano il nostro essere cristiani” (Discorsi 358). Che pena certi nostri calcoli, le avarizie, la convinzione che a fare del bene ci si rimette, il pensare che se ne debbano occupare gli altri, la contabilità del dare e ricevere, quando nell’amore il conto è unico e quel che dai ricevi! E siamo ancora così avari di amore, noi che abbiamo ricevuto tanta bellezza e anche tante possibilità? In eo quod amatur, aut non laboratur, aut et labor amatur. Quando si ama non si fatica o, se si fatica, questa stessa fatica è amata (De bono vid. 21, 26). S. Agostino viveva, come noi, un periodo di cambiamento d’epoca, di grande crisi umana e spirituale. Sembrava tutto crollasse. Sant’Agostino ama la Chiesa e la parola di Dio e parla di sé senza esibirsi, senza mettersi al centro perché parlava di Gesù, il centro di tutto, l’unità tra i fratelli. Non è un paternalista che fa cadere lezioni dall’alto, spesso dopo che non può più dare il cattivo esempio. È attraente perché parla di quello che ha vissuto. Ecco perché oggi ci aiuta a vivere l’Evangelii Gaudium che Papa Francesco raccomanda ai cristiani e che comunica la bellezza di Dio, l’acqua che il deserto invita a cercare. E l’amore accende amore. Ex amante alio accenditur alius. È dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro (Confess. 4, 14, 21).

Sant’Agostino visse una dimensione affettiva della Chiesa. E noi? Ci sentiamo a casa? La viviamo come la nostra famiglia? La Chiesa per prima cosa va amata perché, prima di essere colleghi o vicini di banco, siamo fratelli e figli! Cosa capiamo della Chiesa se non viviamo il comandamento dell’amore? Stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Ecco il segreto. Si mette in comune tutto solo quando si ama, anzi si desidera che quello che è proprio diventi dell’amato. Mettere in comune non significa pensiero unico, ma comunione e quindi unità. Questo è contro l’individuo? La sicurezza è nel Signore che non delude e ha dato la vita per noi. Non è un mercenario! Vendevano tutto con letizia e semplicità di cuore, cioè con gioia e amabilità, umilmente, tanto che la traduzione precedente parlava di godere della simpatia di tutto il popolo. Tutte le pecore sono sue, e per loro dona la vita. Il mercenario scappa. Anche i discepoli sono pure loro mercenari quando scappano, semplicemente perché “non gli importa delle pecore” o forse, meglio, gli importa più di salvare se stessi che delle pecore. Cioè non gli importa delle pecore! Il pastore conosce ed è conosciuto. Conoscere e amare, e l’amore non è mai ad una sola direzione ma circolare, come Gesù dice di quello tra lui e il Padre. Gesù ha tante pecore che non conosciamo perché provengono da un altro recinto. Anche queste sono sue e quindi pure nostre. Se amiamo il mondo così sofferente diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Siamo una cosa sola e saremo una cosa sola e senza fine, perché “l’amore rende sempre nuove, e perciò sempre affascinanti” tutte le cose. “Non avviene di solito continua S. Agostino che, percorrendo spaziose e incantevoli località cittadine o campestri non proviamo più alcun fascino, perché già le abbiamo contemplate spesso? Eppure, mostrandole a chi non le ha mai viste, nel fascino nuovo che essi provano non si rinnova forse anche il nostro? Attraverso il vincolo dell’amore noi siamo in loro e quelle cose, che erano vecchie, diventano nuove anche per noi”.

Annunciamo il Vangelo con la nostra vita, piena di contraddizioni ma trasformata dall’amore di Dio. E saremo un solo gregge, amando tutte le pecore perché tutte sono sue e nostre. “Fratelli tutti” per combattere le terribili pandemie della vita, per vivere e fare vivere tutti, a cominciare dai più deboli e poveri, in questa meravigliosa stanza del mondo.

Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro - Pavia
28/08/2022
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