Omelia per la Messa in occasione della 73a Settimana Liturgica

Il martirio di Giovanni Battista, il più grande tra i nati da donna, precursore di Gesù, come abbiamo pregato, nella nascita e nella morte ci pone di fronte all’amore chiesto da Cristo ai suoi. A tutti, perché tutti chiamati ad essere testimoni. Nessuno può impadronirsi della chiamata usandola solo per sé.

La luce non si nasconde sotto il moggio. E poi siamo stati largamente messi in guardia da Gesù sul fatto che saremo condotti davanti a tribunali (se seguiamo lui, certo, altrimenti staremo tranquilli o ci mandiamo gli altri!), ma anche che possiamo alzare lo sguardo quando “accadranno queste cose” per vedere il Signore che viene proprio quando tutto sembra perduto, perché non ci lascia soli e ci aiuterà Lui a dare testimonianza. Le pandemie che hanno scosso la fragile barca dell’intera umanità sono la condizione ordinaria del mondo e del cristiano, chiamato a non scappare perché amato “fino alla fine”.

Un amore così è giudicato troppo esigente per l’idolatria dell’io, costretta a perdersi. Giovanni Battista non addomestica la sua voce, non sceglie la via di un elegante opportunismo. Continua a preparare la strada al Signore che deve venire, parlando opportune et inopportune perché non andiamo nel deserto a vedere una canna sbattuta dal vento. Giovanni non si adegua alla logica di Erode. Non evita i problemi giustificando, interpretando, facendo finta, rinviando. Parla e anche la prigione non lo induce a diventare un rassicurante garante di benessere e di felicità individuale che piega tutto, anche Dio, a se stesso.

La vicenda di Giovanni Battista rivela anche un aspetto di Erode – come sempre del potere senza Dio e senza il prossimo – penoso, amaro, mortifero anche verso se stesso. La memoria del martirio ci pone di nuovo l’amore senza limiti richiesto a tutti. Ama sino alla fine. Che amore è quello che si ferma ad un certo punto? Purtroppo un certa insistenza sul sacrificio senza il proporzionato legame all’amore ha reso incomprensibile, per alcuni addirittura poco cristiano, parlare di sacrificio, alla ricerca di un amore a poco prezzo e di rassicurazione per garantire l’io. Giovanni Battista è il precursore anche nella morte, perché con questa prepara la strada al Signore. Non si capisce il martirio senza comprendere l’amore donato e richiesto da Gesù. Ecco il legame stretto tra l’eucarestia e la testimonianza: non siamo degli eroi, ma degli amati che non smettono di amare. Siamo dei peccatori e dei deboli che vincono il male perché forti di questo amore, solo di questo.

E potremmo dire che se non c’è amore vincono la paura, la complicità, la mediocrità. E un amor mediocre non ha mai messo paura al male. Quando la comunione con Gesù diventa anche comunione personale, domestica, affettiva, non virtuale ma umana, incarnata, l’amore dei fratelli e quello personale di ognuno è più forte. Se siamo una cosa sola, se ci lasciamo unire nel pane noi che eravamo dispersi sui colli, la nostra testimonianza sarà più capace di affrontare il male e di combatterlo.

Ce lo ricordano i tanti nostri fratelli che proprio per l’eucarestia hanno perso la vita e tutti i martiri che nutriti da questo amore sono rimasti, invece di salvare se stessi, e non hanno smesso di affrontare il male, temibile e imprevedibile come Erode. Ricordo tra tutti – anche lui un martire dei nostri tempi – il Cardinal Van Thuan. Il mondo si ama, non si combatte se non con le armi della misericordia che è la presenza dell’eucarestia, banchetto di peccatori perdonati. «Senza la domenica non possiamo vivere»: ci mancherebbe la vita. Certo, a pensare a come sono descritte dai fedeli le nostre celebrazioni, verrebbe da credere che i nostri cristiani dicano “senza messa viviamo meglio” oppure “non ne possiamo più”! Tutti siamo chiamati a prendere la croce di ogni giorno su di noi. In un tempo di guerra, di tanto individualismo, nutrito dai maestri che assecondano i capricci, con la tentazione di restare lontani dal mondo e credere di testimoniare la verità, perché si condanna ma senza amare e senza dare la vita, il martirio di Giovanni Battista ci restituisce la grandezza e la bellezza dell’amore fino alla fine.

La bellezza della liturgia è la vera partecipazione di tutti, non il protagonismo allargato o penosamente distribuito. È una bellezza tutta umana e divina, vicina, personale e comunitaria e tanto più larga perché mistero dell’amore infinito di Dio. In questo tempo tra pandemia e insulso individualismo spezziamo il pane buono della Parola e del Corpo di Cristo per essere noi stessi pane per i tanti affamati che hanno nostalgia di Dio e non trovano parole e luoghi.

Vorrei ricordare in questa celebrazione, che come tutte ci unisce a chi ci ha preceduto, Padre Pino Puglisi, a trent’anni dalla sua morte, e Annalena Tonelli, a vent’anni della sua uccisione in Somalia, dove era rimasta. Ella viveva nel Ut Unum Sint che era “l’agonia amorosa della mia vita, lo struggimento del mio essere”. Disse: “È bello combattere perché la colpa venga cancellata, perché i comportamenti sbagliati vengano riformati, perché in ogni relazione con gli altri l’approccio divenga positivo… il nostro compito sulla terra è di far vivere. E la vita non è sicuramente la condanna, lo ius belli, l’accusa, la vendetta, il mettere il dito nella piaga, il rivelare gli sbagli, le colpe degli altri, il tenere nascosta invece la nostra colpa, l’impazienza, l’ira, la gelosia, l’invidia, la mancanza di speranza, la mancanza di fiducia nell’uomo. La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che DIO c’è e che LUI è un DIO d’amore.

L’Eucaristia ci dice che la nostra religione è inutile senza il sacramento della misericordia, che è nella misericordia che il cielo incontra la terra. Non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Così è per me. È nell’inginocchiarmi, perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato, che io trovo pace, carica fortissima, certezza che TUTTO è GRAZIA. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre … I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi.

Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio. Inventiamo… e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita”. Ecco, eucarestia e servizio, amore fino alla fine che diventa forza capace di sconfiggere quella terribile del male, dei tanti Erode come la guerra con le sue logiche e giustificazioni. Chi si inginocchia davanti alla presenza eucaristica si abbassa per sollevare il povero. Chi si nutre di questo pane di amore è più forte della barbarie della violenza, dell’arroganza del potere. “Se condividiamo l’amore del cielo come non condivideremo quello della terra?”, interrogava il Cardinale Lercaro.

 “Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio e aprite davanti a Lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da Lui esaltati. Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre” (San Francesco d’Assisi, Lettera a tutto l’Ordine II, 26-29).

Chiavari
29/08/2023
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