Veglia Pasquale e S. Messa della notte

           La croce, la morte maledetta di Gesù, non è uno rappresentazione nella quale si confonde la storia con la finzione. E noi non siamo spettatori. Non si può rivestire la croce con eleganza per renderla meno vera o guardarla con distacco, perché è una tragedia, un terremoto o il sole che si oscura, come avvenne sul Calvario, come è successo a Bruxelles, come accade nei tanti Golgota dove la fragile vita dell’uomo, chiunque esso sia, è umiliata e spenta. Sono le tante croci che urtano per la loro cruda concretezza. Certo, se vediamo la vita attraverso internet, rincorrendo facili emozioni a poco prezzo, facciamo poi tanta fatica a capire la concretezza della fine, l’abisso che inghiotte la storia che è quella persona, cioè le sue speranze, sogni, le parole che non potrà dire, le capacità che non potrà dimostrare, le opportunità che le sono rubate. La croce è lì, terribilmente vera, definitiva, ingiusta, tradimento della vita. “Ricordati di me!”, aveva detto con l’ultimo respiro quell’uomo che era crocifisso con lui, speranza per noi, ladri di amore, perché quando tutto sembra finito anche la nostra richiesta sia raccolta da Gesù. E’ la domanda di ogni uomo: “Ricordati!”. Cioè: aiutami, sono abbandonato, la vita si perde, non voglio scomparire nel nulla. E noi, anche noi, ricordiamoci oggi di chi è crocifisso. Raccogliamo il grido di aiuto di chi cerca protezione.
           Cosa resta oltre il buio, quando la vita supera il suo limite? A cosa serve sperare, sacrificarsi, affrontare il male, amare, cercare la giustizia? La pietra pesante è rotolata sulla tomba e sancisce un limite che non si può superare. Il sepolcro significa anche la tomba della speranza che si possono amare i nemici, che si può chiamare Dio per Padre, che gli uomini sono una famiglia e che nell’altro è nascosta la stessa immagine di Dio. Il sepolcro dimostra che la legge conta, non la misericordia; che i peccatori sono peccatori e non possono cambiare; che i samaritani non sono buoni, che la prossima adultera sarà lapidata. Il male vince e la morte produce la rassegnazione. Il sepolcro dimostra che la speranza è illusione e che, in fondo, è molto più realista pensare per sé, cercare almeno il proprio benessere, una felicità a qualsiasi prezzo. Nessuno sceglie la rassegnazione, ma se non speriamo finisce essa per avvolgerci, spegne l’entusiasmo, asseconda le delusioni, consiglia di non amare, suggerisce di non affrontare problemi che appaiono sempre troppo grandi. La rassegnazione è come la pietra pesante sulla tomba. Un mondo rassegnato pensa di essere realista, crede che lo scetticismo sia prudenza o, peggio, sapienza; non si scandalizza dei frutti evidenti del male, come l’ingiustizia o lo scandalo della povertà e della fame; non fa nulla, a volte si agita, ma lotta troppo poco. La rassegnazione ingigantisce i problemi; ci riempie di tante esigenze davvero inutili, come le tante passioni narcisistiche o le interminabili e sterili discussioni su chi è il più grande. Ma la rassegnazione o l’indifferenza non la misuriamo guardandoci allo specchio, ma accorgendoci della sofferenza di tante, troppe croci. La solidarietà si calcola su quanta ne serve!
