Seconda domenica di Avvento, omelia al Santissimo Salvatore

Ringrazio il Signore per questo luogo, che il Cardinale Caffarra volle dedicato all’adorazione e che in questi anni ha rappresentato un porto di protezione e un faro di luce nelle tempeste e nel buio della città e dei cuori degli uomini.

San Salvatore è stata come una fontana che disseta nella durezza del cammino, il pozzo di Giacobbe dove trovare l’acqua che spegne la sete del cuore e rende il nostro cuore stesso fonte di acqua viva. Sapere che in questa casa aperta c’è il Signore che accoglie ogni persona e che qui trovo la compagnia di qualche fratello o sorella che insieme a me si affida a Dio orienta nell’incertezza della vita, nel deserto della città che disorienta e riempie di disillusione, mettendo alla prova la nostra costitutiva condizione di fragilità e vulnerabilità.

La Chiesa è una casa che accoglie i naufraghi della vita. Non li giudica per capire se c’era qualche colpa in loro, non li mette alla prova per verificare le vere intenzioni, ma per prima cosa li accoglie, li fa sentire a casa perché dove c’è Gesù c’è la sua misericordia. La Chiesa concepisce oggi l’avvento di Dio tra gli uomini, la sua scelta di amore che vuole raggiungere il cuore di ogni persona.

Nell’adorazione portiamo davanti al Signore questa richiesta di luce, di consolazione nella solitudine, di speranza nella disillusione, di gioia nella tristezza, di guarigione nella malattia. Adoriamo la presenza di Cristo, il pane degli angeli, la presenza eloquente di amore.

Dobbiamo avere la stessa adorazione per la Parola. Maria non si fa prendere dagli affanni e si mette ai piedi di Gesù per ascoltarlo, non perché pigra o sfaccendata come la vede Marta che invece non si ferma, non perde tempo con il maestro perché pensa che amarlo significhi fare molti servizi, perdendo così il senso di tutte le cose che fa perché perde quello che è essenziale.

Ricordiamoci di chinarci sulle pagine della Scrittura, sia quando siamo qui davanti alla sua presenza sia nel leggerla e custodirla nel segreto della stanza del cuore. Dovremmo passare lo stesso tempo in adorazione qui e quando siamo davanti al corpo di Gesù che sono i poveri. E sono contento perché in questa casa non è mai mancata l’attenzione per il corpo di Cristo che sono i suoi fratelli più piccoli, cura che si rinnoverà con la presenza del Centro Astalli. Ricordiamoci di farlo tutti intorno a noi, negli incontri imprevisti con l’uomo mezzo morto che vediamo sulle nostre strade, perché la tenerezza e la misericordia di questa presenza diventino attraverso di noi amore concreto per chi ne ha disperato bisogno. Tutti vedranno la salvezza, esclama il profeta.

La pandemia ci chiede di guarire questo mondo, di aggiustare quello che è rotto, colmando con l’amore i tanti distanziamenti che lasciano soli tutti, specialmente chi è più fragile.

Non sciupiamo questa occasione. Contemplare l’Eucarestia ci aiuta a vedere in profondità, con gli occhi di Gesù, la persona che abbiamo davanti, scoprendo quanto ha bisogno di amore. Questo è possibile solo se abbiamo occhi di amore e non cercando la pagliuzza o la conferma ai nostri giudizi e paure. Adorare è isolarci con il Signore, godere della sua compagnia per farci noi presenza e compagnia di amore per chi ne ha bisogno. Chi contempla questa presenza fa propri i suoi sentimenti, si lascia riempire del suo cuore e dona cuore al prossimo.

Secondo alcuni l’adorazione è la forma di preghiera più alta proprio perché, per certi versi, non vogliamo più niente da Dio, ma solo stare con Lui. Certo: quando preghiamo a volte ci lamentiamo, cerchiamo comprensione, chiediamo per noi o per le tante sofferenze del mondo, intercediamo per chi ha bisogno, ringraziamo perché abbiamo ricevuto qualcosa (questo, forse, lo facciamo meno perché spesso pensiamo sia tutto merito nostro e siamo come i nove lebbrosi che non tornano da Gesù). Quando adoriamo, invece, ci distacchiamo finalmente dal nostro io e guardiamo solo a Dio, solo per stare con Lui, in maniera disinteressata, dimentica di noi stessi e delle nostre stesse necessità. Siamo solo a vedere la grandezza del suo amore, avvolti dalla sua santità, davanti alla sua gloria.

Ecco, allora tutto il resto scompare, siamo già presso Dio, totalmente con Lui e i confini tra tempo e eternità sono superati e il nostro tempo entra in quello senza fine, aiutandoci a non perdere quello che ci è donato in questo spazio che è la nostra vita, il nostro presente. Il futuro sarà solo adorazione, abbandono totale a Dio e in Dio perché adorazione è dono di sé e farsi prendere da Lui, affidarsi pienamente a Lui.

Sì, quando siamo nell’adorazione inizia già l’eternità e questo ci aiuta non ad uscire dal mondo ma a vivere in questo mondo in maniera diversa, comunicando al prossimo l’amore che abbiamo ricevuto.

Ecco, qui contempliamo il primo e il secondo avvento, il già e il non ancora ma da qui dobbiamo rendere concreto l’avvento con l’amore che abbiamo ricevuto. Che tanti possano vedere attraverso i nostri sentimenti quelli di Gesù che dal tabernacolo irradia nel mondo e nel nostro cuore. L’avvento è la speranza di Dio per un mondo pieno di sofferenza, segnato da tante divisioni e minacce che proiettano su ciascuno ombre di morte.

Dio viene proprio perché ci ama ed ha speranza, diventa presenza e ci chiede di essere noi persone di speranza e di presenza. C’è tanta disillusione e quindi diffidenza, chiusura, per cui diventiamo aggressivi o rassegnati, perché la disillusione induce a credere che niente vale la pena. La pandemia ci ha reso guardinghi, sospettosi tanto che aspettiamo prima di impegnarci con forza e determinazione.

Dio viene, non aspetta. Viene e per questo Giovanni Battista ci coinvolge nella preparazione di un mondo diverso perché tanti possano vedere e sentire Gesù. Giovanni Battista ha fretta come chi deve prepararsi all’incontro più importante della vita, come quando deve venire la persona amata e cerchiamo per lei di essere migliori, di fare di tutto perché l’incontro avvenga, e avvenga oggi!

L’avvento non è in un periodo senza tempo, ma oggi, “nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea”. Non pensiamo di avere sempre tanto tempo “pure il lusso di sprecarlo”, come cantava un poeta, perché il tempo finisce.

L’umiltà richiestaci dalla pandemia è proprio questa: non perdere nessuna occasione, rendere le avversità opportunità, abbattere i muri visibili e invisibili che come le montagne impediscono di incontrarsi e conoscersi, di riconoscere il prossimo, come i pregiudizi per cui l’altro non lo ascolto, lo giudico già solo per il colore della pelle, per come si muove, da dove viene.

L’avvento ci chiede di essere persone di comunità, che creano relazione con tutti e a tutti parlano di Gesù che deve venire. Vinciamo la disillusione e abbassiamo le montagne del nostro orgoglio e delle nostre paure mettendoci come possiamo a servizio del nostro prossimo, soprattutto colmando le valli di solitudine, perché questa rende durissima la vita. Così tanti vedranno, sentiranno l’amore di Gesù. Così sarà Natale. “Vieni, Signore Gesù!”.

Chiesa di San Salvatore a Bologna
05/12/2021
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