Omelia della Messa a Pianaccio per don Fornasini

È con tanta commozione che ci ritroviamo a Pianaccio e in questa casa dove nacque come figlio di Dio Giovanni, figlio di Angelo e di Maria Guccini. Qui celebrò la prima messa, proprio il 25 luglio. Ci sembra di vederlo, alto, all’apparenza gracile, felice per avere raggiunto la vocazione della sua vita, superando tanti limiti e difficoltà. Era il 1942. La piazza era “addobbata da archi di trionfo di fiori e frasche”. La festa avvenne senza “spari, mortaretti né notturni falò sulle aie”. Come tradizione venne recitato il sonetto augurale, che si concludeva così: «E lena, e speme ad affrontare procelle/avrai menando genti al comun porto / da Quei che in cielo seminò le stelle». Lena e speme in quella procella terribile della violenza, senza mai smettere di condurre la sua gente nel porto dell’amore. Martire per amore.

Nella dedica della sua prima messa don Giovanni volle trasmettere un addolorato senso di preoccupazione: «Caro amico, ti mando la prima benedizione sacerdotale. Il Signore vegli nella tua tenda e nel tuo cuore, nell’ora delle gioie e nell’ora del tormento. Ricorda: in guerra e in pace sii sempre un vittorioso della vita». E per arrivare alla vittoria nella vita, l’unica vittoria vera è quella dell’amore. A volte sembra una sconfitta, è perdere e perdersi, ma è quella che fa sempre vincere la vita. Pianaccio è un punto perduto nel verde degli Appennini, periferico dai luoghi importanti.

Qui nacque, cinque anni dopo, Enzo Biagi che disse di lui: «Non era un prete molto colto e forte, ma il coraggio e la grandezza erano nel suo cuore, temeva il peccato ma non la morte» e, sempre con evidente commozione: «Povero curato di montagna che aveva letto nel Vangelo che doveva essere agnello tra i lupi e come rassegnato agnello si offrì per tutti, serenamente». Serenamente. È la grandezza e la forza dei piccoli, quelli che hanno imparato a temere colui che ha il potere di fare perdere l’anima e che sono liberi di amare. Per questo sono i piccoli che insegnano a tanti colti e forti cosa significa vivere. Grande è chi serve, cioè colui che rende grande il prossimo aiutandolo.

Il borgo contava allora 442 abitanti. La ricchezza era nel cuore non nelle cose. I problemi non impedivano i sogni, la povertà l’educazione e la bellezza, le difficoltà la speranza e la gioia. Il suo papà poco dopo dovette andare alla guerra e la mamma faceva la contadina per rimediare nutrimento sufficiente. Era un punto perduto nel verde degli Appennini. Solo dalla periferia capiamo quello che conta e ritroviamo il centro. Solo facendoci servi diventiamo grandi. Solo decentrandoci dal mettere al centro noi stessi capiamo chi siamo e troviamo quello che conta. Siamo in realtà tutti periferici della verità, che non smettiamo mai di capire, così enormemente più grande delle nostre capacità e della nostra conoscenza, collocati ai bordi di un infinito che il nostro piccolo non riesce a capire.

Per questo la verità non è una regola o un’idea, non sono le cose o quanto si possiede, non sono nemmeno le nostre infinite interpretazioni, ma è una persona, Gesù, il suo amore che chiede di essere amato. Solo amando conosciamo la verità. Per questo i piccoli, gli umili diventano grandi, perché conoscono l’amore e diventano specchio di quello che muove ogni cosa e manifestazione dell’immagine di Dio che portiamo con noi. Don Giovanni superava i limiti per amore di Gesù, perché voleva diventare suo e con Lui e per Lui amare il prossimo. La pandemia della guerra aveva rubato il cuore e la mente alle persone, ma non a don Giovanni che rimane credente ed umano, che aiuta noi ad esserlo in questa nostra piccola tempesta.

Gesù non diventa re secondo le attese del mondo, vittorioso perché si impone sugli altri, cui vendere la propria libertà in cambio dello stomaco pieno, che risolva i problemi senza di me e garantisca il mio benessere a qualsiasi prezzo. Gesù non diventa uno dei capi delle nazioni perché quello che conta è l’amore. È proprio questa la scelta di don Giovanni, «sconvolto, ma non disperato; perseguitato, ma non abbandonato», «perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo». Era proprio un uomo della resurrezione, che non si è arreso al male, ma lo ha combattuto amando, convinto che «colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi».

