Prima domenica di Avvento – Messa durante incontro Monastero wi-fi

“Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”. La preghiera ci dona la forza perché ci fa sentire l’amore del Signore per noi, Lui che è più intimo a noi di noi stessi, amore personale e universale, mio e nostro. La preghiera impedisce che i cuori si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita. È sveglia Maria non Marta! Chi sta con Gesù ha un cuore attento a quello che conta perché acceso di amore, mentre chi si perde nei molti affanni perde il senso di quello che sta facendo, dissipa se stesso.

Oggi avete ascoltato tante parole. Noi tutti abbiamo sempre il rischio di quella che viene chiamata infodemia, cioè un’invasione di discorsi, proposte, voci, emozioni indotte per cui so tutto e non so niente. Ci può essere anche una infodemia spirituale! Dentro l’uomo digitale c’è spesso la tentazione di moltiplicare le emozioni, di superare le difficoltà a fare silenzio, ad andare in profondità, riempiendo il vuoto con tante informazioni, cercando tanti contatti, like, mille legami e poi in realtà non giocarsi con nessuno.

Ecco la differenza del vostro monastero dalle tante reti che cercano e provocano l’infodemia, che riempiono la solitudine ma non la vincono, che fanno sentire parte di qualcosa ma alla fine lasciano soli. La stanza del cuore, cioè la cella del monastero, è il nostro cuore, va nutrita e collegata a Dio e per questo al monastero, cioè ai fratelli. È la differenza tra la comunione e il virtuale, tra lo spirituale e il digitale, motivo per cui amate la concretezza dell’incontro, quella che permette di essere uniti anche a distanza, perché abbiamo incontrato, abbiamo visto. Il centro di tutto è la santa Liturgia, quella che anticipa la presenza piena di Dio in mezzo ai suoi, quando saremo una cosa sola, raccolti dalla dispersione, quando il legame di comunione che ci unisce si rivelerà pienamente, senza diaframmi tra noi e con Dio.

L’Avvento non è solo prepararsi al tempo che deve venire, ma scoprire la sua presenza in mezzo a noi. Riconoscerlo per attenderlo. Ne abbiamo un grande bisogno in questo tempo sospeso, tra ordinario e straordinario, tra la vita di sempre e un’apocalisse che la trasforma. Le ultime letture del tempo ordinario e quelle dell’Avvento sono molto vicine. La fine che è un inizio. Tutta la vita attende la sua pienezza, il futuro. Cerca l’amore. Quando non lo trova vuole finire. C’è un legame fortissimo tra quella cultura dello scarto, cultura molto pervasiva che, se non combattuta, porta all’eutanasia. E il vero combattimento è rivestire la fragilità di amore, non fuggendo ma rendendola forte non di istruzioni per l’uso ma di amore vissuto. Insomma, non bastano buoni consigli ma occorre fermarsi e farsi carico, inserire la fragilità in quella rete di amore che difende la vita perché la rende sempre preziosa, offre il suo termine che è la relazione.

L’Avvento è avanti a noi ma il riflesso della sua luce, quella che viene a illuminare le genti e a liberare dall’ombra di morte, lo vediamo. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Chi non vive l’apocalisse non si rende conto. Chi l’ha vissuta – quella della malattia, della morte, di un incidente che segna per sempre il corpo, della siccità, della fame, del sentirsi perduto in mezzo al mare nella disperazione, come quella donna irachena morta l’altro giorno sulla manica collegata per telefono con il fidanzato che voleva raggiungere in Inghilterra ma abbandonata nell’immensità del mare – fa fatica a capire e resta a guardare le belle pietre del tempio, degli infiniti templi cui possiamo ridurre il digitale.

Gesù ci rende consapevoli, ma non per spaventarci ma per liberarci dalla paura. Gesù ci aiuta ad affrontare tutte le difficoltà, le tempeste che rivelano la fragilità della nostra imbarcazione. Noi abbiamo ricevuto uno spirito da figli, non da schiavi che non comprendono e sono costretti a obbedire. Gesù ci aiuta a scegliere, a guardare in faccia i problemi, anche quando noi li vorremmo evitare, pensando che la vera soluzione è “salva te stesso”, cambiare canale, fare finta che non ci riguardino tanto che abbiamo finito per credere che era possibile vivere sani in un mondo malato.

Poi i problemi ci raggiungono e ci travolgono. Il Vangelo ci apre gli occhi per vedere le tante pandemie, le sicurezze che vengono meno, il mondo che crolla addosso, quando tutto cambia improvvisamente, si rivolta contro di noi e il cuore si riempie di angoscia per quello che sta per accadere. Sono le notti di paura del nemico invisibile, quando finisce l’ottimismo e ci raggiungono i “fragori” del mare, di qualcosa che capiamo,  che sta per compiersi, nemico enormemente più grande della nostra debolezza. Ma questa non è forse la condizione quotidiana di chi è lasciato solo e sperimenta l’amarezza di dovere affrontare i pericoli senza protezione? “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Non piegate il capo. Non siete schiavi, non siete soli, e se arrivano le difficoltà è in queste, proprio in queste, che vedremo il segno dell’amore di Dio. Sono gli spiragli di luce che nelle tenebre ci fa sentire infinitamente amati dal Padre. È la consolazione non di diventare invulnerabili, ma di sapere che non siamo soli, che anche nella nostra vulnerabilità Lui viene e la nostra solitudine è sconfitta per sempre. Non dobbiamo essere noi quel riflesso di amore, con la nostra umanità, con le nostre parole, con il mettersi al servizio che inizia con la disponibilità, con il tempo, con la gratuità, con il non lasciare nessuno solo? Annunciamo Cristo non con i proclami, non con le apparenze, ma con la sostanza di una vita diversa.

Gesù non dispensa buoni consigli, ma dona tutto se stesso, il suo corpo, la sua presenza. Quanto c’è bisogno di uomini dell’avvento, che lo mostrano presente, che non ne hanno paura, che non ne fanno un paradiso privato e in realtà illusorio, che riconoscono il Signore nella vita e lo riflettono essi stessi. Senza si tira a campare e tutto è possibile. Il Signore, che continua a sperare sul mondo, sulla vita degli uomini, e torna in mezzo a noi, ci aiuti ad alzare lo sguardo da noi stessi per volgerlo a Lui che viene e che è la vera speranza di pace e di amore.

Bologna, Seminario arcivescovile
28/11/2021
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