La testimonianza di padre Damiano Puccini e don Davide Righi

La drammatica situazione di Beirut

«Per i fedeli in Cristo si fa sempre più prossimo lo spettro dell’emigrazione da queste terre»

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BEIRUT – Una forte esplosione ha scosso non solo Beirut ma il mondo intero. Lo scoppio al porto della capitale del Libano di martedì scorso ha costretto il mondo almeno a guardare l’immane tragedia di un popolo che già da anni scivola verso la crisi economica e sociale più nera.

A raccontare in presa diretta la drammatica situazione padre Damiano Puccini, missionario italiano della diocesi maronita di Beirut che da anni svolge la sua attività caritativa in quelle terre anche grazie ad alcune aiuti economici da parte della nostra arcidiocesi. «La situazione qui a Beirut è di forte emergenza – ha detto padre Puccini -. Il cardinale Bechara Boutros Rai, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, ha scritto una lettera a tutti i leaders mondiali per chiedere il loro aiuto. Questa esplosione ha messo ancor più in crisi il paese, che aveva nel porto il suo unico punto per il rifornimento di generi alimentari e medici. Il Covid prima e questo incidente adesso, rendono davvero difficile l’approvvigionamento di generi di prima necessità. Come Missione ci muoviamo al momento in tre modi diversi: primo con gli aiuti che ci arrivano dall’Italia riusciamo a far funzionare la nostra mensa e, secondo, consegnamo qualche prodotto ai più bisognosi. Penso alla farina oppure ai legumi che, comunque, ora dobbiamo distribuire in quantitativi più ridotti di prima per cercare di accontentare quante più persone possibili. Terzo impegno: ci siamo recati anche sul luogo della tragedia, che si trova a circa 20 chilometri dalla sede della nostra Missione, per dare il nostro aiuto ad esempio nella rimozione delle macerie» . Per chi volesse maggiori informazioni sulle sue attività e ricevere il notiziario è possibile scrivere a pdamianolibano@gmail.com.

«Le comunità cristiane – spiega ancora padre Puccetti – sono a terra. Insieme ai danni alle persone anche molti edifici strategici sono stati resi inservibili, fra essi ben tre ospedali del territorio. Anche diverse chiese, compresa la cattedrale, hanno subito notevoli danni. Dopotutto la zona del porto in cui è avvenuta l’esplosione è una di quelle a maggior presenza cristiana. Per i fedeli in Cristo si fa sempre più prossimo lo spettro dell’emigrazione da queste terre. Questo la gente avverte con grande dolore, percependo che nella propria nazione la situazione sta sfuggendo di mano».
«Sono tornato dal Libano, dove mi reco per studio quasi ogni anno, lo scorso 7 febbraio – racconta invece don Davide Righi, vicepresidente e segretario del Gruppo di ricerca arabo-cristiana – e già allora stavano continuando a più riprese le proteste di piazza contro il governo e la politica accusata di corruzione. Già negli anni scorsi la crisi sociale serpeggiava per il problema dei profughi siriani che scappavano dalla guerra in Siria e ammontavano, secondo le stime dell’Unhcr, a più di un milione di profughi siriani in terra libanese. Essendo i libanesi circa 4-5 milioni si comprende che una presenza così massiccia di immigrati diventa un problema».

«L’esplosione al porto – spiega ancora don Righi – è stata un vero disastro per buona parte della città. Gli inquirenti libanesi stanno analizzando le immagini delle molte telecamere di sorveglianza. Ora la prospettiva è l’aggravamento della situazione economico sociale per il ruolo strategico che il porto aveva nel rifornire il paese».

Luca Tentori

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