Omelia V domenica di Quaresima 2020

Bologna, Cattedrale

Anche a noi tutti è arrivata una notizia che non avremo mai voluto ascoltare, che appare incredibile e che sconvolge la nostra vita abituale. “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. La nostra preghiera è quella delle due sorelle che mandano a chiamare il maestro per averlo vicino. Non glielo chiedono, ma è il vero contenuto: vieni vicino. Noi siamo la famiglia dei tanti Lazzaro in un mondo che è ridotto ad ospedale da campo! Di alcuni conosciamo il nome e non vogliamo mai che diventino un numero.

Di tutti conosciamo la sofferenza e ne vogliamo essere familiari. Il virus della malattia attraversa tutte le frontiere e senza rispettare nessuno colpisce per spegnere la vita, irridere le nostre sicurezze e dimostrare la sua forza, terribile, inquietante che fa crescere la paura e morire la speranza. Qualche volta semina anche inimicizia, perché invece di capire che stiamo sulla stessa barca, in un diluvio davvero universale, diventiamo insensibili verso il fratello, avvertito come nemico.

Se posso rivolgere una richiesta: salutiamoci quando ci incontriamo, altrimenti sembriamo tutti dei marziani. L’umanità ci aiuta a superare l’isolamento!  La preghiera annulla la distanza. Seguiamo Gesù per non restare noi distanti, di fatto insensibili al grido di dolore e di intercessione di chi sta male, per qualsiasi Lazzaro, perché Lazzaro siamo tutti noi.
Gesù ai suoi discepoli ripete qualcosa che è difficile da comprendere per uomini superficiali, obbedienti alla legge del salva te stesso che ci fa scappare dal male o esserne indifferenti finché non raggiunge noi. Come per il cieco nato di cui abbiamo ascoltato domenica scorsa, Gesù spiega che le avversità sono occasione per compiere le opere di Dio, per mostrare la gloria di Dio e trasformare il male in occasione di amore. Gesù non cerca le avversità o peggio le provoca: ci sono, perché c’è il male e i suoi frutti.

Quando il male si rivela si rivela anche quello che siamo e cosa abbiamo nel cuore. Se siamo egoisti cerchiamo di salvare noi stessi. Se amiamo qualcuno e amiamo Dio con quel granellino di senape di fede, scegliamo di andare con Gesù da Lazzaro, non perché non abbiamo paura o ci buttiamo via ma perché amiamo più Lazzaro delle nostre paure. Non è forse sempre così per chi ama? E così mostriamo e vediamo la gloria di Dio, così diversa da quella degli uomini che tante energie e vanità consuma e che produce in realtà anche tanta sofferenza e miseria umana.

Cerchiamo con ossessione, e difendiamo con passione, i primi posti nelle sinagoghe e i riconoscimenti nelle piazze, che poi tradiscono e non difendono perché vuoti di amore vero. La gloria degli uomini è individuale, esibizione di sé e finisce con sé. Quella di Dio è amore, è donata, si comunica, unisce e si rivela quando l’amore incontra l’altro. E’ la gloria che “vediamo” quando il male è sconfitto, quando vinciamo la solitudine e la sofferenza con la forza della preghiera e della solidarietà.

La gloria di Dio è nel pianto di Gesù e in Lazzaro che esce dalla tomba, nelle lacrime asciugate, nella amicizia che vince tutte le distanze e diventa condivisine piena. Maria quando vede Gesù piange – come capita quando abbiamo un dolore e vedere la persona amata ce lo fa sciogliere in lacrime – e Gesù piange a sua volta. Se vedo piangere qualcuno ne sono coinvolto, se ho ancora un cuore. Gesù trasforma quel pianto in forza di amore, in preghiera, in grido di liberazione dalla pietra di rassegnazione e di fine. Vedere il pianto ci aiuta a piangere di fronte ad una sofferenza così grande e forse anche vergognarci di tanta rapida freddezza, più preoccupati di mettere una pietra sopra e chiudere le domande piuttosto che trovare le risposte.
Racconto due esempi di questa gloria. Un’infermiera di uno dei nostri ospedali – desidero ricordare con emozione anche i tanti medici e personale sanitario che sono morti aiutando i malati – si fa vicino ad un’anziana sola, che non poteva ricevere visite, e che “all’inizio non voleva parlare con nessuno, teneva gli occhi sempre chiusi come se lei non ci fosse. Non rispondeva neanche alle domande. Non voleva accettare la morte e aveva paura”. Lei le ha chiesto se poteva starle un po’ vicino. “Piangendo mi ha fatto cenno di sì, mi ha chiesto di non lasciarla da sola. Di stare lì con lei. E le ho tenuto la mano e ce la stringevamo a vicenda. Abbiamo pianto insieme”. L’altro esempio è un ragazzo, timido, che si è fatto coraggio perché amico di Gesù (chi è amico di Gesù crede nell’amicizia e ha tanti amici) ed ha chiesto, con iniziale imbarazzo, al suo vicino di casa, rimasto vedovo da poco, se voleva che gli facesse la spesa. L’anziano si è messo anche lui a piangere, perché si vergognava di chiedere e perché ha sentito la protezione gratuita e questo lo ha liberato da tanta tensione, dalla pietra pesante della solitudine. Ha pianto ma aveva bisogno di qualcuno che lo amasse. Ecco, lì c’è la gloria di Dio.

Marta e Maria si sentivano abbandonate ed esprimono un misto di rivendicazione e di desiderio (“se tu fossi stato qui”). Tutti di fronte al male sperimentiamo il senso di impotenza, il bisogno di qualcuno che ci difenda, la delusione quando questo non accade. Gesù peraltro è tornato perché vuole a Lazzaro “molto bene” e sarà condannato a morte proprio per averlo fatto risorgere, potremmo dire per amicizia. Il Signore vuole rendere consapevole Marta della forza che ha se crede, della forza che è l’amore di Dio in lei e in noi.

“Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. L’amore vince, non finisce e strappa dalla morte i nostri cari che sono morti: essi vivono in Lui. Anche noi non possiamo fare a meno del nostro amico Lazzaro, lo amiamo e facciamo di tutto per lui! Gesù a gran voce, come a liberare da tanto vuoto chiacchiericcio e per indicare la forza della sua Parola, chiede di togliere la pietra pesante che era la parola fine e dice: Vieni fuori! Non mette una pietra sopra alla speranza, alla luce, alla misericordia. L’amore non finisce e libera dai legami della morte, riaccende la vita, restituisce Lazzaro a se stesso e ai suoi.
Difendiamo la vita e mostriamo la gloria di quello che non finisce e che unisce gli uomini tra loro e il cielo e la terra. Seguiamo anche noi Gesù, essendo buoni, pieni di speranza, amici di Lazzaro, fratelli con un grande cuore universale e pieno di amore per tutti. Abbiamo visto la gloria di Dio. E’ la nostra fede che ci fa dire con Marta: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.

29/03/2020
condividi su