           L’annuncio della resurrezione raggiunge solo chi ha pianto e chi non si arrende al male, come le donne. Gli uomini restano a casa, forse discutono tra loro, cercano qualche colpa, analizzano le responsabilità, ma stanno attenti a restare al chiuso, si rifugiano nell’individualismo. Le donne, invece, non hanno paura di andare al sepolcro. O meglio per amore vincono la paura e affrontano il male e le sue conseguenze. Di buon mattino, quando era ancora buio, prendono solo l’aroma e vanno al sepolcro. La misericordia è l’aroma della vita e ci porta a vedere questa che risorge. Solo chi ha misericordia –  umile, semplice, fedele, possibile a tutti – vede la resurrezione, la luce di quel sole che sorge e che rischiara l’ombra della morte. La misericordia che spesso disprezziamo immaginando grandi scelte definitive, anticipa e rivela la gloria del sepolcro che diventa nascita di una vita nuova. Le donne non vanno per coraggio, ma solo perché il loro cuore non può accettare di lasciare solo Gesù. Si mettono in cammino perché la misericordia non aspetta, non delega, ha fretta, non può fare a meno dell’altro. Vanno solo per amore, anche quando sembra inutile! Il vaso è il nostro cuore. Portiamolo lì, dove sembra non esserci vita. Portiamolo nei tanti sepolcri di questo mondo, come i letti degli ospedali; a chi è abbandonato nella atroce solitudine; a chi è scansato ai margini della strada; a chi approda alla ricerca di futuro. Quell’aroma ci farà vedere la gloria della vita che risorge. Infatti la misericordia ci rende capaci di cose grandi, come quelle donne, che vedono e portano l’annuncio più grande, quello che ogni uomo vuole ascoltare e vedere. “E’ risorto!”, cioè la vita non finisce! L’amore ha vinto! La misericordia, però, rivela la sua forza solo dopo essersi messi in cammino, andando, incontrando. La Resurrezione non è un altro mondo. E’ la vita segnata definitivamente dal male che risorge! La Pasqua non è azzerare tutto, come sembra necessario ad un mondo che crede poco all’amore e che butta via tante opportunità perché spera poco. Risorge Gesù che non ha salvato se stesso e come il chicco di grano si dona per morire e rinascere. E noi con Lui.
           “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto”. La speranza non è in un passato che non torna! Siamo anche noi del risorto! E anche la gloria della resurrezione non è uno spettacolo astratto! Gli umili la vedono. Ieri Papa Francesco nella Via Crucis ha ricordato come questa è anche Via Lucis. La gloria la vedono “le persone buone e giuste che fanno il bene senza cercare gli applausi o l’ammirazione degli altri”. La luce tenera e forte –  nel buio anche una piccola luce rischiara le tenebre più profonde – la donano “i ministri fedeli e umili che come candele si consumano gratuitamente per illuminare la vita degli ultimi”. La forza della resurrezione la comunicano “le suore e i consacrati – buoni samaritani – che abbandonano tutto per bendare, nel silenzio evangelico, le ferite delle povertà e dell’ingiustizia”. La luce del primo giorno dopo il sabato è quella dei misericordiosi che trovano nella misericordia l’espressione massima della giustizia e della fede. La possiamo contemplare nelle “persone semplici che vivono gioiosamente la loro fede nella quotidianità e nell’osservanza filiale dei comandamenti”, in un povero diavolo senza speranza che grida solo: Signore ricordati di me nel Tuo regno! La luce della resurrezione la vediamo nei beati e nei santi che sanno attraversare il buio della notte della fede senza perdere la fiducia in Dio e senza pretendere di capire il suo silenzio misterioso; nelle famiglie che vivono con fedeltà e fecondità la loro vocazione matrimoniale; nei volontari che soccorrono generosamente i bisognosi e i percossi; nei perseguitati per la loro fede che nella sofferenza continuano a dare testimonianza autentica a Gesù e al Vangelo, nei sognatori che vivono con il cuore dei bambini e che lavorano ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore, più umano e più giusto. Ed è una luce che anticipa e riflette quella piena di Dio. Oggi, in questa santa notte, Cristo ci genere a figli, dona la sua gloria a chi gli apre il cuore. Cristo restituisce l’innocenza al peccatore, ci fa risorgere alla speranza. Oggi vediamo che “l’alba del sole è più forte dell’oscurità della notte e che nulla può sconfiggere, oscurare o indebolire la certezza della resurrezione e dell’amore di Dio.
           Grazie Signore. Insegnaci a credere nella umile misericordia, possibile a tutti, affidata a me. Donaci di essere testimoni del tuo amore, per vedere la vita che cambia e perché tanti possano vedere nel nostro volto la gioia che affranca dalla tristezza e dalla solitudine, gioia di lacrime asciugate e di vita che risorge.  Alleluia. Amen!

26/03/2016
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