Omelia tenuta a Nembro (Bergamo) nell’anniversario della morte di padre Martino Capelli (1 ottobre 1944)

Quante volte, guardando le croci di questo mondo – talora, dobbiamo riconoscerlo, distrattamente, come se non ci riguardassero, pensando che l’altro non sia il mio prossimo – ci siamo interrogati sul perché del male e sul mistero della morte che spegne la vita delle persone.

In realtà l’altro sono io e il prossimo è davvero l’unica possibilità per trovare il mio io. Basta guardare gli occhi della vostra bellissima immagine di Maria Addolorata, così aperti e pieni di lacrime, che ti guardano per cercare te, per farti capire il suo dolore, lo sconforto, l’abisso in cui viene inghiottito chi ama qualcuno che non c’è più, per chiedere aiuto, comprensione, presenza, umanità. Sono gli occhi di tutte le vittime e di tutte le madri delle vittime.

Se scappo dal suo dolore, da quel dolore, sarò travolto anche io dal male e dalla sofferenza che sempre genera. Dio non scappa. Anzi. Gesù, non dobbiamo dimenticarlo, non è la causa del male: è in croce perché non ci domandiamo più dove sta Dio ma per cercare di fare trovare all’uomo da che parte stare.

Lui è la vittima non il colpevole. Certo, pensando ai frutti, sempre inquietanti, del male non smettiamo di interrogarci sul perché Dio permetta la sofferenza, perché non ascolti il grido disperato di tante persone appese alle croci che il male, con la stolta complicità degli uomini, continua ad alzare nei tanti Golgota del mondo.

Non aiutano certo i narcotici che stordiscono, rassicurano, illudono, fanno sentire quello che non si è, fanno sperare in una gioia senza prezzo, in una resurrezione senza venerdì santo, senza sacrificio. Non sono solo le tante dipendenze che s’impadroniscono dei cuori e delle menti e che le annullano, ma anche l’illusione che per me o per noi sarà diverso, tanto da dileggiare un povero uomo come me e accanirsi su di lui, noi tutti che siamo condannati alla stessa fine. Le droghe illudono di potere stare bene ed evitano la lotta contro il male, ma non lo vincono.

La risposta alla domanda è nella mano aperta di Maria della vostra bellissima immagine: ce lo indica, ci chiede di fermarci, ci chiede Lei perché il suo figlio buono non c’è più, perché gli uomini lo hanno ucciso. Ecco qual è la risposta a “dove sta Dio?”: un amore senza fine, che vince il male amando. Maria Addolorata non vince il male per coraggio, ma per amore! I discepoli coraggiosi sono scappati tutti con il loro coraggio! Accanto alla sofferenza resta solo chi ama, perché l’amore è la nostra forza.

Il Vangelo ci mostra la sofferenza non perché la ami ma perché ama la vita vera, segnata dal limite e dal dolore. Il cristiano ha paura, ma ama l’altro più di questa. Non c’è gioia vera senza affrontare il male, non c’è Pasqua senza il Venerdì della croce, non c’è vittoria senza sperimentare lo sconcerto della sconfitta, per perdersi. Ma anche non c’è croce che non veda la resurrezione.

Nella pandemia abbiamo capito che il male ci riguarda tutti, che siamo tutti sulla stessa barca, che la stanza del mondo è davvero una sola e non ci si salva da soli e che soltanto insieme se ne esce. Voi lo sapete bene cosa significa la pandemia e anche ritrovarsi sulla croce improvvisamente, sentirsi un niente, senza protezione e difesa, soli, abbandonati, come grida Gesù dalla croce. Oggi Maria ci ricorda che Lei stava sotto la croce dei nostri cari e che non li ha lasciati soli.

Oggi Maria ci ricorda che siamo fratelli di suo figlio e che Lei è madre nostra, che ci guarda per coinvolgerci nell’amore per suo figlio, perché il dolore è insopportabile e per chiedere di aiutare chi soffre. Resta chi ama: una madre e quel discepolo giovane. La Chiesa, madre addolorata, resta nei tanti Nembro del mondo.

Gesù ama fino alla fine e se il male divide, isola perché quando si muore si muore soli, come cantava il poeta, l’amore unisce. Gesù genera una famiglia, la sua famiglia, davanti al limite oscuro della vita. Si muore soli perché tanti crocifissi, proprio come Gesù, non hanno nessuno che resti vicino. Gesù non ci libera dalla morte, ma ci fa sentire amati per affrontarla e vincerla con Lui e per Lui. Non siamo soli. Non siamo lasciati soli. Non saremo lasciati soli. Non erano soli.

