Omelia funerali mons. Giulio Cossarini

Quando una vita è sazia? Quando è sazia di giorni, come recita la Scrittura? Non è questione di anagrafe, perché può esserlo sia nella sua brevità (davvero è sempre l’esperienza del fiore del campo che oggi e domani non trova più il suo posto) sia quando è lunga e benedetta come quella di don Giulio. Si preparava a cantare l’alleluia per il secolo, anche per lui davvero breve. La vita è sazia quando sente l’amore di Dio, la benedizione di essere suoi. È sazia nel dono di sé, che ogni volta non finisce e trova un suo compimento. È sazia e piena quando non smette di guardare il domani, come ha sempre fatto don Giulio insegnandoci a pensarci in relazione a Dio e a pensare tutto insieme a Lui. Sempre con il sereno abbandono fiducioso alla provvidenza di un Dio che non smette di rendere forte e bella la vita. Lo aveva contemplato da sempre nel crocifisso di Pieve, dove aveva le sue radici. E questo sentirsi amato era il segreto della sua gentilezza, ferma, per niente compiacente, ma piena di riguardo per la persona, attenta, sensibile, personale ma senza possedere, legando a Dio e non a sé. E, proprio per questo, un vero legame di amore univa tanti, di varie generazioni, alla sua vita. Non posso non ricordare i suoi “ragazzi” della Sacra Famiglia. Sentirsi amato ed essere amabile. E chi è amabile rende tutto più facile, semplifica i problemi al prossimo, aiuta a compiere con gioia anche qualcosa di pesante.

Gentilezza e amabilità. La sua gioia era sempre ringraziare il Signore per quei doni, orgoglioso, perché l’unico vanto è nel Signore e lo è perché nessuno ce lo potrà togliere. Perché resta ed è davvero nostro solo quello che ci unisce agli altri, che doniamo loro, non quello che possediamo. È il rapporto tra Dio e l’uomo che abbiamo ascoltato dal profeta. Giulio lo sentiva per sé e lo rifletteva per tutti, con equilibrio e tanta maturità umana. “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Il dispiacere di Dio è quello di un padre che non è corrisposto, che vede non capito il suo amore, che è ferito dalla distanza da coloro che ama e che “si allontanavano da me”. Il dispiacere, insomma, di vedere l’amato correre verso qualche idolo, cercare la gioia da chi la ruba. Giulio si è sentito come Efraim fino alla fine: si è lasciato aiutare da Dio che non ha smesso di “insegnare a camminare tenendolo per mano”. E Giulio con docilità si è lasciato condurre. Non solo ha compreso che “aveva cura di noi”, che ci “trae con legami di bontà, con vincoli d’amore, che era per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare”. Ha trasmesso questo amore con la sua amabilità, che rendeva amabile tutto, anche relativizzando i tratti antipatici di ognuno. Amabilità e fermezza! Perché così, come fa Dio con noi, ha aiutato a scoprire la bellezza, ad essere belli, eleganti!

Il suo modo di guardare, tenendo la testa leggermente inclinata, era come se stesse immediatamente riflettendo sulle singole immagini, viste e registrate nella mente. Manifestava sempre interesse verso nuovi elementi e occasioni per arricchire il proprio bagaglio umano. Con la sua cultura, senza esibizioni e paternalismo, rendeva familiare qualche citazione letteraria o simbologia di pittori e scultori. E non ha mai smesso di ricordarcelo, di esercitarlo con il suo tratto, che faceva sentire importante il suo interlocutore perché amato, sempre senza nessuna compiacenza, senza esaltare, come spesso fa chi non ama, ma indicando l’amore di Dio come il centro di tutto, che “si commuove dentro di me, il suo intimo freme di compassione”.

