Omelia per la festa di Sant’Agostino

Non possiamo comprendere Sant’Agostino senza la sua comunità. Nella sua stessa scelta di vivere con altri fratelli, pur esercitando il ministero episcopale, ci ricorda che il cristiano non è mai uno solo perché è generato da una madre che ha molti figli, fratello di tutti coloro che ascoltano e mettono in pratica la parola e che sono generati non dal sangue ma dallo spirito. È la prima lezione che vorrei trarre oggi per il nostro tempo, per il mondo e per la Chiesa.

La fraternità non è un galateo (se non ricordo male qualcuno, un po’ di tempo fa, disse che non si può vivere in un condominio, perché così si finisce per coltivare l’estraneità e indebolirsi) ma non è neanche facoltativa. È la stessa cosa se davvero mettiamo tutto in comune, abbiamo un cuore solo e un’anima sola? Cosa ci chiede e cosa succede se non lo facciamo? Non si tratta di imparare di nuovo a spezzare il pane nelle case? E che le nostre case siano luoghi ospitali, familiari, dove si crea e si ricrea la comunione? La Chiesa è sempre domestica. Cosa significa in un mondo individualista come il nostro, dove i diritti dell’io hanno sgominato quelli del noi, tanto che questi sembra quasi si debbano giustificare e, soprattutto, non mancare mai di rispetto all’idolatria del vivere per sé? La parola di Dio ci indica due caratteristiche frutto proprio del pensarsi insieme intorno a Cristo: letizia e semplicità di cuore.

La semplicità di cuore, che richiede di liberarsi dalla complessità dell’amore per noi stessi, è molto diversa dal fare dipendere tutto dagli stati d’animo personali. La semplicità di cuore è possibile quando si vive disarmati e troviamo nel prossimo non la pagliuzza ma il dono che contiene. Sappiamo come cresce anche nella Chiesa quella polarizzazione così diffusa nella nostra generazione, che non affronta i problemi, ma li esaspera, perdendo l’insieme, la complessità del capirli e, quindi, anche di trovare le soluzioni (nella polarizzazione non si tratta di cercarle, spesso faticosamente, ma solo di imporle). Quando viviamo amandoci così il Signore aggiunge alla comunità quelli che erano salvati. La Chiesa è fertile se vive l’amore fraterno, se si fa riconoscere da come ama, se non diventa un gruppo strutturato attento alle strutture e non alla libertà dell’amore, se non pensa di essere a numero chiuso, finendo così somma di tanti io e non un corpo nello spirito che trasforma la faccia della terra.

L’Apostolo descrive come «gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole». Sembra eccessivo l’Apostolo. Ma davvero i capricci sono i nostri gorghi esistenziali, i labirinti del cuore, che i maestri debbono rassicurare, nutrire e che, come l’intelligenza artificiale, assecondano, tanto da diventare una prigione, una dipendenza. Sant’Agostino ha sofferto perché quel maestro venisse riconosciuto, non fosse manipolato, tanto da diventare funzionale a fare i fatti propri, a benedire l’individualismo, invece di ferirlo chiedendo l’amore per il prossimo e facendosi carico dei poveri. Perché nella famiglia di Dio non siamo ospiti o oggetto di filantropia, ma fratelli e sorelle.

E Sant’Agostino, ed è questa la sua lezione che così poco abbiamo imparato, ci spiega che la verità è una sola, Gesù, e che questa non è mai contro la nostra ricerca ma, anzi, è la risposta cercata talvolta in modi complicati o in luoghi sbagliati. Ci libera dal rigore (in genere lo abbiamo verso gli altri, non verso noi stessi!) di chi riduce la verità a codice, a regola, attento all’esteriorità, a imbracciare le armi del rigore (sugli altri), impaurito che la misericordia (che è la verità di Dio) appaia sconsideratezza.

O non rendendosi conto e credendo di combattere il peccato colpendo il peccatore, e di essere a posto con questo, quando invece Gesù il peccatore lo cerca, ne condivide la mensa senza timore del contagio perché è puro dentro, si dispera per andare a capire dove è finita la pecora che si è perduta. Una verità senza Gesù è pericolosa, porta a disinteressarsi dell’anima perché finiamo attenti solo agli sbagli e non alla resurrezione, dipendenti da questi, sempre negativi, tanto da saper vedere solo la pagliuzza, impauriti dalla vita. La verità di Gesù è il suo amore che arriva nei modi suoi e non nostri.

Il desiderio, la nostalgia di Dio, non è altro dall’io ma ne è la sua espressione più profonda, che possiamo capire solo nell’amore. E questo è sempre libero, molto più libero, e per questo davvero esigente. Gesù è la porta, l’incontro che cambia la vita, che fa entrare nella dimensione piena, che unisce la città di Dio e quella degli uomini. Ed è larga e spaziosa per i piccoli, molto piccola per i grandi! Gesù non ha paura dei peccati ma di quelli che possono far perdere l’anima! Agostino, dopo tanti maestri, dopo esser corso dietro a tante suggestioni, ha trovato un amore vero, l’amore. E questa è la sfida, non teorica, non in negativo. Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1). «Tu infatti – riconosce Agostino (Confessioni, III, 6,11) rivolgendosi direttamente a Dio – eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta», «tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te» (Confessioni V, 2,2). «Ed ecco Tu eri dentro e io fuori, e lì ti cercavo, e nelle bellezze che hai creato, deforme, mi gettavo. Eri con me, ma io non ero con te. Da te mi tenevano lontano quelle cose che, se non fossero in te, non esisterebbero. Hai chiamato e hai gridato e hai rotto la mia sordità, hai brillato, hai mostrato il tuo splendore e hai dissipato la mia cecità, hai sparso il tuo profumo e ho respirato e aspiro a te, ho gustato e ho fame e sete, mi hai toccato e mi sono infiammato nella tua pace». E in questa capiamo quella che non finisce.

«Quando saremo giunti alla presenza di Dio, come non ci infiammerà quell’amore senza inquietudine che proveremo dinanzi al suo volto, che ora desideriamo e a cui aneliamo? Se ora aneliamo a lui senza vederlo, quando lo avremo raggiunto, come ci illuminerà! Come ci muterà! E che cosa farà di noi? E noi, o fratelli, di che cosa ci occuperemo? Questa sarà la nostra occupazione: lodare Dio. Amerai e loderai».

Roma, Chiesa di Sant'Agostino
28/08/2023
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