Veglia missionaria

«Di me sarete testimoni» (At 1,8) è il tema di questa giornata missionaria. Lo afferma e lo chiede Gesù prima di salire al cielo. Non manda da soli. Spesso noi ci sentiamo soli, ma perché confidiamo in noi e non in Lui, perché crediamo all’opera delle nostre mani e non delle sue. Questo spiega tante amarezze e anche tante paure. Amarezze come Marta, che si sente abbandonata da tutti, anche da Gesù, ma lo è perché si mette a fare da sola, senza ascoltare e soprattutto farsi amare da Gesù.

Senza Gesù possiamo fare molte cose ma non ne capiamo il cuore, il senso che permette di fare tutto con amore. Abbiamo paura perché se confidiamo in noi le nostre forze non bastano mai, le misuriamo e sono sempre insufficienti. Così crediamo poco che il mondo possa cambiare e cresce in noi il senso di inutilità della nostra testimonianza. Poi siamo anche noi vittime di quella pornografia della vita che è il successo, la prestazione, l’efficienza, la rapidità, il valore misurato con i frutti. Dimentichiamo che il seme è il più piccolo e il lievito non si vede, anzi si perde nella massa, che la vita è una crescita e che questa richiede tempo.

La prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza sono davvero virtù cardinali per tutti, niente affatto superate dalla rivoluzione digitale e che, anzi, ci aiutano a usare lo strumento per non diventarne prigionieri, limitati da una percezione rapida ma superficiale, onnipotente e fragilissima, piena di informazioni ma senza coscienza. Gesù chiede a noi di essere testimoni di uno che si è perduto per amore e che è morto per vincere la morte.

La vittoria passa per il dono, per l’abbassamento di sé, non per quello che misuriamo noi! Disse una grande testimone di amore, la missionaria Annalena Tonelli: “Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse un giorno che non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Così è per me. È nell’inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino, o addirittura camminare dove mai avevano camminato, che io trovo pace, carica fortissima, certezza che TUTTO è GRAZIA. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. LUI ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre.

Questo è possibile per tutti”. Siamo come loro testimoni, perché solo donando riceviamo e solo comunicando il Vangelo di Cristo possiamo vedere già oggi ciò che non finisce. Tutto si riassume in quell’immagine così concreta: inchinarci perché qualcuno possa aggrapparsi a noi. I risultati li vede e li misura Gesù. Peraltro li vediamo già noi, godendo di quel cento volte tanto sempre sorprendente e così più abbondante del poco che abbiamo lasciato!

Dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito Santo, cioè dal suo amore, nostra forza. Essere testimoni non significa proporre una vita non nostra, di sacrificio, ma una vita bella, piena di amore e di fraternità. Anche perché non si fa vedere quello che non si ha, perché nonostante la cura che possiamo avere delle apparenze non testimoniamo nulla se non è nostra. L’amore si comunica ad iniziare dallo sguardo, dall’atteggiamento, dalla predisposizione del cuore.

E se lo hai si vede e si testimonia, cioè si fa vedere. Non viviamo recitando per gli altri, ma non possiamo tenere sotto il moggio quello che può dare luce a chi abbiamo vicino. E l’amore che non ha confini mi fa sentire a casa ovunque e accende di interesse anche i luoghi e le situazioni più distanti. A volte pensiamo: ma io non ho nulla, se c’è qualcosa se ne accorgeranno, non sono un esempio e poi in fondo ognuno deve fare quello che vuole Lui. L’individualismo è un tiranno molto esigente e severo. Testimoniare non è imporre ragioni e convincere, ma comunicare amore, rendere ogni incontro pieno del sale dell’amore.

Perché testimoniare Cristo? Lo capiamo guardando la folla con gli occhi di Gesù che si commuove davanti alla sofferenza del mondo e manda noi. Cristo cambia il mondo e sconfigge il male che così tanto lo segna. Cristo non è, come sappiamo, una legge ma un incontro, una relazione di amore che diventa storia, persona che entra nella nostra storia, che unisce e cerca il nostro cuore perché lo apriamo a lui affinché possa mettersi a tavola con noi. Se non lo sentiamo per noi non abbiamo niente da testimoniare. Se non pensiamo che l’incontro con Lui cambia e dona pienezza alla vita delle persone, diventiamo come tutti.

Noi siamo come tutti, peccatori incerti, niente affatto perfetti, contraddittori, tanto che facciamo il male che non vogliamo e non riusciamo a compiere il bene che vorremmo. Eppure proprio a noi è chiesto di far vedere la forza dell’amore. Gesù si fida di noi. Non siamo incerti, incompleti? Certo, ma il Vangelo non è una lezione che si impara bensì un amore che si vive. Non dobbiamo avere imparato tutto ed aver raggiunto la perfezione! Il Signore chiama noi per quello che siamo. Ce lo ricorda Madre Teresa: preghiera e poveri. Diceva: “Forse svolgiamo un lavoro sociale agli occhi della gente, ma in realtà siamo contemplative nel cuore del mondo.

Perché tocchiamo il Corpo di Cristo ventiquattro ore al giorno. La santità non è un lusso per pochi. È un dovere semplice per voi e per me. Io devo essere santa a modo mio e voi a modo vostro. Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sii l’espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Dai a loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore.

La peggiore malattia oggi è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati. Vi sono molte persone al mondo che muoiono di fame, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza d’amore. Ognuno ha bisogno di amore. Ognuno deve sapere di essere desiderato, di essere amato, e di essere importante per Dio. Vi è fame d’amore, e vi è fame di Dio. Fare le cose piccole con grande amore, quelle ordinarie con amore straordinario”. Ecco cosa significa comunicare il Vangelo, in un mondo così violento, che si abitua alla guerra, all’ingiustizia, che si chiude nel pericoloso individualismo.

Poveri e deboli come siamo serviamo il Vangelo di Gesù. Pregava così un sacerdote che ha vissuto per tanti anni a Bologna, morto quasi centenario pochi giorni or sono, don Nevio. “Chiediamo al Signore che ci insegni a lavorare con mentalità da povero; ci renda docili; che ci faccia accettare i nostri limiti, che ci doni la convinzione profonda che anche noi avremo la nostra parte nel Regno dei cieli in proporzione di quanto sapremo stimarci inutili; di avere cara questa inutilità. Che non è passiva, perché sarebbe orgoglio ferito, è amore che accetta e fa quanto può, quanto sta a lui fare, perché è Dio che ci ha amato per primo e non solo ci ha dato la possibilità di ricevere il suo Amore, ma ci ha fatto il grande dono di potere donare qualche cosa anche noi, secondo lo stile della povertà”.

Bologna, Cattedrale
29/10/2022
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