Omelia nella Festa di sant’Alfonso Maria de’Liguori

Siamo mandati a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a consolare gli afflitti. Il cuore si spezza facilmente: lo induriamo, ma resta sempre delicatissimo. Quante ferite che non si vedono immediatamente e che poi provocano grandi sofferenze! Per vedere l’oggi nel quale si realizza questa profezia dobbiamo metterci in ricerca, come quei tanti che verranno da oriente e occidente e siederanno a mensa nel regno dei cieli perché si sono messi umilmente in cammino, non sono restati fermi a misurare il presente ma hanno cercato il futuro. Ecco la quercia di giustizia che è S. Alfonso, sapiente perché si è fatto piccolo, pieno di amore che ha saputo sentire e trasmettere, con quel di più che è la misericordia, canto e poesia del cuore, perché l’amore non è mai una spiegazione, una regola, ma sempre una musica che compone ed esprime le note profonde della vita.

È stato ed è un grande consolatore per cuori spezzati, non accontentandosi di fornire qualche sollievo o qualche “parola buona”, ma restituendo vita a chi l’aveva rovinata, la speranza a chi aveva perduto tutto, l’innocenza al peccatore senza futuro.

Per consolare, però, bisogna saper soffrire. Consola chi ha compassione, non chi esamina una pratica, un tecnico che fornisce spiegazioni e indicazioni. Consola chi piange perché fa sua la sofferenza del prossimo e sarà consolato con lui. Come dice l’apostolo: “Come un buon soldato di Gesù Cristo, soffri insieme con me”. Quando non proviamo più il freddo e il caldo della strada e ci rifugiamo nella comodità delle nostre sicurezze e giudizi, cercando di stare bene anche a costo di fare morire la pietà; quando non piangiamo più con chi è nel pianto perché ci costa e pensiamo sufficiente offrire a distanza indicazioni perché ognuno se la cavi come può, teorizzando di non essere coinvolti, finiamo in realtà prigionieri del nostro individualismo e di una vita senza il suo vero senso, che è l’amore, e senza aver trovato per chi vivere, che è il nostro prossimo.

Alfonso aveva tutto il successo ma, come San Francesco, aveva capito che non era il ruolo o il riconoscimento del mondo a dargli quello che cercava e di cui aveva bisogno. Da ricco si è fatto povero e senza niente ha reso ricchi tanti. Non ha usato la sua intelligenza per il suo successo individuale nel mondo, ma per consolare tanti e aiutare tanti a farlo, fondando la morale, cioè aiutando a scegliere come vivere, come scegliere, da che parte andare nei difficili incroci della vita, evitando di compiacere o di condannare, le maniche larghe e quelle corte. S. Alfonso non era un asettico dispensatore di istruzioni per l’uso, ma un padre che ascoltava le tante sofferenze delle persone, ponendosi dalla parte degli abbandonati, difendendo il loro diritto al vangelo e alla santità, trovando il giusto equilibrio tra severità e libertà, riconducendo tutto all’amore di Dio, perché la perfezione di Dio è sempre e solo nell’amore. E la perfezione del cristiano non è non sbagliare, ma lasciarsi amare da Dio e con Lui amare il prossimo e se stesso. Dio è giudice, ma sempre medico e padre. Dio ci ama e ci dona il suo amore perché conoscendolo possiamo seguirlo e trovare, a volte con itinerari davvero complicati, la vera morale, cioè tornare da Lui, perché Dio ci dirà costantemente “guarda che questa sarà sempre la tua casa”. Che ipocrisia il freddo puritanesimo e il moralismo senza amore! La misericordia non è relativizzare la legge o accomodarla, ma ne è il compimento. L’impegno di S. Alfonso era proprio questo: fare conoscere a tutti l’amore di Gesù, “lasciare in ogni predica i suoi uditori infiammati del santo amore” ad iniziare dai poveri che amava teneramente e concretamente.

