Solennità della Madonna di San Luca

C’è un’emozione particolare nel raccoglierci ogni anno intorno a Maria, in questa casa che è nostra madre, casa delle nostre comunità e dell’intera Chiesa di Bologna. E’ la nostra Madre Chiesa, donna, che ci fa sentire figli e fratelli. Gli anniversari di alcuni di noi impreziosiscono questa Santa Liturgia. La comunione ci rende tutti partecipi di tanta storia e dei doni che rappresentano. Cerchiamo con loro la sapienza di contare i nostri giorni, per non vivere alla giornata o nella stolta convinzione di avere sempre tempo. Serviamo, (è una affermazione ed una esortazione!) in ogni stagione della nostra vita, con la gioia e la gratitudine che attraversano il tempo e diventano beatitudine. Intorno a Maria, nostra madre, è più facile capire la circolarità del dono che ognuno di noi é. Non è mai senza conseguenza sulla comunione, in positivo come, purtroppo, anche in negativo, come viviamo. L’altro ieri, ad esempio, un prete, parroco, che sta per diventare emerito, segnato da qualche difficoltà fisica ma pieno di grande forza spirituale, mi ha detto con convinta determinazione: “Io sono disposto ad andare a fare il cappellano, perché ho proprio voglia di stare con i giovani”. Guardandolo nella sua fragilità ho sentito nelle sue parole, nella sua “voglia” l’energia dello Spirito Santo che fa avere visioni ai vecchi, premessa perché i giovani abbiamo sogni. E’ stata una gioia per me profondissima e la conferma della santità che abbiamo ed a cui siamo tutti chiamati. La comunione, sempre dinamica, è sensibilissima e noi, chiamati ad avere un cuore solo e un’anima sola, non potremo mai accettare di ridurla a organizzazione, pensare che sia un bene garantito anche senza il nostro amore, che sia trattata con scontatezza e inanità, come se non ci riguardasse. I fratelli e le sorelle, che sono la carne di questa comunione, si amano per quello che sono e non per quello che noi pensiamo debbano essere. Si amano sempre e con la libertà dell’amore, quella che solo la fraternità può permettere. Ringraziamo di appartenere a questa madre e di contemplare questa comunione fisica e spirituale, interiore e concreta, gratuita, in un mondo dove le relazioni sono poche e superficiali, spesso solo virtuali e di convenienza. E poi è sempre da come ci ameremo che ci riconosceranno!
Quanta umanità è passata in questi giorni davanti alla sacra immagine della Vergine di San Luca! I suoi occhi, benevoli, profondi, penetranti ma senza condanna, si sono incrociati con quelli di tanti per riempirli tutti della sua maternità. Siamo tutti affidati, non dimentichiamolo soprattutto nell’amarezza e nella incertezza, ad una madre per la quale siamo figli sempre. Per certi versi non smettiamo, come avviene con le nostre madri, di essere cinni! I suoi cinni, il suo cinno. Difendiamo questa madre dal Grande Accusatore, che deforma lo zelo trasformandolo nel rigore senza pietà del fratello maggiore o nel fastidio distruttivo dei farisei. Il male trasforma le paure in ossessioni e l’amore per il prossimo nel conformarsi all’insipido spirito del mondo. Questa madre ha tanti figli e accoglie con tenerezza chi è lontano, innamorato deluso come avrebbe detto ottanta anni or sono Mazzolari, che è sempre stato nel suo cuore e che deve incontrare una comunione concreta di fratelli e sorelle. Quanti in questi giorni ritrovano se stessi, magari ricominciando da qualche preghiera nascosta nella memoria, sentendo la purezza dell’infanzia e la gioia di sentirsi amati! E quante domande, espresse e silenziose, sono state rivolte alla Vergine. L’angoscia degli anziani e dei fragili, turbati in un mondo che facilmente li condanna all’inutilità, le fragili speranze dei giovani, la vergogna di chi ha fallito, il rancore che incattivisce, la voglia di futuro di chi è straniero nel mondo ma di casa con il Signore, la solitudine, magari affollata da immagini digitali, che cerca una compagnia reale. Abbiamo visto come la nostra famiglia è già in realtà tanto più larga dei nostri confini e raggiunge davvero tutti. Del resto la città è legata alla Madonna di San Luca come da un cordone di vita, il portico. Il portico è salita e discesa di tanta umanità in ricerca, che sale inquieta e scende nella pace, che sale appesantita dal peccato e scende leggera perché piena di misericordia, che sale nell’incertezza e scende nell’unica sicurezza che orienta per davvero, Cristo. Salire per trovare il cielo e scendere per imparare ad amare sulla terra. Maria è in alto, ma Lei scende per portare la sua materna protezione ai tanti suoi figli che ci sono affidati. Tutti, perché la Chiesa ama tutti e per lei primi sono sempre gli ultimi. Le nostre comunità siano come Lei, madri di tanti e il portico dove avvicinare questa umanità.
