S. Messa concelebrata e funzione lourdiana

Sentiamo oggi in maniera tutta particolare la dolce compagnia di Maria, questa madre che resta sotto la croce. La Chiesa è questa madre, è la nostra madre, che rende concreta la presenza di Maria. Ella resta sotto la croce solo per amore. Non si può giudicare la sua presenza accanto alla sofferenza degli uomini come se fosse calcolo, convenienza, perché la Chiesa ha a cuore solo i suoi figli e sarà sempre vicina a loro, come una madre che non si stacca dal letto di ospedale dove giace il suo bambino.
In questa celebrazione presentiamo al Signore Gesù, con l’intercessione di Maria – proprio come vediamo davanti a noi, nella straordinaria croce sospesa sopra l’Immagine della Vergine di San Luca – tanta sofferenza, a volte interminabile, spesso insopportabile. Maria, come una madre buona, cerca di alleviare e togliere il dolore, ma sempre ama la vita e per questo la difende perché ha un valore straordinario, unico, importante, mai privo di significato. Maria, la prima ad ascoltare e mettere in pratica il Vangelo, ci aiuta oggi a capire il Vangelo che è la promessa del Signore di non lasciare soli i suoi, di essere loro vicino tutti i giorni, nella tristezza, nell’insicurezza, nell’orfananza. Siamo affidati a questa madre perché la croce unisca invece di, come spesso avviene, dividere e isolare. E’ la prima vera famiglia di Gesù quella che si ritrova sotto la sua croce. La croce è per chi la subisce una solitudine terribile, universale che, quando è abbandonata dagli uomini, diventa insostenibile, disprezzo pratico della vita dell’uomo che la rende insignificante. Aiutiamo questa madre con il nostro amore, con la santità personale, unica, originale, affidata ad ognuno di noi. Restiamo vicino alla sofferenza, visitandola e portando i sentimenti di Maria. Aiutiamo a non fare mai mancare amore a nessuno dei suoi figli fragili e sofferenti. Sono suoi figli e anche nostri fratelli, non dimentichiamolo e di loro siamo custodi. Vogliamo che ogni uomo che soffre abbia al suo fianco qualcuno che lo conosce e lo strappa dall’anonimato, qualcuno che si ricorda di lui, che lo prenda per mano senza fare pesare la sua debolezza, che gratuitamente resti vicino e si metta al servizio.  Gratuitamente significa anche senza sufficienza, senza paternalismo, senza umiliare, anzi ringraziando di poter aiutare. La vita non è mai solo nostra, perché é un dono per ciascuno ma anche per gli altri. Ma se gli altri non la amano, anzi in maniera pratica la svuotano di importanza, facilmente lasciamo crescere il senso di inutilità e consigliamo di fatto di decidere di mettere fine ad essa. Senza il prossimo non c’è nemmeno l’io e l’uomo non è mai un ‘isola, tanto più nella sofferenza. E’ una questione di amore. Chi mi ama osserva la mia parola, perché chi ama Gesù segue quello che dice, lo prende sul serio, non lo sciupa.
“Vi lascio la pace” e “non sia turbato il vostro cuore”. Pace, shalom, non significa solo l’assenza di conflitti, ma anche salute, prosperità, felicità piena. Ce la lascia. Non la porto via, non la condiziona a meriti speciali, non è solo per alcuni fortunati, come quella che dona il mondo: è nostra e resta con noi. La lascia, ce la affida. Nessuno ce la può portare via, perché nessuno ci può rapire dalle sue mani! E’ la sua zattera nel mare della sofferenza. La pace di Gesù non è un benessere finto, traditore perché poi lascia esposti al fallimento, legata ad un momento magico, felice. La sua pace è quella dell’amore e di un amore che ha vinto il suo nemico, non che lo ha evitato. Questa pace è la vera risposta alla sofferenza, la riconciliazione con noi stessi, il senso di quello che sono malgrado la mia debolezza. Siamo importanti non perché forti, ma perché amati! Quando non c’è amore si insinua sempre in noi l’amaro veleno della delusione e dell’insignificanza. Quando si è amati e sentiamo la pace dell’amore personale di Dio tutto ha significato. Anzi: anche le cose piccole, come spesso avviene nella fragilità, le capiamo ancora di più nella loro bellezza e come sono un dono che sciupiamo quando appaiono scontate. Maria non ha mai smesso di credere nell’adempimento della promessa di vedere uno spiraglio di luce anche nel buio più fitto. La nostra fragilità, ombra della morte, che ce la ricorda e ce la proietta nella nostra vita, ci spaventa, ci sgomenta, ci turba profondamente. Non sia turbato il vostro cuore, ci dice Gesù. E’ un’espressione importante, che sentiamo così personale, perché sappiamo quanto è facile restare turbati per l’incontro con la malattia, la fragilità, la sofferenza. Gesù non si scandalizza del nostro turbamento, della fatica a credere alla luce quando siamo nel buio. Il turbamento significa che niente vale più la pena o pensiamo che tutto è inutile, che tutto è stato vano, che niente è sicuro e non sappiamo che fare, a chi chiedere perché sentiamo l’incombere delle tenebre, la vertigine del buio che inghiotte tutto e irride la speranza. Questo è il turbamento, che ci confonde, ci fa perdere le certezze, ci fa smarrire nell’oscurità della vita, nell’abisso del cuore, nella fatica di trovare risposte. Siamo tutti bisognosi di guarigione, della sua profonda guarigione, della sua grazia, del suo amore che dona sicurezza alla nostra fragilità. Quando si è turbati finiamo per scappare dalla malattia, nostra e degli altri, ci voltiamo dall’altra parte, per impotenza, paura, disinteresse, timore di contagio, come il levita e il sacerdote sulla via da Gerusalemme a Gerico. Poi la sofferenza raggiungerà anche loro e saranno ancora più indifesi, perché chi scappa dal dolore altrui è ancora più esposto al proprio. Vince il turbamento chi sente per sé l’amore, come Giovanni, il discepolo amato, chi è docile allo Spirito paraclito, consolatore e difensore. Gesù prende dimora nel nostro cuore. Diventiamo la sua casa. Questa è la nostra forza: non il coraggio, m il suo amore, che ci dà sicurezza e ci fa sentire la consolazione più forte dell’incertezza. Il paraclito è un avvocato che ci difende, perché spesso ci domandiamo chi si prenderà cura di noi, soprattutto quando siamo fragili o non padroni di noi stessi. Gesù sarà con noi sempre. I discepoli di Gesù sono chiamati anche loro a restare, a portar umanità, pietà, tenerezza, luce, pace nel buio della sofferenza e della malattia.
Signore, medico buono, che ci doni la pace e sei sicurezza nel nostro turbamento, guariscici, insegnaci a pregare, ad affidarci come bambini sentendo il tuo spirito consolatore e difensore, che resta sempre con noi. Non siamo soli, perché tu Gesù hai provato angoscia a tristezza e vuoi che niente della nostra vita vada perduto. Signore, che ci lasci la tua pace, aiutaci a sentire già oggi la tua presenza che asciuga le lacrime e dona forza. Rendici capaci di alleviare le pene dei nostri fratelli, anche se siamo fragili possiamo donare tanta forza e perché nessuno sia lasciato solo. Pace. Grazie Gesù.

26/05/2019
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