Natale 2020

La lettera di Natale, del card. Zuppi ai preti diocesani

Un commosso bilancio dell'anno che termina

Carissimo,

soltanto poche righe per manifestarti la vicinanza in questo Natale del Signore, così particolare, intenso, coinvolgente. Credo che lo sentiamo anche in maniera personale come presbiterio. In questo anno ci hanno lasciato ben diciannove nostri fratelli, tre di essi a causa del Covid, alcuni di loro in maniera improvvisa e prematura. La loro scomparsa mi ha posto tante domande per cercare di capire quale è il significato spirituale a questi strappi fisici della nostra comunione, davvero dolorosi. Le celebrazioni di commiato sono state di grande consolazione. L’unità tra noi che ho contemplato, così istintiva e profonda, ci accompagni anche nel nostro cammino quotidiano.

Diversi di noi sono stati colpiti dal Covid, qualcuno con conseguenze più o meno lievi. Da stamane anche alcuni nostri fratelli della Casa del clero. Anche noi abbiamo scoperto che siamo davvero tutti sulla stessa barca ad affrontare questa tempesta. Nella prova abbiamo un motivo in più per andare con le lampade accese incontro al Signore che viene, per cambiare il nostro cuore e manifestare l’amore di Dio. Ieri, solo per fare un esempio, sono andato a trovare un sacerdote che è ricoverato nello stesso reparto dove è rimasto per tanti giorni don Tarcisio. Le infermiere mi hanno voluto raccontare commosse della serenità che trasmetteva Tarcisio e della fede che ha testimoniato. Ha seminato fino alla fine.

Leggendo la lettera di papa Francesco su San Giuseppe ho pensato che è molto significativo e consolante per il nostro servizio di padri, protettori di questa madre e servi della comunione. Lo siamo, spesso molto più di quanto pensiamo. Tanti lo aspettano e cercano un padre e non parole paternaliste. Questo è possibile solo ascoltando noi per primi i la Parola e obbedendo ad essa con l’immediatezza di Giuseppe. Adulti, ma giovani nell’ascolto. Quanto c’è bisogno oggi di questa madre spazio di preghiera, di umanità, gratuità, amore vicendevole, in un momento di tanta solitudine, disillusione, paura. Noi la difendiamo e l’amiamo con tutto noi stessi.

Grazie per quanto fate. C’è tanto bisogno di noi, per difendere l’unità, per garantire la crescita di Gesù, per costruire una architettura umana che abbia sempre al centro Cristo. E poi Giuseppe è sollecitato nella protezione da Erode, per noi oggi quello senza volto del virus e della conseguenze, come la sofferenza che temiamo si manifesti pesantemente da marzo. Ma quante pandemie e quanti Erodi vogliono uccidere la speranza, svuotandola, rendendola insipida, seminando divisione, avvelenando con il “si salvi chi può” o con amore mediocre. I titoli attribuiti a San Giuseppe (Padre della tenerezza, Padre nell’obbedienza, Padre nell’accoglienza, Padre dal coraggio creativo, Padre lavoratore, Padre nell’ombra) sono anche i nostri e sono le indicazioni per la nostra rinascita dall’alto.

“La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé”. Le nostre inevitabili amarezze vorrei siano stemperate dalla dolce presenza di Cristo, dalla comunione tra noi e con gli uomini che “Egli ama”. Non abbiamo tutte le risposte. Abbiamo la risposta.

Seminiamo con larghezza, come i nostri fratelli che sono scomparsi hanno fatto fino alla fine. La povertà e la semplicità di Betlemme mi commuovono sempre e nobile viviamo con le nostre comunità, umile come il presepe di Greccio, segnate dalla nostra umanità eppure sante e piene di santi della vita ordinaria. Ecco il Buon Natale.

Vieni Signore Gesù.

Tuo Matteo.

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