Omelia per i funerali di don Giovanni Poggi

Lasciamoci guidare dalla Parola di Dio. Non siamo noi a scegliere lei, ma lei che ci guida nelle vere necessità della vita. Facendo tutto quello che ci dirà troviamo la via per la nostra felicità. Gesù, infatti, non intervenne a Cana per sé ma per noi, e quello che dice manifesta la sua volontà che è quella di rendere piena la nostra vita, altrimenti amaramente o realisticamente destinata a terminare. Gesù ascolta l’intercessione di Maria, sua e nostra madre, che presenta quello che manca a noi e coinvolge il figlio riconoscendo, lei per prima, la sua forza di amore. La sua ora è quando manca qualcosa alla nostra gioia, è la nostra sofferenza. Lasciamoci illuminare il cammino dalla Parola di Dio e dalla Chiesa, che come una madre ci aiuterà sempre a fare tutto quello che Lui ci dice. Dio ci porta nel deserto per quell’incontro personale che ci restituisce a noi stessi. Parla al cuore perché possiamo trovare cuore, quello dell’inizio, perché il Signore non smette di rendere nuovo quello che è vecchio, di restituire l’innocenza al peccatore, la libertà al prigioniero. La Parola ci aiuta a comprendere il senso della nostra vita quando sembra perduto per sempre, a riconoscere il già e a cercare il non ancora, cioè quello che ci aspetta, la festa che sta per cominciare. Senza il non ancora tutto è adesso. Il cristiano è uomo dell’attesa e per questo non si rassegna, cerca, ha fiducia, crede nella luce anche quando c’è il buio, nella resurrezione quando si scontra con la morte.

Il Regno è un incontro atteso e necessario, per il quale prepararsi. Secondo taluni già solo sapere che deve venire qualcuno a visitarci riempie di gioia. L’attesa è parte dell’incontro, lo anticipa, ce lo fa gustare, riempie le nostre giornate e dà a loro il significato. Il Regno è simile, quindi, a queste vergini. La stoltezza e la saggezza sono date da due modi diversi di disporre dell’olio e dal pensarsi interamente per lo sposo. Non sono antipatiche a non condividere, come sembrerebbe. Il problema è che quell’olio sarebbe mancato per tutte e lo sposo non avrebbe trovato nessuna. Si pensano interamente per lo sposo. È l’atteso per cui vale la pena vivere, con gioia, come chi sa che senza quell’incontro si perde la pienezza della vita. Le stolte vivono all’impronta e si ritrovano a bussare ma senza essere conosciute. Non è un problema giuridico, ma di amore. Non ti conosco perché io ero affamato e non mi hai dato da mangiare. Veglia, allora, chi cerca il non ancora, perché sa che il bello deve venire. Veglia chi ama la vita e non può accontentarsi di quello che ha, perché limitato, caduco, spesso vano e inutile. Veglia chi attende un amico caro, perché ha bisogno dell’amore e di un amore gratuito, puro, che non finisca, che contenga parole di vita eterna, che faccia comprendere quello che non finisce. Aspettare la vita futura non ci fa scappare dal presente!  Anzi. Ci fa vivere tutto con amore, proprio perché liberi dal senso di onnipotenza che esalta o dall’individualismo che deprime.

