Omelia per il 50° Consiglio generale del Mcl

“Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura”, abbiamo ascoltato dal profeta. Ecco quello cui siamo chiamati: aiutare Dio, pastore, ad avere cura. È un pastore, come sappiamo, buono e quindi bello o, se vogliamo il contrario, bello perché buono. Quanto è vero per ognuno di noi: diventiamo belli perché buoni! Gesù non è un mercenario: non scappa davanti al lupo perché “gli importa” delle pecore. Ha interesse e si pensa per loro, non viceversa. A questo si ispirò don Milani con il suo I Care, che era anche una scelta ed una responsabilità. Lo aveva scritto nella sua scuola di Barbiana, scuola di vita e di Vangelo vissuto. Era il contrario del “me ne frego” che tanta violenza ha giustificato, che rozzamente e senza nessun rispetto per la persona ha disprezzato le altrui idee, facendo credere nella forza dell’ideologia. Paradossalmente sembrava moderno, anticonformista, rapido, deciso, necessario, e in realtà era solo la distruttiva affermazione di sé. Il nostro pastore ha interesse perché ama e non ne perde nessuna. Le passa in rassegna. Non è niente di militare ma è come guardarle, contemplarle, conoscerle di nuovo anche quando già si conoscono perché l’amore non smette di capire e di stupirsi, di riconoscere nell’altro la bellezza che ha dentro. Senza amore non si accende niente e tutto perde valore, pericolosamente, per tutti. Le raduna il pastore perché sa che la solitudine è pericolosa. È anche quello che siamo chiamati a fare dopo e dentro i giorni nuvolosi e di caligine che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo. Sono giorni di grande dispersione, che isolano, rendono fragili, a volte pieni di angosce. Aiutiamo questo pastore, e la Chiesa che lui ha radunato, a cercare, non a giudicare, la pecora smarrita. Quante volte siamo pronti a giudicare, anzi ci esercitiamo talmente tanto che sappiamo riconoscere la pagliuzza! Giudichiamo ma non aiutiamo, non sappiamo rendere diversi, perché il giudizio condanna, la misericordia, cioè l’amore che diventa aiuto, solidarietà, progetto, resistenza, cambia la vita. Da cristiani e con piena responsabilità aiutiamo la Chiesa a radunare e a curare in tempi di grande caligine.

Che vuol dire oggi, per noi, fasciare la ferita e curare la malata? Non dobbiamo compiere uno sforzo straordinario verso coloro che hanno più difficoltà? Penso ai fragili, ad iniziare dagli anziani. Possiamo lasciare nell’angoscia chi perde l’autosufficienza? Che vuol dire non abbandonare, non essere mercenari della vita, tanto che questa non ha più valore, non perché non lo abbia ma perché nessuno lo riconosce più, o nessuno me lo dà? Gli scartatori siamo anche noi con l’indifferenza o con il non sognare una protezione adeguata. E come sempre gli scartatori finiscono scartati! Chi condanna sarà condannato. Non dobbiamo riprendere la passione alta per difendere il lavoro dai suoi avversari e non dobbiamo farlo ancora di più in questo periodo terribile, di grandi sfide? Non servono enunciazioni impeccabili, comunicazioni digitali che finiscono per essere la nuova forma di carta patinata per ingannare le persone! Noi dobbiamo rassicurare con una presenza vera, umana, costante, attenta, intelligente coloro che si sono sentiti abbandonati da troppi mercenari. È la vostra forza: la relazione, la vicinanza alla gente. Il Giubileo è un nuovo inizio: conserva la memoria e ci aiuta a preparare il futuro. Quando non si ha visione si è facilmente smemorati e viceversa. Giubileo vi aiuta a ritrovare le idealità, cioè la passione, il sogno, l’entusiasmo, che vi hanno generato, che non si riproducono chimicamente e che oggi possiamo comprendere meglio, resi saggi anche da contrapposizioni sorpassate, più liberi quindi di ritrovare quello che unisce, più capaci di alleanze. C’è una cultura da mercenario che è diventata il pensiero dominante, perché imposta dall’individualismo, da una difesa dei diritti individuali dimenticando che l’individuo ha senso e importanza in relazione al prossimo, al noi. Il lavoro precario è conseguenza proprio di tanti mercenari, che poi scappano una volta ottenuto quello che cercano: utile per sé. La poca sicurezza sul lavoro è spesso conseguenza di un mercato del lavoro da mercenari. La mancata lotta alla corruzione è perché l’interesse privato prevale su quello pubblico. Questo causa tanta paura nelle pecore, che non sanno su chi contare. Siamo un Paese vecchio che ha paura della vita, perché piena di pericoli ma soprattutto perché disillusi. Non troviamo le risposte nelle sicurezze, che non bastano mai. Dobbiamo amare, amare con tutto noi stessi e con intelligenza perché l’amore è la risposta! Un uomo digitale e psicologizzato si chiude e cerca sicurezze e risposte che non troverà mai sufficienti. Così non si genera vita, ma si piega la vita a sé. L’amore del pastore è la vera risposta. Aiutiamo a non avere paura di generare vita, anche nel senso di trasmetterla ad altri. Ecco perché siamo qui a chiedere a San Francesco la gioia, la semplicità, la spogliazione dalle proprie ricchezze che ingannano. Per ritrovare se stessi, la povertà che ci rende quello che siamo, l’umiltà che ci rende finalmente utili agli altri e non prigionieri di noi stessi e della nostra considerazione. Offre la vita per le pecore. Ecco il cristiano. Ecco il movimento cristiano lavoratori che vuole aiutare Gesù a cercare le altre pecore che non sono di questo ovile. L’amore di Dio è sempre più largo dei nostri cuori e dei confini angusti, sia personali sia di gruppo. Ma è solo amando il pastore e aiutandolo che possiamo liberarci dalle nostre paure.