È stato davvero un apostolo, un uomo centrato che aiutava a trovare il centro, che nell’accoglienza mostrava come il Regno dei cieli è vicino, attento verso la sofferenza, partecipe e buono. Consolando e liberando dal male. Sì, il segreto è in quel “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” per cui non abbiamo bisogno di procurarci oro e argento, di cercare sicurezza in quello che il mondo offre per farci sentire importanti. Lo siamo perché amati da Lui. E Giulio ha trasmesso tanto amore perché pieno dell’amore di Dio. Per questo amava con tanta venerazione, sempre in maniera personale, originale, la Chiesa, che ha servito con disponibilità e generosità. Raccontava divertito, con leggerezza e con quell’umorismo che lo ha sempre accompagnato (e anche in questo era così simile a Biffi), con il suo sorriso e il suo scherzare mai volgare ma tanto arguto, la predica di Nasalli Rocca ai preti che erano stati ordinati con lui nel ‘46, esattamente il numero di quelli che erano stati uccisi l’anno prima. “Sapete quello che vi aspetta!”, concluse il cardinale. “Andammo”, aggiungeva con un sorriso buono. Sempre con tanta fiducia, perché il credente si mette in cammino e non resta prigioniero delle paure.

Aveva iniziato subito alla Sacra Famiglia, facendo crescere una generazione di chierichetti, di giovani che aiutava dando la fiducia che sentiva per sé. Abituò all’applicazione del Direttorio liturgico prima ancora della riforma. Quante paraliturgie (rappresentazioni) in giro per la Diocesi! Era diventato naturale vedersi quasi tutti i giorni nella “sede” della parrocchia per chiacchierare sino a tarda ora. Erano gli anni ’50, con le contrapposizioni politiche di allora. Grazie a lui non esistevano divisioni, differenze tra lavoratori (già a quattordici anni!) e studenti, nonostante l’AC avesse questa divisione. Don Giulio era rispettoso delle scelte che ognuno faceva e la sua porta era sempre aperta anche dopo anni, a dimostrazione della vera amicizia che, volendosi bene, si era instaurata. La vera amicizia è nella libertà delle proprie scelte. In questa chiesa di Piumazzo ha speso la maggiore parte del suo sevizio pastorale. L’amore lo manifestava con tanto buon gusto nell’arredo, sobrio ma raffinato, nello scrivere testi e appunti per l’omelia. Riusciva, in modo entusiasmante, ad affrontare argomenti complicati, donando il suo sapere e le sue emozioni come linfa vitale per far crescere nuove piante e nuove speranze. Ed è rimasto tale fino all’ultimo respiro. Ci indica come vivere per strada, come camminare insieme a tanti, anzi direi a tutti, ascoltando, mai giudicando, sopportando, obbedendo (penso a quando fu spedito a Caselle del Crevalcore, anno 1960), dialogando, offrendo e ricevendo amicizia vera. Era un signore. Ripeto, qualcuno dice che ogni cristiano deve essere un signore, un signore perché ha tutto, senza mai abbassarsi a polemiche di piccolo conto, magari sapendo tenere per sé le cose con riserbo e rispetto. La comunità che ha lasciato qui, gioia per i suoi due successori e per tutti gli abitanti della città, è ben strutturata, piena di tradizioni come un grande dono, “l’Ottavario della Madonna della Provvidenza”, la processione e la messa al cimitero, ma anche le “cene Pasquali”.

Teneva moltissimo alla fraternità sacerdotale, ospitava ogni settimana i preti della zona ad un pranzo curatissimo dalla Lella, la sua perpetua, preceduto dalle letture. Recitava le ore liturgiche, spesso a memoria, grato al Signore di poter supplire con questa capacità al declinare della vista. La fraternità iniziava parlando con rispetto di “Monsignore” (il parroco), che pure a volte lo aveva trattato senza troppi riguardi! Andò a benedire, inviato rudemente in situazioni, come quando fu mandato a benedire le case dentro ai portici che portano al cimitero. Ogni occhio di portici era una casa abitata da ladruncoli, prostitute e balordi. Si preparò tutto per bene. La cotta bianchissima, il turibolo con acqua benedetta e i santini. Ritornò pieno di pulci e pidocchi, così sporco che il parroco non sapeva dove farlo entrare!

Oggi i suoi occhi si aprono a quella bellezza che ha cercato, saputo vedere e far vedere, che ha scoperto anche dove ce n’era poca perché aveva uno sguardo pieno di amabilità, e che oggi si apre pienamente per lui. Prega per noi, prega perché possano venire tanti preti quanti quelli che ci hanno lasciato, insegnaci a comunicare con gioia il Vangelo, con semplicità intelligente ed elegante umanità, con tanta attenzione alle relazioni e mettendo in relazione con Dio. Con gentilezza e amabilità.

Chiesa di San Giacomo di Piumazzo
07/07/2022
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