La visita di Maria ad Elisabetta ci incoraggia ad andare incontro alla città degli uomini. La sua forza è credere nell’adempimento della Parola. A volte ci sentiamo affaticati, con poche risposte e quelle di prima ci sembrano insufficienti. Ci interroghiamo, come certamente fece Maria, su “come faremo?”, sentendo l’angustia di tante situazioni, confrontando le nostre forze con il presente e ancor più con il futuro. Maria si affida a quel Dio che “è tenerezza e che vuole condurci a un’itineranza costante e rinnovatrice”. Non si tratta, allora, di “risistemare tutto”, mettere ordine, cercando quella che Papa Francesco chiama la “dittatura del funzionalismo”, ma di mettersi in cammino, visitare, svelare il Vangelo che Dio ha nascosto nel cuore degli uomini, seminare con fiducia e volere tanti incontri, formali e non formali, intorno alla Parola. Il primo in fondo è proprio quello che avvenne tra Elisabetta e Maria. Siamo beati (non saremo, siamo!) non perché abbiamo le risposte per tutto, perché abbiamo dimostrato con evidenza chi siamo perché anche per noi personalmente si deve adempiere la Parola, ma solo dicendo e ridicendo il nostro sì, credendo che la Parola non smette di compiersi ed è davanti a noi, non solo dietro. Siamo beati non solo quando vediamo i frutti ma anche quando mancano quattro mesi alla mietitura e dobbiamo imparare a vedere che le messi biondeggiano già oggi. Siamo beati quando crediamo che gli umili inizi di un amore diventeranno alberi capaci di ospitare gli uccelli del cielo. Non lasciamo nulla di non speso in noi, cerchiamo con tutto noi stessi di mettere in pratica il Vangelo, conoscendo la nostra inadeguatezza e il nostro peccato e trasformiamo la nostra volontà incerta nella sua volontà. Gesù per primo crede che la sua parola si adempie in noi, conoscendo la nostra debolezza! Come i discepoli dopo l’ascensione restiamo con Maria assidui e concordi nella preghiera. E’ il primo atteggiamento del cristiano, così diverso dall’agitazione degli affanni di Marta, dalla sicurezza irragionevole di Pietro, dal restare a guardare il cielo, dall’incredulità diffidente e acida di Tommaso, dalla tentazione di volere conoscere i tempi per smettere di camminare. Vorrei che la prossima Veglia di Pentecoste, al termine di questo anno pastorale che ha visto avviare la comunione di persone e comunità tra loro, sia invocazione convinta dello Spirito consolatore e difensore, forza capace di compiere oggi i prodigi della prima generazione, di essere pieni del suo amore per guardare e parlare in modo nuovo con il nostro prossimo e ci aiuti a contemplare la Madre che già abbiamo, per parlare la lingua che tutti sentono a sé familiare.
Maria, Madre della Chiesa, ci aiuti a vivere la beatitudine di chi crede nell’adempimento della Parola e tanti possano riconoscerla in noi e nelle nostre comunità.

30/05/2019
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