Omelia funerali don Jose Manfisango

Ci accompagnano in questo saluto inaspettato e doloroso le letture della festa del Sacro Cuore di Gesù, perché ogni sacerdote vive in quel giorno il segreto intimo che lo unisce al suo e nostro Signore. “Con Dio tutto inizia nella gioia e si compie della gloria, ma passando per la croce” scriveva, citando Guérard des Lauriers, nel ricordino della sua ordinazione sacerdotale. E José ne ha portata tanta. Ci sentiamo dentro il suo cuore e desideriamo vivere i suoi sentimenti, farli nostri e trasmetterli ai tanti che cercano cuore in un mondo impietoso, duro, impersonale, dimentico, che ha e mette paura, e ha un bisogno immenso del cuore di Dio. È, infatti, il suo cuore che ci rende umani, che ci fa scoprire come siamo fatti, che ci guarisce dalle malattie del nostro cuore. Il cuore di Dio è quello di un pastore, che in realtà è un padre e si pensa per le sue pecore, anzi è definito da queste (che senso, altrimenti, avrebbe parlare di un pastore?). Le passa in rassegna non per controllarle ma per dare importanza ad ognuna, per contemplarle, per fare capire a tutte che sono insieme, ma individualmente conosciute e amate. Sono il pastore e il gregge che identificano le pecore. Il cuore ha una comunicazione profonda, intima, con i suoi gemiti inesprimibili che il cuore di Dio sa ascoltare, decifrare, fare suoi. Il pastore le raduna, chiamandole dalla dispersione, le protegge poiché sa che il lupo rapace divide perché così la pecora diventa preda, e isolata è più debole. Le raduna dalla fatica dei giorni nuvolosi e di caligine, quelli dell’incertezza, della fatica, dell’orgoglio, del peccato, che non vuole siano l’ultima parola. Per questo va in cerca di quella che si perde, verso la quale prova gioia, non giudizio, che non giudica ma ama, che guarda non da estraneo, senza pessimismo, e alla quale fa sentire che è amata senza indagare la responsabilità dell’essersi perduta. Sa quanto è faticosa la condizione di smarrimento. Ha tenerezza, fascia le ferite e cura dalla malattia. Gesù, pastore buono e bello, ha dato la vita per le sue pecore quando queste lo hanno tutte abbandonato, fuggendo per salvare se stesse mentre lui si lasciava portare come agnello condotto al macello, perché nessuno sia perduto per sempre.

Davvero cantiamo con cuore commosso che il Signore è il pastore, il mio pastore, e io sono suo e Lui non fa mancare nulla, anzi su pascoli erbosi fa riposare, rinfranca l’anima nostra. Il Signore non ci lascia nell’amarezza di fronte all’evidenza della morte, ad un discorso interrotto, alle promesse tradite. Gesù affronta la valle che resta sempre oscura, temibile, quella dell’abbassamento più grande, dell’abisso dello sconforto, dell’orto degli ulivi, per cantare che la sua presenza è più forte di ogni male. È la nostra sicurezza oggi quando misuriamo la nostra fragilità e ci scontriamo crudelmente con il soffio del nostro essere. Gesù viene a prendere su di sé José e pieno di gioia se lo carica sulle spalle, lo porta nella sua casa del cielo, chiama tutti gli amici, perché la gioia non finisca e la vita non sia perduta. Noi ringraziamo per il suo dono.

Nella Gaudete et Exsultate – non dimentichiamo che possiamo fare tante cose ma siamo chiamati ad essere santi, perché è questa la parte migliore che non ci sarà tolta e che illumina tutto il resto – Papa Francesco ci ricorda che ognuno ha ed è una missione, che possiamo riconoscere quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la nostra vita. Dobbiamo aiutarci a riconoscerlo durante il nostro cammino, vivendo la santità, nella comunione che la rende circolare, gareggiando nello stimarci a vicenda. Tanto più nell’ultimo saluto, aprendo e scoprendo l’eredità che è affidata, il dono che è il fratello e che il male ci vuole sottrarre.

Del cuore di Cristo, Josè ha saputo vivere e trasmettere a tutti l’umiltà, che significava accoglienza e ascolto e lo rendevano segno tangibile dell’amore del Signore verso chiunque. Celebrava l’Eucarestia con intensità e le sue omelie erano profonde, raggiungevano il cuore di tutti, senza imporsi e sempre con tanto sapore evangelico. Amava la Chiesa, pur vedendone tanti limiti umani. Questi non erano per lui, come deve essere, motivo per sottrarsi all’amore o per giustificare assenze o distanze. Del cuore di Gesù, Jose ha trasmesso tanto la sua compassione per i malati, la cura per chi deve attraversare la valle oscura della sofferenza, dell’incertezza di qualcosa che ha colpito e che non sappiamo quando finisce, temendo sia la fine. Accanto a loro manifestava l’attenzione e il suo cuore di pastore. Nel malato vedeva il Signore e sentiva l’urgenza di coinvolgere tanti, nella necessità che tutti trovassero dolcezza, protezione, attenzione. A Jose non mancavano mai perché vedeva, presente nei malati, Gesù. Don Jose è arrivato a Bologna bisognoso di cure e si è messo a curare. Ci ha aiutato a scoprire il dono dell’Africa e la comunione tra le nostre Chiese. Sento l’amarezza di un dono ancora troppo poco vissuto e del quale dobbiamo imparare a godere di più, riconoscendolo e offrendolo. In Congo era un prete stimato, parroco in  diverse parrocchie e responsabile della pastorale scolastica nella sua diocesi. Arrivato qui ha dovuto in qualche modo ricominciare da capo, come cappellano, officiante, ospite in varie parrocchie. Arrivato al Sant’Orsola ha rivelato sempre tanta generosità, gentilezza e dedizione nel suo servizio verso tutti in ospedale: malati, familiari, personale, colleghi di servizio religioso, e  soprattutto verso le suore.

Impariamo da lui la pace e la letizia con cui ha portato i suoi dolori. Questi non gli avevano rubato il cuore. Anzi, ne aveva sempre tanto, sereno, sorridente e grato. Conserviamo nel cuore questo dono, vissuto lontano dalla sua casa e dalla sua Chiesa, lui che ha cercato fraternità con il presbiterio, aiutando e servendo la Chiesa, l’unico campo dove tutti siamo mandati come operai che è il mondo.

Grazie Jose, uomo mite e pacifico. Pregheremo per il tuo Congo che tanto ha sofferto e soffre e dove tornerai a riposare nell’attesa di ritrovarci tutti nel cuore di Gesù. Tu prega per noi e per questa tua casa di Bologna, perché sia sempre madre nella sofferenza e con dolcezza e disponibilità mostri l’amore del buon pastore a chi è malato e sofferente e dia cuore a chi cura e a chi è curato. Amen.

Chiesa di Santa Maria Lacrimosa degli Alemanni
27/06/2022
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