Messa in suffragio del cardinale Giacomo Biffi nel 6° anniversario della morte.

Gesù chiama a sé i Dodici. Oggi chiama noi. Questo è ciò che conta, il senso di tutto, perché la chiamata del Signore è quella che spiega il senso della nostra vita e di tutte le altre chiamate che ci raggiungono. Siamo chiamati, non per merito, ma solo per grazia; non per noi stessi, per compiacerci o compiacere, ma per amore di Gesù che ci aiuta a trovare il nostro io. La chiamata non è un fatto privato, ma personale. L’individualismo, così idolatrato, vuole ridurre tutto a fare coincidere l’io con il privato. Così diventiamo isole. Siamo chiamati perché il Signore ci coinvolge con tutto quello che siamo, si fida di noi e vuole che proprio attraverso la nostra debolezza possa giungere al prossimo l’amore che “move il sole e l’altre stelle”, che è al centro di tutto e spiega tutto. Non smettiamo di comprendere la chiamata del Signore! Lo conosciamo da tanto tempo eppure cominciamo solo adesso a capirlo, non smettiamo di misurarne la grandezza e di ringraziare per una fiducia così grande e perché ci coinvolge in una preoccupazione così importante!

Gesù ha compassione delle folle di questo mondo. Non fa lo statistico, non si accontenta di qualche intelligente interpretazione, non accetta che qualcuno sia condannato a morire perché con cinismo si dice che non si può salvare tutti! Ogni persona è unica per lui e la sua volontà è che nessuna vada perduta. Si commuove per essa e la va a cercare. La pandemia ci ha aiutato a capire quanta sofferenza c’è nel mondo e quanto è vulnerabile la nostra vita. Abbiamo visto – non lo dimentichiamo – le lacrime silenziose degli anziani isolati e che si sono sentiti abbandonati, la paura e il disorientamento dei bambini e dei giovani, specialmente, come sempre, dei più deboli. Abbiamo visto la depressione per un oggi pieno di problemi e l’angoscia per il futuro. Quanta solitudine! Non possiamo abituarci al male, alle pandemie della violenza e della guerra, non possiamo abituarci nemmeno alla solitudine.

Gesù ci manda perché ci chiede di aiutarlo a riparare questo mondo con l’unica forza che può farlo e che mette in moto tutte le altre: l’amore. È il suo amore che ci affida: è suo ed è nostro ed è nostro perché suo, dono da donare. Ci ha adottato a figli. Lo sa bene chi non aveva famiglia, un posto, una casa, cosa significa trovarla! Siamo adottati e non da soli, ma in una famiglia. Lasciamoci addomesticare a figli e quindi a fratelli, noi che spesso viviamo da orfani e da individualisti. Gesù non è un padre padrone. Tutt’altro. Nel mondo ci sono tanti padroni insidiosi, che creano dipendenze, che sfruttano, che cercano solo la loro convenienza, che hanno interesse per noi solo finché è utile a loro. Gesù vuole che siamo noi stessi, con la sua richiesta ci aiuta a tirare fuori la parte migliore di noi. Certo, noi non siamo profeti né figli di profeti. Questa consapevolezza a volte diventa una giustificazione, altre un senso di inadeguatezza, che facilmente trova conferme con l’inevitabile peccato.