Ci aiuta oggi San Gregorio.  Il Magno, il grande. Era prefetto della città. Aveva un ruolo civile. Non dobbiamo dimenticare che questi hanno un senso se pieni di passione per il servizio! Divenuto Papa, suggerirà ai Vescovi di prenderlo a modello nella gestione degli affari ecclesiastici. San Gregorio affrontò la questione longobarda, di coloro che erano i nemici da combattere. Papa Gregorio cercò la pace, e a chi pensava che fossero solo rozzi propose qualcosa di nuovo per tutti e due. Non dobbiamo anche noi smettere di giudicare ma aiutare a ritrovare il futuro che ora i nuovi longobardi cercano? Non si chiuse nel lamento delle difficoltà ma inviò i suoi monaci in Inghilterra. Diremmo noi in uscita. Si nutriva della Parola (“Cresce con chi la legge”) e nutriva con il pan dell’amicizia. Chi divide sociale e spirituale sbaglia per l’uno e per l’altro! Guai a un sociale che perde l’oltre dell’amore perché diventa davvero interesse e la Chiesa una tra le tante organizzazioni filantropiche. L’amore è di più della filantropia, pure importante, o di una terapia di gruppo! Ma guai anche a uno spirituale che non si piega al servizio, che non sa guardare e aiutare i fratelli più piccoli di Gesù. San Gregorio “comprò e distribuì grano, soccorse chi era nel bisogno, aiutò sacerdoti, monaci e monache che vivevano nell’indigenza, pagò riscatti di cittadini caduti prigionieri dei Longobardi, comperò armistizi e tregue”. Bisogna essere umili e umiliarsi nella vita concreta, come ci insegna Gesù che per primo ama noi, suoi fratelli più piccoli! Umiltà e ricerca. “Quando ci si compiace di aver raggiunto molte virtù è bene riflettere sulle proprie insufficienze ed umiliarsi: invece di considerare il bene compiuto, bisogna considerare quello che si è trascurato di compiere”.

Papa Francesco vi chiese educazione, condivisione, testimonianza: credo siano parole ancora tanto valide in questo tempo di crisi, di molta solitudine. Nella pandemia avete vinto l’isolamento con una rete di amicizia. Continuate a tessere la rete di solidarietà, indispensabile, per fare sentire protetti. “Un cristiano senza amore è come un ago che non cuce: punge, ferisce, ma se non cuce, se non tesse, se non unisce, non serve. Oserei dire, non è cristiano”, ha detto Papa Francesco. Curiamo questa casa comune e aiutate l’unico buon pastore, servendo l’unità del gregge ma anche proteggendo e difendendo le pecore più fragili. Nella loro gioia incontreremo già oggi l’eternità che darà senso al tempo. Buon Giubileo.

Basilica superiore di S. Francesco - Assisi
03/09/2022
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