Omelia nella IV di Quaresima

“Rallegrati, Gerusalemme”. Oggi siamo noi Gerusalemme! La nostra gioia anticipa quella della Pasqua e ci aiuta a capire il senso del nostro cammino. E, quando vediamo la luce, il buio fa meno paura e siamo più determinati e forti. Sentiamo la gioia di essere comunità, chiamati e mandati da Gesù nonostante il nostro peccato. Il suo amore vince la paura che ci sconsiglia sempre di fare noi il primo passo verso il Signore e verso gli altri. La paura ci fa vedere tutto complicato, difficile, impossibile, troppo faticoso. Gesù non si stanca di venirci a cercare, di fare Lui il primo passo verso di noi: ci vede e non passa dall’altra parte. Gesù non ci chiede sacrifici per poter avere misericordia di noi. L’allegria, la gioia, e quindi l’entusiasmo che vediamo pieni in questa liturgia, li abbiamo vissuti in questi giorni di visita, che non è stata solo la mia alle parrocchie, alle comunità, alle famiglie, direi ad ognuno di noi, ma anche tra di noi. Una visita per conoscerci, per riconoscerci, per dirci che – come mi avete detto all’inizio di questi giorni – “ci vogliamo bene”. Ho sentito quanto il Signore ci vuole bene e quanto ci vogliamo bene. Quante testimonianze di come l’amore gratuito, tenero, pieno di Dio può cambiare la vita, restituirla, difenderla, rivestirla di importanza, proteggerla! Pensando alla nostra umiltà umana e a come Dio si serve proprio di noi per compiere le opere grandi, capiamo la sua gloria, tutta umana e divina, rivelata proprio attraverso i nostri volti e le nostre persone.

La gioia di oggi non significa certo che tutte le cose vadano bene! Spesso pensiamo la gioia come il non avere problemi o che il Signore ama i perfetti. No, la nostra gioia è piena solo perché siamo pieni di Gesù e del suo amore “fino alla fine”, senza riserve, incondizionato, con tutto il cuore, l’anima e la mente. Le nostre comunità sono bellissime non perché perfette e senza peccato, ma perché piene della misericordia di quel padre che continua a venirci incontro e incredibilmente ci abbraccia e abbraccia i tanti che hanno bisogno di pane, di casa, di vestito, di protezione, di fiducia. La nostra non è la casa del fratello maggiore, ma di quel padre che ci ricorda la regola dell’amore: tutto quello che è mio è tuo e nonostante il nostro peccato ci fa sentire che siamo suoi, che nessuno è perduto, che tutti possono tornare in vita. È la Pasqua che vediamo, che cerchiamo, di cui abbiamo bisogno, affrontando la sofferenza, non evitandola pensando di stare bene da soli o che il male sia fuori di noi.

Non dobbiamo guardare le apparenze, ma il cuore. Il cristiano, diceva Papa Benedetto XVI, è “un cuore che vede”, quindi sa vedere l’altro, le sue attese, il suo valore, la sua bellezza, si accorge come una madre, anticipando, prevenendo, sostenendo, perché un cuore che vede non può restare fermo. Vede e ama. L’individualismo vede solo quello che interessa a me, il consumismo quello che posso possedere, l’indifferenza non vede nulla tanto che alla fine non sa farci vedere il nostro stesso valore. C’era un principe piccolo, che ricorda il segreto, molto semplice, per vivere bene: “Si vede bene soltanto col cuore. L’essenziale è invisibile per gli occhi”. L’amore invisibile rende tutto visibile, vede tutto. Sono gli occhi di Gesù, che vede e ci fa vedere la persona, il suo cuore, anche complicato e contraddittorio com’è. “L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Chi ama Dio sa che vede il cuore e vede anche il mondo con il cuore. Il mondo vede l’apparenza e insegna a curare solo l’apparenza. Quanto poco curiamo l’anima mentre tante energie, soldi, passioni, mettiamo sull’aspetto esteriore! E a volte anche l’anima finisce per essere solo esteriorità, superficie, istinto. Quando guardiamo solo l’apparenza, e gli altri ci vedono solo per questa, finiamo per sentirci inutili oppure diventiamo dei presuntuosi, perché ci crediamo quello che non siamo. Ci sentiamo inutili perché il mondo non sa riconoscere la bellezza che abbiamo dentro e la debolezza diventa una colpa, della quale ci vergogniamo, e invece di chiedere aiuto ci colpevolizziamo o finiamo arrabbiati con tutti. Dio guarda il cuore perché ci ama e se guarda il cuore, la bellezza nascosta in ognuno, rende tutto bello, perché bello è ciò che è amato. E succede anche il contrario, cioè che tutto diventa brutto e senza valore perché non amato, anche se l’apparenza è curata, magari confezionata da qualche esperto di comunicazione per cui tu diventi pure un influencer! Gesù guarda il cuore, vede e opera, non deve farsi vedere nella speranza, così, di essere importante o di credersi importante.