La chiamata del Signore non ci fa uscire da noi, ma entrare in noi stessi! Non ci fa perdere, ma trovare. E ci dobbiamo ricordare, sempre confidando nell’amore di Dio, che solo noi possiamo dire quello che altrimenti nessun altro dirà, mostrare attenzione. La sua chiamata acquista un’importanza particolare oggi che affrontiamo la pandemia, le sue rovine, le tante domande, paure, incertezze. Abbattiamo per davvero le distanze, andiamo incontro al prossimo, impariamo a tessere amicizia con tutti, specie con chi è più solo! Il Vangelo è per tutti e a noi è chiesto di portarlo con la nostra vita. Ecco perché dialogare con il mondo e farlo senza paura degli spiriti impuri, perché l’amore di Dio è più forte e pure è quello che viene raggiunto dall’amore misericordioso di Dio. I farisei tenevano a distanza il prossimo. I cristiani toccano il lebbroso, non allontanano la peccatrice, non condannano l’adultera, si mettono a tavola con i peccatori perché pieni dell’unica verità che non teme nulla: Gesù. Lui ci manda a parlare con tutti, a non escludere nessuno, a credere che l’amore cambia la vita, la fa rinascere. Ci manda a due a due perché noi anche amiamo un fratello e perché da come noi ci amiamo ci riconosceranno. Non si è cristiani isolati, ma sempre con un fratello e dentro una famiglia, quella di Dio che il suo amore genera.

Oggi ricordiamo il Cardinale Biffi e ringraziamo Dio per il dono del suo servizio alla Chiesa (giustamente la scriveva sempre con la C maiuscola), della sua dottrina, della sua ironia intelligente e profonda. È un ricordo che ci unisce nella comunione che è lontana dalle misere interpretazioni che riducono la Chiesa a schieramenti, a visioni che non hanno niente a che fare con il Vangelo, legate spesso a contingenze effimere e posizioni strumentali o a motivi ideologici distanti da questa madre che chiede a tutti di essere figli suoi e fratelli tra di noi.

Il Cardinale Biffi ripeteva spesso che “quando c’è una manifestazione di vera umanità, là il Signore Gesù è sempre chiamato in causa. Se Cristo è la verità, dovunque si trovi un frammento di verità si trova una iniziale ma sempre preziosa presenza del Figlio di Dio. Se Cristo è la sintesi di ogni giustizia, ogni sincera aspirazione alla giustizia è desiderio, anche se inconscio, di Lui. Se Cristo è la somma di ogni ricchezza estetica, allora bisogna riconoscere che … la bellezza, dovunque risplenda, è sempre irradiazione dell’Unigenito del Padre che è anche il più avvenente dei figli dell’uomo”. Ammoniva però: “Non bisogna mai dimenticare che non da noi, dalla nostra affabilità, dalla nostra abilità di non inquietare nessuno, ma da Lui, dalla sua luce di immagine del Padre, dalla sua potenza di Uomo-Dio risorto, dalla esuberanza divina del suo mistero, si può ragionevolmente attendere la salvezza del mondo”.

Non siamo né pelagiani né gnostici. Era preoccupato che prevalesse il gusto del «privato» e dell’«intimistico». Aveva ragione: il vero nemico è l’individualismo, il Vangelo ridotto a benessere, senza che tocchi i cuori e apra all’amore. “Il primato nel nostro animo è della felicità di essere stati chiamati immeritatamente ad aver parte a questo capolavoro di grazia”. Per questo il Cardinale spiegava che “la nostra chiamata all’esistenza non è per farci esistere chiusi in noi stessi, ma per inviarci a scampare dalla insignificanza e dal vuoto l’esistenza degli altri”. Per questo stigmatizzava una fede pigra, consuetudinaria e puramente intimistica e sentiva la necessità che la Chiesa fosse presenza percepibile, inquietante, rinnovatrice, in ogni angolo dell’universo. La passione pastorale di Papa Francesco, il suo esigente mandarci fino ai confini della terra, la sua richiesta di essere missione, cioè di vivere per il prossimo, il rimettere al centro il kerygma e la necessità di combattere il male, distinguendolo con intelligenza, è proprio in quella centralità di Cristo, unica e libera verità, che il Cardinale Biffi ha sempre indicato.

Pregava così: “Gesù, Figlio di Dio, Signore dei vivi e dei morti, Salvatore del mondo, abbi pietà di noi. Per la tua croce e la tua resurrezione mandaci lo Spirito di Verità, facci conoscere il Padre, edifica la Tua Chiesa, guidaci al regno eterno. Amen”.

Bologna, Cattedrale
11/07/2021
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