Don Giovanni correva leggero con la bicicletta perché non si prendeva sul serio e prendeva sul serio il prossimo. Correva perché pieno dello slancio dell’amore, che non fa sentire la fatica o ce la fa affrontare volentieri. Che infamia usare come inganno per ucciderlo chiedere di andare a benedire! Come il bacio usato per tradire. Don Giovanni è vittorioso perché ha detto fino alla fine “amico”, comportandosi in maniera degna della chiamata che aveva ricevuto. Sì, oggi ce lo ricorda con il suo sorriso dolce, disarmante, infantile e tanto maturo, davvero grande e vittorioso perché ha manifestato la forza di Dio, servendo fino alla fine la sua gente, portando amore in quella tempesta di morte che accecava l’umanità, che giustificava e seminava la violenza, che mostrava quel lupo che vuole rendere l’altro anch’esso lupo.

Nella prova, quando siamo sconvolti, perseguitati, colpiti, portiamo con noi anche la vita di Gesù e diamo testimonianza non con qualcosa di straordinario, come credono i tanti inutili e miseri re di questo mondo, ma con la creta della nostra debolezza preziosa perché piena di luce e di amore. Come don Giovanni, con la sua generosità instancabile perché disponibile e umile, leggero perché libero da sé e pieno di amore, ha donato se stesso divenendo eucarestia insieme al suo Cristo. Gesù chiede di amare e la sua è una via di libertà, non di schiavitù o di paura. È l’amore non dato che è perso, non il contrario! Senza amore non si vive sulla terra e non si trova la strada del cielo.

Nelle testimonianze è scritto che don Giovanni «impresse a tutta la sua vita un ritmo sostenuto ed entusiastico». Perché? Non aveva problemi? Non li sapeva misurare? No. Li misurava, eccome! Ma amava Gesù e il prossimo più dell’amore per se stesso e non si fermava a lamentarsi delle difficoltà. Scrisse: «Chi ara deve arare con speranza; e chi trebbia trebbiare con speranza di raccogliere». Non erano parole facili. Essere servi sembra apparire poveri illusi? Nella vita contano i grandi, chi pensa per sé, chi salva se stesso, chi cerca il suo posto e non si preoccupa dei fratelli, chi vuole la sua considerazione e il suo potere, chi, insomma, si salva da solo, al massimo con quelli come lui.

Don Giovanni affrontò il buio che era anche quello dell’incertezza e dell’essere inghiottito dal nulla, della barbarie e della dimenticanza. Per tanti mesi il suo corpo è stato perduto. Anche Gesù poteva essere dimenticato da tutti, ridotto ad uno dei tanti crocifissi che scompaiono e di cui nessuno si ricorda più. Ma dal suo cuore scaturisce una sorgente. Era la carità che ha animato don Giovanni e che aveva capita a Lourdes. «Come una madre che vede in pericolo il suo figliolo, non ne lascia ad altri la cura, ma vi corre essa in aiuto, così ha fatto Maria. E a Lourdes è discesa per tutti, accoglie tutti, nazionali e stranieri, ricchi e poveri, sani e malati, giusti e peccatori.

Tale dev’essere la nostra carità verso il prossimo, noi chiamati al sacerdozio che è ministero di amore e di sacrificio. Anzi le qualità di questo amore possiamo vederle simboleggiate nella fontana della grotta. Zampilla essa dalla viva roccia; così la carità deve sgorgare dalla salda pietra della fede, altrimenti avremo la vana e volubile filantropia del secolo. La carità è il pane dell’Eucarestia. La carità la si deve usare con tutti, anche coi nemici». Scegliamo anche noi con don Giovanni di essere tra gli illusi e non tra i mediocri, senza speranza. Il vero inganno è credere di potere vivere sani in un mondo malato, senza fare nulla per curarlo; sapere elencare i problemi ma non cercare le soluzioni.

Don Giovanni illumina la notte della paura e aiutaci con il tuo amore contagioso! «Il Signore vegli nella tua tenda e nel tuo cuore, nell’ora delle gioie e nell’ora del tormento. Ricorda: in guerra e in pace sii sempre un vittorioso della vita». Grazie caro, nostro don Giovanni: tu continui a indicarci la via per vincere nella vita, per restare umani e amici di Gesù e dell’umanità.

Pianaccio
25/07/2021
condividi su