Se il male divide, l’amore unisce. Se per amore di Gesù restiamo sotto la sua croce troviamo questa madre e possiamo aiutarla. La sofferenza non ci può proprio essere estranea. Cento anni fa venne incoronata questa immagine. Era appena finita la prima guerra mondiale, esperienza terribile che travolse milioni di persone, una pandemia terribile che comunque uccise meno persone di Nembro della pandemia del Covid!

I sopravvissuti – in realtà siamo sempre tutti dei sopravvissuti – non vollero perdere la consapevolezza. Incoronare Maria Addolorata significava ricordarsi di chi ha sofferto e ringraziare questa madre che resta. È vero, basta solo un poco di benessere per dimenticarci della sofferenza! Le corone della Madonna e di Gesù sono state donate da chi rischiò la propria vita in guerra, e fu incoronata l’8 agosto del 1920 dal cardinal Giorgio Gusmini, vescovo di Bologna.

Incoroniamo Maria con il nostro amore, sempre prezioso e che rende preziosa la persona. L’Addolorata ci fa desiderare che gli occhi siano asciugati e che i tanti crocifissi dal male abbiano sempre accanto ad essi una madre e un discepolo che ama. Quel discepolo possiamo essere ognuno di noi: che nessuno sia lasciato solo nella sua fragilità.

Come San Giovanni è stato il vostro Martino Capelli, presenza di amore dove tutto sembrava perduto. Aveva capito cosa era la croce qui, davanti all’immagine e l’ha vissuto quando quella croce erano i corpi e i volti terrorizzati della sua gente, travolti dalla brutalità vigliacca delle SS.

Qui celebrò la sua prima messa e l’ultima l’ha offerta, unendo il suo sangue a quello della vittima che è Cristo, celebrandola a Pioppe, vicino a Marzabotto. Nel ’44 si recò a Pioppe di Salvaro per aiutare mons. Fidenzo Mellini, che lo aveva invitato per le ferie, e trovò un buon amico e fratello, don Elia Comini, salesiano.

Assieme vissero il triduo del loro martirio. La canonica e la chiesa di Pioppe di Salvaro erano gremite di gente terrorizzata per il rastrellamento dei nazisti e dei fascisti. Il primo pensiero dei due sacerdoti fu di porre in salvo gli uomini, esposti alla rappresaglia. Celebrata la loro messa, giunse un uomo trafelato avvisando che erano state uccise delle intere famiglie alla Creda. P. Capelli e don Comini, resistendo alla dissuasione delle donne, decisero di andare da quella gente a portare l’aiuto e il conforto religioso. Ma giunti furono arrestati dalle SS e costretti a portare le munizioni tutto il giorno.

Verso il tramonto furono condotti nella “scuderia” della Canapiera davanti alla chiesa di Pioppe. Rinchiusi nella piccola stanza di sicurezza, qualcuno poté vederli dalla finestra: don Comini additò il cielo, padre Martino pregava. A Pioppe vennero trucidate 44 persone. P. Capelli si alzò in piedi, rivolse alcune parole e fece il segno di croce. Tracciando quest’ultima benedizione, cadde con le braccia in croce. Aveva trentadue anni.

«Nessuno ha un amore più grande di chi dona la propria vita». Si firmava padre Martino dell’Addolorata. Da giovane si era consacrato con queste parole: «Io, Martino Capelli dell’Addolorata, alla presenza tua mio Dio e alla presenza del Sacro Cuore di Gesù, rinnovo la mia consacrazione alla Vergine Addolorata. A Lei consacro tutta la mia persona: la mia anima, la mia intelligenza, la mia memoria, la mia volontà, il mio cuore, i miei sensi, tutti i miei pensieri. Le offro anche la mia morte e qualunque genere di morte. Ti supplico di guidarmi per la via del cuore di Gesù, rendimi forte di anima e di corpo. Un giorno ricevimi nel Santo Paradiso». Ecco perché non è scappato. Chi ama l’Addolorata ama Gesù che ce la affida e ci rende suoi figli. Chi perde la vita per amore la trova per sempre, vince la pandemia del male, diventa seme di speranza e luce nel buio della morte.

Nembro (Bergamo)
01/10/2021
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