Veglia di preghiera “Morire di speranza” In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato

Luca 21, 8-19
“Badate di non farvi ingannare”, avverte Gesù. Noi pensiamo di non farci ingannare perché sospettosi, diffidenti, protetti da un sistema difensivo per proteggerci. Eppure ci facciamo ingannare dal vero “ingannatore”, che è il male. L’inganno, per esempio, è quello che di credere di potere stare bene da soli. Il male ci fa vedere i nemici dove non ci sono, facendo crescere così il seme sempre pericoloso della divisione e alla fine non facendoci riconoscere e combattere i veri pericoli, quelli che per davvero compromettono la nostra vita e il nostro futuro. Uno degli inganni peggiori è pensare di stare bene chiudendo gli occhi con il sonno dello stordimento, con le mille attrazioni e dipendenze. E’ un inganno restare lontani, non farsi ferire dalle immagini terribili di povera gente che scappa o che muore in mezzo al mare, alle quali ci abituiamo o che avvertiamo con fastidio per noi e non per loro! L’inganno è credere che i poveri non ci riguardano, che possiamo fare finta di non vedere oppure che possiamo rimandarli indietro come se potessero scomparire. Esistono, anche se non li vediamo! Il benessere illude che possiamo stare bene senza fare niente per gli altri e che possiamo non farci carico dei problemi. L’inganno è anche quello di credere che non si tratta di povera gente, di uomini e donne, di persone che hanno paura, che soffrono, che si disperano, che fanno l’ultima telefonata prima di un rischio terribile, che piangono, che cercano la mamma, che diventano matti se non trovano risposte. Sembra non abbiano diritto ad essere capiti, ascoltati, guardati con umanità mentre sono giudicati, visti subito negativamente, classificati come pericolo, nemico, terrorista, clandestino e non come persona, con il suo nome. Sono morti per cercare di entrare in Europa, la stragrande maggioranza di loro in mezzo al mare, dall’inizio del 2017 al 21 giugno scorso 2.108 persone. I loro nomi vogliamo ricordare. Una strage, che ha ridotto il mediterraneo a un cimitero.
Per i cristiani il giudizio, oggi e domani (perché quello di domani dipende da quello di oggi!) è chiaro, concreto, davvero realista: avevo fame, sete, ero nudo, straniero e tu hai fatto o non hai fatto qualcosa a ciascuno di loro. Spesso è una stessa persona che ha fame, sete, malata, nuda, straniera. L’unica spiegazione del Vangelo è lapidaria: qualsiasi cosa che avete a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me! C’è una identificazione che richiede solo di fare qualcosa cioè dare, visitare, fare. Considerando questo dovremmo sospettare di tutte le nostre giustificazioni, che ci ingannano, pensando che possiamo non fare nulla. Chi “fa” la risposta a quel Gesù non si complica la vita inutilmente, non si compiace di sentimenti buonisti, ma guarda in faccia la storia. L’inganno è anche credere che fare qualcosa è troppo difficile. Cercare una risposta per loro, invece, rende intelligenti, perché la misericordia apre sempre nuove strade, come quella dei corridoi umanitari, risposta coraggiosa alle necessità dei rifugiati che cercano futuro. Solo l’accoglienza crea quello che non c’è. La chiusura conserva ma la conservazione, che sembra intelligente e sicura, significa in realtà perdere.  
Certo, il mondo mette paura. La descrizione del Vangelo è chiarissima, terribile. E’ proprio vero. Si solleva nazione contro nazione e regno contro regno, e vi sono in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi sono fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Tutti questi nostri fratelli conoscevano bene queste parole, le portavano negli occhi, nelle ferite del corpo e del cuore. Sono le apocalissi nel senso stretto del termine di quando crolla tutto, resti senza niente, non vedi altro che disperazione. Aiutarli significa anche combattere un poco per la pace e migliorare, per quello che possiamo, l’ecologia così compromessa del mondo, inquinata da troppi germi di male e indifferenza. Violenze, persecuzioni, catastrofi naturali, carestie costringono – perché non è libera scelta ma l’unica possibilità per vivere – ad abbandonare le proprie terre di origine.
I nostri fratelli ci insegnano la speranza e il prezzo di questa. Sì, ce la insegnano, perché per noi speranza è diventata un’ipotesi, non una scelta indispensabile per vivere. Ce la ricordano anche tanti nostri ragazzi che per speranza vanno lontano perché in Italia non trovano quello che cercano. Non dobbiamo smettere di giocare come chi può permettersi di non avere più speranza o per rassegnazione o per banale assuefazione e cerca solo di conservare quello che ha. Morire di speranza ci chiede di vivere con speranza e non sopravvivere a noi stessi! E speranza è, come ci insegnano, lotta, sacrificio, giocarsi tutto non un elegante e insipido girarsi attorno sicuri di avere sempre un’altra possibilità, altro inganno del principe di questo mondo, che ce le fa dissipare tutte. Si. Di speranza si muore, perché la speranza è l’ultima a morire. Ma noi non possiamo fare morire la speranza e questi fratelli ci chiedono di aiutarli. Ci consegnano la loro speranza, ci coinvolgono nella loro ricerca. La speranza è contagiosa, perché scopro che aiutare gli altri fa trovare anche la mia. Non conserviamo solo quello che abbiamo, ma speriamo con tutto noi stessi, per i figli che abbiamo già e per loro, che si affidano a noi. Speranza non è un auspicio, un desiderio per il quale pensiamo di non pagare nulla. Per la speranza vera ci mettiamo tutto noi stessi. Il cristiano non evita il male. Non fa finta di non vederlo. Non è inerte di fronte al male, non cerca compromessi per non avere problemi. Il cristiano non è un mediocre che difende un po’ di benessere. Cerca la gioia e sa che non la si trova da soli e che per averla occorre cercarla anche per gli altri. Il cristiano il nemico lo combatte, non fa mica finta. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. Qual è la perseveranza? L’insistenza dell’amore. Solidarietà, umanità, accoglienza degna di questo nome, che deve essere possibile e organizzata, soccorso, strumenti che siano in grado di affrontare i problemi e non restare nella logica colpevole dell’improvvisazione o dell’emergenza. Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Salvare solo un nome, adottarlo, aiutare la loro speranza ci aiuta a trovare anche la nostra, ci aiuta a guardare il domani, perché la speranza è avanti. E vale la pena sempre. La speranza, la più umile delle virtù, ci aiuti a guardare avanti e sfuggire alla tentazione di ridurla a ottimismo vago e a credere che ci possa essere una speranza individualistica. La speranza unisce sempre agli altri.
Un mio amico in un’occasione come questa, cercò di convincere tutte i paesi costieri della Sicilia, le isole come Lampedusa, ad accendere una candela e metterla sulla finestra per dare speranza a chi è in mezzo al mare. Aveva ragione. Facciamolo anche noi da quella finestra del nostro cuore con la preghiera e insieme con l’accoglienza, con l’attenzione, con l’intelligenza dell’amore.
Ave Stella del mare, madre gloriosa di Dio, Vergine sempre, Maria, porta felice del cielo. Spezza i legami agli oppressi, rendi la luce ai ciechi, scaccia da noi ogni male, chiedi per noi ogni bene, soprattutto per chi affronta per disperazione viaggi alla ricerca del futuro. Donaci giorni di pace, veglia sul nostro cammino, fa che vediamo il tuo Figlio, pieni di gioia nel cielo. E con lui i suoi fratelli più piccoli. Accogli nella casa dove prepari un posto perché nessuno sia perduto.

24/06/2017
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