Gesù non si mette a discutere sulle persone, come fanno i discepoli stessi: le ama, le cerca, le aspetta, apre loro gli occhi della fede, che non vuol dire una scelta assoluta e perfetta, ma solo quella bellissima, umanissima domanda tra Gesù e il cieco nato: chi è il figlio dell’uomo? Sono io. La fede è dire: voglio bene a te, sento il tuo amore, vedo il tuo volto. Non si ama un’entità anonima ma un Tu, una persona, quell’uomo Gesù che Dio ha mandato tra gli uomini perché gli uomini possano vedere Dio, altrimenti è impossibile capire. E la fede è riconoscere il suo amore che già sentivamo ma non sapevamo venisse proprio da Lui. Tanti sono nel buio. Quando non c’è amore non c’è luce: nella guerra, nella malattia, nell’immensità del mare o del deserto, nelle prigioni, nelle torture, nei diritti negati, nei bambini strappati alle loro famiglie, nella solitudine che sembra renda invisibili agli altri. Con Gesù non dobbiamo farci vedere: ci vede lui. Non si mette a discutere come i discepoli su di chi è la colpa, osservatori critici ma non operatori di amore e di pace! Il problema è loro, al massimo si tratta di capire di chi è la colpa. E noi ci pensiamo sempre senza colpa! «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Discutono, interpretano, ma non fanno nulla. Gesù invece lo ama. Non spiega tutto, perché solo l’amore spiega ogni cosa, anche il mistero del male, perché lo rende occasione per voler bene e sentire l’amore di Dio. Ciò che conta è amare tutto perché questo cambia la vita, la libera dal male, restituisce quella che Dio vuole per tutti e apre gli occhi! Davanti alla sofferenza domandiamoci come aiutare perché tutto è occasione di amore, non di giudizio, intelligente o rozzo che sia. Non ci servono consulenti che offrono spiegazioni ma non amano! L’importante è che nasca il bene, che si veda l’opera di Dio, la sua gloria che è solo quella dell’amore. Anche nella terra più arida, nel deserto, si possono seminare dei fiori! Invece di restare spettatori che certificano di chi è il problema, che non diventa mai il loro, guardiamo con il cuore e compiamo le opere di Dio, possibili a tutti, in quegli infiniti gesti di amore che sono piccoli e realizzano le cose grandi di Dio. I malati guariscono perché sentono l’amore di Gesù e quello dei suoi fratelli. I ciechi vedono perché l’amore illumina le tenebre, gli scoraggiati riprendono coraggio, i disperati speranza, gli stranieri si sentono a casa, i giovani la fiducia che apre alla speranza. E noi che crediamo di vedere tutto, ma in realtà non vediamo niente perché non vediamo con il cuore e ci fermiamo solo alle apparenze, scopriamo il mondo che cambia e mettiamoci così all’opera amando come Gesù ci chiede! Vediamo oggi quello che sarà di domani, quando la luce dell’amore vincerà per sempre le tenebre del male e la Pasqua farà fiorire per sempre la vita.

“Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”.    Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”.

Chiesa di Santa Maria del Suffragio
19/03/2023
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