1. «Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la
sua misericordia». Nel momento in cui la Chiesa vive la sofferenza di
essere stata privata del vicario del suo Sposto e Signore, il santo Padre Giovanni
Paolo II, riceve l’invito a celebrare il Signore «perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia». L’apostolo
Pietro ci indica quale sia l’opera in cui la misericordia di Dio, anzi «la
sua grande misericordia» si rivela: la rigenerazione della persona umana
mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, in vista di una speranza
viva.
Carissimi fratelli e sorelle, qui troviamo il “luogo spirituale” in
cui collocare il ministero e la persona di Giovanni Paolo II: nell’opera
della grande misericordia del Padre, nella rigenerazione dell’uomo mediante
Cristo. Nel cuore del mistero redentivo, “divinae pietatis sacramentum”,
come amavano chiamarlo i Padri.
Così Giovanni Paolo II concludeva la sua fondamentale enciclica sulla
misericordia di Dio «La ragione del suo [= della Chiesa ] essere è … quella
di rivelare Dio, cioè quel Padre che consente di essere “visto” da
noi nel Cristo (cfr. Gv 14,9). Per quanto forte possa essere la resistenza
della storia umana, per quanto marcata l’eterogeneità della civiltà contemporanea,
per quanto grande la negazione di Dio nel mondo umano, tanto più grande
deve essere la vicinanza a quel mistero che, nascosto da secoli in Dio è poi
stato realmente partecipato nel tempo all’uomo mediante Gesù Cristo» [Dives
in misericordia 15,7: EE 8/205]. Così scriveva agli inizi ancora del
suo pontificato. E giunto alla fine, nelle ultime pagine del suo ultimo libro,
Memoria e identità scriveva: «Ã¨ stato un male di proporzioni
gigantesche, un male che si è avvolto delle strutture statali per compiere
la sua opera nefasta, un male eretto a sistema. Nello stesso tempo però,
la grazia divina si è manifestata con ricchezza sovrabbondante. Non
vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande» [pag.
198]. Egli si è posto nel cuore del dramma dell’amore di Dio,
del Dio che vuole rigenerare l’uomo.
è per questo che il ministero e la persona di Giovanni Paolo II si è collocato
nel cuore del dramma dell’uomo. La trama fondamentale di questo dramma,
carissimi fratelli e sorelle, è semplicemente e perfettamente indicata
sia dalle parole del salmo sia ancora dalle parole dell’apostolo. Dalle
parole del Salmo: «la pietra scartata dai costruttori è diventata
testata d’angolo: ecco l’opera del Signore, una meraviglia ai nostri
occhi». Il dramma dell’uomo è di rimanere o di uscire da
un’opera di costruzione della sua persona, della sua società ,
della sua cultura, il cui architetto è Dio stesso ed il cui fondamento è Cristo.
Su quale base, su quale testata d’angolo l’uomo sta costruendo?
Tutti ricordiamo il grido con cui Giovanni Paolo II iniziò il suo pontificato: «Non
abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo».
Anche l’Apostolo indirizza i nostri sguardi ed il nostro cuore verso
lo stesso dramma dell’uomo: «perciò siete ricolmi di gioia,
anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove». è quello
dell’uomo il dramma dell’afflizione da varie prove: l’afflizione
delle guerre, dell’ingiustizia sociale, della dignità umana degradata,
della discriminazione razziale e religiosa. Ma è un’afflizione
che può racchiudere una promessa di salvezza: «siete ricolmi di
gioia…»; oppure è un’afflizione priva di speranza.
2. Carissimi fratelli e sorelle, fra poco recitando la preghiera eucaristica,
noi non pronunceremo più il nome di Giovanni Paolo II come abbiamo fatto
per ventisei anni. Oggi, in quel punto della Preghiera eucaristica ci sarà come
una pausa di silenzio, come fosse una lacuna.
Giovanni Paolo II si è collocato nel cuore del dramma divino della
rigenerazione dell’uomo e quindi nel cuore del dramma umano della liberazione
della persona. Ma ciò che accadrà fra poco è la migliore
espressione del fatto che Giovanni Paolo II si colloca nel cuore della Chiesa,
dentro all’Eucarestia. Né poteva essere diversamente. Egli nell’omelia
del 25.mo del suo pontificato rivelò che ogni mattina si sentiva rivolta
la domanda di Cristo: «mi ami tu?», e che in questo dialogo fra
lui e Cristo ritrovava ogni giorno la forza di continuare il suo servizio.
Questa è la verità più profonda e più completa
su Giovanni Paolo II, ben più completa di quando lo pensiamo in termini
di politica internazionale: rispondendo alla domanda di Cristo si è trovato
collocato per sempre nel mistero eucaristico, punto di incontro del dramma
di Dio e del dramma dell’uomo. Si è trovato nel cuore della Chiesa.
Carissimi, in questo vespro dell’ottava di Pasqua la Chiesa ci fa leggere
il Vangelo che narra l’incontro di Tommaso con il Risorto. Tommaso ha
messo la sua mano nel costato di Cristo: ha messo la sua mano nel fuoco.
Nella sua Enciclica programmatica Giovanni Paolo II aveva scritto: «L’uomo
che vuole comprendere se stesso fino in fondo … deve, con la sua inquietudine
e incertezza e anche colla sua debolezza e peccaminosità , con la sua
vita e morte, avvicinarsi a Cristo» [Redemptor hominis 10,1; EE 8/28].
Le ultime parole del suo ultimo scritto dicono: «Nell’amore che
ha la sua sorgente nel cuore di Cristo sta la speranza per il futuro del mondo.
Cristo è il redentore del mondo: per le sue piaghe noi siamo stati
guariti» [Memoria e identità , Rizzoli, Milano 2005, pag. 200].
Entriamo nel costato di Cristo ed usciamone colla mano sporca del suo sangue
per non dimenticare mai a quale prezzo la nostra dignità è stata
salvata.