Don Gianni ha vegliato. Per il suo 50° di sacerdozio don Matteo Prodi ha scritto che “il senso della vita di don Gianni era condurre le persone da Gesù”. Aspettava Lui e faceva incontrare Lui. Penso alla sua premura per gli anziani e gli ammalati. Vegliare significa farsi carico dei suoi fratelli più piccoli, perché è la misericordia che ci fa riconoscere Gesù nel loro corpo e attiva il nostro. Sapeva bene che vegliare significa anche essere vicini nella sofferenza, non per amore di questa, ma perché arriva, proprio perché la durezza della vita non ci trovasse impreparati. Questa è la sapienza, come quella delle vergini della parabola. Da Castel San Pietro Terme, ordinato nel 1950 a Poggio Renatico, parroco a Pieve di Budrio e poi, dal 1977, a S. Egidio, accompagnato dalla raccomandazione di fare le benedizioni da solo, per rendersi conto personalmente della situazione. Si è pensato sempre unitamente ai suoi vari cappellani: don Andrea, don Giorgio, don Lino, don Matteo e don Stefano. Vegliava tanto da non fare un giorno di vacanza: non lasciava la parrocchia un giorno solo, nonostante le insistenze che si prendesse un po’ di tempo per il riposo. Perché?  Se qualcuno avesse bisogno della confessione dell’unzione degli infermi! Si veglia per amore, per attenzione agli altri, per farsi trovare e farsi trovare pronti (era sempre vestito bene proprio per questo) dall’incontro di Colui che deve venire. La saggezza è un cuore umile. È questa che rende saggi perché ci relativizza a noi stessi, perché siamo poca cosa e ci fa accettare come siamo e partire da quello che siamo, e ci relativizza agli altri, perché siamo noi stessi insieme, non senza il prossimo.

Ha vissuto la grande stagione del Concilio, piena di entusiasmo e di attese fortissime, di veglia intensissima per la Chiesa che deve venire e il mondo nuovo che sembrava alle porte. Non era facile per lui, né così scontato, considerando la sua formazione preconciliare. La Bibbia, la corresponsabilità, la Liturgia: tutto nell’ottica del Concilio. Si diede da fare moltissimo per promuovere il Consiglio Pastorale. Forse il suo modo scrupoloso cozzava con una certa intemperanza di quella stagione. Ma in fondo erano veri e importanti tutti e due gli atteggiamenti: correre e sapere costruire con pazienza, la fretta e la pazienza. Don Gianni vegliava stando dalla parte dei più piccoli, quelli che avevano bisogno della protezione della comunità. Ha lasciato tutto quello che aveva per la Chiesa e una parte specificamente alla mensa della Caritas. La comunità, la Chiesa, doveva essere accogliente per chi non aveva famiglia! Vegliava nella celebrazione eucaristica, incontro con lo sposo, compimento del già e inizio pieno del non ancora. Qualcuno diceva che l’amava così tanto da farla durare il più a lungo possibile! La veglia si esercita con la preghiera (era capace di ripartire da capo col breviario se si addormentava mentre lo diceva). Vegliava talmente da pensare che la parola più brutta del mondo fosse “uffa”, perché per lui non era concepibile la pigrizia o il tirarsi indietro davanti ai sacrifici. Veglia amando la comunità, controllando – non facciamo fatica a immaginarlo – le schede delle benedizioni una per una, come modo per conoscere e preparare l’incontro. Il tempo estivo lo dedicava anche (o soprattutto) a quello. Sapeva ogni cosa di ogni casa e famiglia. Veglia significa anche protezione per qualcuno: quanto voleva che tutti si sentissero protetti dalla Chiesa madre, anche attraverso il buon funzionamento di tutto, iniziando dalla concreta rendicontazione dei soldi fino alla custodia degli immobili! Quante energie spese per il cinema e per gli altri spazi! Veglia è dare fiducia agli altri, per i vari servizi necessari. E vegliare così significa anche costruire e preparare il futuro, il dopo di noi. Nato a Castel San Pietro, la lampada della sua vita è stata sempre accesa di amore per il Signore e per il prossimo. Ci ha lasciato dopo la festa della Trasfigurazione, all’alba del giorno in cui il mondo è cambiato per sempre, quando le lacrime sono asciugate e la luce della vita non è più spenta.

Don Gianni, prega per noi, per la tua Chiesa di Bologna, perché tanti si mettano al servizio nei vari ministeri e anche nel bellissimo ministero del presbitero che presiede nella comunione e dona tutto se stesso per costruire la famiglia di Dio tra gli uomini, il nostro già che rivela la pienezza del non ancora. Riposa in pace.

+ Card. Matteo Maria Zuppi

Parrocchia di Sant'Egidio
09/08/2022
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