XXVI Domenica per annum (A)

1. “Che ve ne pare? … chi dei due ha compiuto la volontà del

Padre?”. La piccola parabola dei due figli, narrata da Gesù, inizia

con una provocazione generica: «che ve ne pare?» e alla fine chiede

di prendere posizione: «chi dei due ha computo la volontà del

Padre?». Questo procedimento letterario tende a coinvolgere ciascuno

di noi direttamente in ciò che la Parola del Signore ci sta dicendo:

a prendere posizione.

Di che cosa si tratta? Il senso immediato della parabola è molto chiaro.

L’obbedienza al Signore Iddio non consiste semplicemente in parole sterili

e disimpegnate; essa consiste in fatti precisi e concreti. Una parola detta

da Gesù in altra occasione ci richiama alla stessa verità: “Non

chi dice: «Signore, Signore», entrerà nel Regno dei

cieli, ma chi fa la volontà del Padre”. Un padre della

Chiesa scrive: “è meglio non promettere a Dio di essere giusti

e poi agire di fatto con ingiustizia, piuttosto che promettere e poi smentire

nei fatti ciò che si è promesso a parole” (S. Giovanni

Crisostomo, in S. Tommaso d’A., Catena Aurea I, ed. Marietti,

pag. 310 B). Dunque Gesù in fondo intende richiamarci oggi ad osservare

la legge morale, già peraltro scritta  nel cuore dell’uomo,

nei fatti più che nelle parole? Ad essere, come si dice, «persone

oneste»? Non è questo precisamente il significato ultimo della

parabola. Avete notato come finisce la parabola? “In verità vi

dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio”.

Quest’espressione ci dona la vera chiave interpretativa della parabola.

La fede ebraica, nel cui contesto Gesù vive, parla ed opera, ruotava

tutta attorno al compimento della volontà di Dio, di cui la Legge era

l’espressione scritta e chiara. “Tutti i comandi che ha dato il

Signore, noi li eseguiremo!” aveva detto tutto il popolo a Mosè,

nell’atto in cui si costituiva l’alleanza di Dio con Israele e

veniva, per così dire, definita l’identità religiosa e

civile di questo popolo. Tutta la gloria di Israele era di conoscere la volontà di

Dio mediante la Legge, dono supremo fattogli dal suo Signore.

Ma – e questo è il «punto decisivo» della pagina evangelica – oggi

la rivelazione piena e perfetta del progetto di Dio sull’uomo, della

sua volontà, avviene in Gesù che chiama ogni uomo e donna

a seguirlo. La rivelazione di ciò che il Padre ci dona/ci chiede passa

ormai attraverso la persona di Gesù Cristo.

C’è una pagina del Vangelo assai illuminante al riguardo: il dialogo

fra Gesù ed il giovane ricco. Questi assicura Gesù di aver sempre

osservato tutta la santa Legge di Dio. Tuttavia sente che gli manca ancora

qualcosa per ottenere una vita che sia piena, vera: eterna. Che cosa gli manca?

Gesù glielo dice: “Vieni e seguimi”.

Ora siamo in grado, carissimi fratelli e sorelle, di capire in tutta la sua

profondità la pagina evangelica. Ciò che decide della salvezza

dell’uomo è la fede in Cristo, l’Unigenito inviato nel mondo,

e la conversione a Lui. Pertanto, l’osservanza della legge morale congiunta

però al rifiuto della fede in Cristo equivale ad un sì detto

a Dio solo a parole e smentito dai fatti: non può salvare. Al contrario,

chi si trova nel disordine morale, ma ascolta l’invito di Cristo alla

conversione e alla fede in Lui, questi veramente aderisce alla volontà di

Dio e trova in questo la sua rigenerazione. I veri obbedienti sono i peccatori

che hanno creduto, poiché ora l’adesione alla volontà del

Padre si chiama fede in Cristo e sua sequela: “… i pubblicani

e le prostitute vi passano avanti”.

2. Carissimi fratelli e sorelle, il Vangelo ci disturba sempre, profondamente.

Esso oggi lo fa in un modo radicale, perché ci chiede di cambiare un

nostro comune modo di pensare. Quale? Il seguente.

La nostra salvezza definitiva, la realizzazione perfetta della nostra umanità non

trova la sua origine nella decisione di essere persone oneste, che rispettano

le leggi morali. La nostra salvezza dipende dalla fede in Cristo, Dio fattosi

uomo. Certamente: non ci salviamo se non agiamo bene. Ma, anche se non possiamo

salvarci senza opere buone, non è a causa delle nostre

opere buone che ci salviamo. Il destino umano non si gioca più sulle

regole, sul codice morale, ma sulla posizione che noi prendiamo nei confronti

della persona di Cristo. Voler incontrare Dio prescindendo da Gesù;

pensare ad una realizzazione della nostra persona che non ponga al centro la

fede in Lui, è una tragica illusione.

 

25/09/2005
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