Seguiva Gesù che “percorre tutte le città e i villaggi”. L’amore non resta fermo, si mette in cammino, si espone al rischio dell’incontro e della strada. Tutti i villaggi, tutte le persone, perché sono tutti da raggiungere e amare. Forse Gesù non si rende conto del rischio o, addirittura, è complice del male come lo giudicavano i farisei? Dobbiamo temere il peccato, non il peccatore! L’amore di Gesù è più forte del male e questo potere lo affida ai suoi discepoli. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore.  Questi versetti spiegano la nostra vocazione. Un egocentrico non avrebbe visto nulla perché relativizza tutto e tutti a sé. Un filantropo avrebbe organizzato dei servizi di assistenza, ma non si sarebbe certo fatto carico della folla. Un intellettuale si sarebbe esercitato nelle interpretazioni, attento a mostrare la sua intelligenza nelle analisi, distaccato osservatore di fenomeni. Un fariseo, ossessionato a combattere il male negli altri, zelante e implacabile difensore di una verità senza amore, avrebbe espresso la condanna pensando così di difendere la legge. Gesù ama la folla. È venuto a salvare, non a giudicare. È lui che riconosce le ferite, anche quelle nascoste, e le fascia con la grande medicina della misericordia. Ci coinvolge e ci chiama ad essere operai del suo amore, a rendere concreta la sua compassione, a liberare il cuore e le relazioni degli uomini da tutti gli spiriti impuri, quelli che rovinano la persona, la deformano, la rendono dura, violenta, schiava delle paure, arrabbiata. Diceva S. Alfonso: “Una persona, quindi, che ama Dio, ama tutti quelli che sono amati da Dio e ben volentieri, per quanto le è possibile, soccorre, consola e accontenta tutti. La dolcezza bisogna praticarla specialmente con i poveri, i quali, ordinariamente, perché poveri, sono maltrattati; e anche gli infermi, afflitti da malattia e poco assistiti. Bisogna vincere l’odio con l’amore, le persecuzioni con la dolcezza”.

In un mondo spaventato e violento siamo tutti chiamati ad essere operai della sua compassione, prendendoci cura di tutti, anche di chi non può guarire ed ha ancora più bisogno di sentirsi amato, non un peso inutile. La folla se non si ama incute paura. È proprio vero: il si salvi chi può finisce in tutti contro tutti. L’amore di Gesù è il Vangelo che rende preziosa, perché amata, la vita di ognuno, che restituisce il volto, il nome a chi altrimenti si sente perduto nel mare della solitudine, che ne svela la bellezza, la riveste di importanza. Siamo operai della compassione perché non manchi la medicina della misericordia, quella che Papa Giovanni scelse sessanta anni or sono invece di imbracciare le armi del rigore, mostrandosi “madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”. Ecco perché S. Alfonso ha tanto da dire ancora oggi! La sua capacità affettiva, di coinvolgere in una relazione di amore con Dio, la pedagogia della misericordia, permette di fare scoprire sempre l’incanto di un amore che continua a scendere dalle stelle, che è sempre tanto più largo del nostro cuore e dei nostri giudizi. Ecco la sfida che dobbiamo vincere: un Vangelo affettivo, capace di comunicare emozioni, di coinvolgere in relazioni, perché altrimenti la Chiesa diventa come un consultorio, strumento importante che ascolta e offre soluzioni, ma che non risponde alla domanda del perché e per chi. Gesù, del resto, guarda la folla con l’amore di una madre, con l’incanto di chi vede la bellezza nascosta in ogni persona. La folla non è un insieme di categorie ma di storie, ciascuna importante. Alla folla stanca e sfinita S. Alfonso faceva vivere l’amore di Dio, riunendo le persone per pregare e per meditare la Parola di Dio, nelle “cappelle serotine”, quelle che oggi chiameremmo comunità della Parola, Vangelo per tutti che diventa educazione alla vita. Insegnava a pregare gustando “la delizia di starsene avanti ad un altare con fede… e presentargli i propri bisogni, come fa un amico a un altro amico con cui si abbia tutta la confidenza!”.

“Dio mio, sii tu l’unico Signore del mio cuore; possiedilo tutto. L’anima mia ami solo te, a te solo obbedisca e cerchi di piacere in tutto a te. O Amore, degno di infinito amore, tu mi hai amato fino a morire per me. Io ti amo con tutto il cuore, ti amo più di me stesso e nelle tue mani abbandono l’anima mia” (San Alfonso Maria dé Liguori). Il Signore ci doni di sentire il suo amore per essere operatori della sua compassione in un mondo ferito e di amministrare con larghezza la sua misericordia.

Pagani (SA), Basilica di Sant'Alfonso Maria de'Liguori
01/08/2022
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