Omelia XIX domenica T.O. anno B, a Romena

Iniziamo aiutati dall’ammonizione dell’Apostolo: «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio». Basta poco: è sufficiente il banale e facile realismo, la diffidenza dell’adulto, il cinismo dell’esperienza o di quella che reputiamo tale che si disperde la forza straordinaria ma delicatissima dello Spirito. Spesso vogliamo prima sapere tutto, capire, accertare: ci fidiamo così tanto di noi stessi che, come Tommaso, esiste solo quello che io vedo e tocco. Lo spirito non significa certo improvvisazione o farsi comandare dall’istinto che confondiamo con la volontà di Dio. Per non rattristare lo Spirito dobbiamo ascoltarlo, lasciargli spazio, pregare, discernere, affidarci alla sua forza che è tanto più grande del nostro cuore. Facilmente una Chiesa che non crede più alla forza dello Spirito si lascia conquistare dalla forza del mondo, l’amore diventa filantropia, la comunione condominio, la fraternità un gruppo di auto aiuto!

«Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo». Ecco alcuni atteggiamenti concreti da scegliere (e scegliere sempre di nuovo) per non restare prigionieri delle passioni, che alla fine comandano loro e non noi loro, ci disperdono invece di diventare sentimenti e legami. Non è troppo poco. Non è un atteggiamento remissivo: è offrire i cinque pani e i due pesci perché condivisi sazino tutta la fame di tutta la folla. Gesù non disprezza mai la domanda materiale della folla, non la allontana, non parla in astratto, e per Lui amore è distribuire il pane perché tolga la fame concreta delle persone. Non è un intimista che sembra troppo alto per questi problemi materiali, non è un moralista disinteressato alle condizioni concrete perché preoccupato di rispettare le regole, anzi quasi diffidente perché contrappone il pane materiale a quello spirituale. Gesù prima distribuisce il pane perché siamo sazi e poi aggiunge anche che non di solo pane vive l’uomo e che dobbiamo cercare il pane che non perisce. Non minimizza, allora, la fame di lavoro, fame di speranza, di compagnia, di visite. E Gesù libera da un’idea individuale di felicità. Il pane è condiviso e Lui stesso è il pane, il dono. Questo scandalizza, ma non è solo il problema della transustanziazione, ma perché dona se stesso per sfamare il prossimo.

Questa scelta è inaccettabile nell’idolatria del vivere per sé, di limiti e misure ben chiare, di convenienze e reciprocità che limitano l’amore. Gesù ha compassione della folla, conosce la sua fame e quello di cui ha bisogno. Ci coinvolge, ha bisogno di noi, ci chiede di donare i nostri cinque pani e due pesci, per certi versi di seguire Lui che dona se stesso. L’amore che sazia noi ci è dato per saziare il prossimo, non sarà mai pane per farci stare bene senza gli altri. Abbiamo tanto bisogno del pane dell’anima. È un legame di amore pieno, che spaventa l’individualismo che ci fa credere che siamo noi stessi se imponiamo le nostre condizioni, se conserviamo sempre una via d’uscita, se non dobbiamo chiedere aiuto. L’idolatria dell’io ci fa scegliere così, cioè non legarci mai come se il legame fosse una catena limitante e non il giogo soave e leggero che in realtà ci affranca dalle catene perché legame di amore. L’individualismo ci fa credere al benessere individuale, per cui l’altro è un concorrente, una limitazione, cui lasciare qualcosa se io sono animato da buone intenzioni. Il vero benessere è sempre con il prossimo, perché l’uomo non è un’isola!

Fermiamoci con il profeta Elia. Aveva dovuto affrontare una prova terribile, quella contro i profeti di Baal. Un scontro con il male che egli vince. Viene raggiunto da un’ulteriore minaccia, di Gezabele, che lo riempie di paura, quella che non aveva avuto sul Monte Carmelo. Si accorge che deve ancora lottare, che la vittoria non è mai definitiva, e quindi sperimenta la vanità delle sue azioni che pensavamo importanti, decisive e poi si rivelano parziali, vane, caduche, limitate perché poi arriva qualcosa d’altro che cambia tutto. Ha paura e questa volta non vuole camminare. La prova non è mai tornare come prima, lo scontro con il male non è una parentesi che si chiude, ma ci deve aiutare a crescere interiormente, trovare una nuova consapevolezza di sé. Ma si sentiva senza forze. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Si giudica da solo e in fondo anche con tanta distruttiva verità pensa che non è migliore dei suoi padri. È raggiunto ancora da problemi e si sente debole. In realtà non ha incontrato fino in fondo il Signore. Deve scoprirlo in maniera personale e non nella forza ma nella brezza leggera, proprio dove non lo cercherebbe.

Il Signore non lo condanna, non lo rimprovera, non lo lascia solo, non inizia un itinerario personale interpretativo. Lo nutre di pane, lo sfama con il suo amore. Per noi è il pane buono di Gesù che ci sostiene nel nostro cammino e che ci viene offerto anche quando sembra che niente vale la pena. Abbiamo tanto bisogno di questo pane degli angeli, pane del cielo perché unisce la terra ed il cielo. Infatti quanto facilmente il cammino diviene pesante, difficile. Per qualcuno diviene impossibile, segnato com’è dal dolore, dalla difficoltà, dalla fame. Elia avverte tutta la sua solitudine e si sente schiacciato da questa, nulla e nessuno sembra poterlo consolare. I problemi gli sembrano troppo grandi; non ne può più; ne ha paura e soprattutto è stanco. Nemmeno lui sa bene perché, ma non ce la fa più a camminare. Aveva compiuto grandi gesti: aveva sconfitto i nemici di Dio, ma le difficoltà si ripresentano e a lui non va più di lottare. Si sente abbattuto nel profondo: si mette a sedere sotto una ginestra e si rivolge comunque a Dio. È anche questa una preghiera! È desideroso di morire, dice: «Basta Signore, prendi la mia vita».

Quante volte l’amarezza, le delusioni, segnano il cuore degli uomini! Alcune volte sono ferite antiche che riemergono, fantasmi che spaventano, anche dopo anni; oppure è il senso acuto della propria meschinità, la delusione dopo tante agitazioni, dei tanti pani cercati e che non hanno risolto la nostra fame. È un sentimento di tristezza profonda, che fa svanire le energie del cuore, rende insopportabile il cammino, la speranza un’illusione, tanto che sembra senza senso continuare a camminare. I problemi si ripresentano ed io sono sempre lo stesso. Qualche volta sentiamo l’inutilità dei nostri sforzi, come quando si ripresentano dubbi antichi, incredibili dopo anni oppure scopriamo la debolezza, il dovere dipendere, la forza dei nemici che appaiono resistenti e per certi versi più forti della nostra debole volontà. È un misto di rivendicazione e di tristezza; di inquietudine e di pigrizia; di amarezza e di orgoglio, di disperazione e di insoddisfazione. Gli sembra più vero smettere, come se continuare fosse ingannare ed ingannarsi. È caduto in una depressione e vive come sprofondato nel passato. Non vede più il futuro né la speranza. Si blocca la percezione del cambiamento; si sprofonda nelle cose avvenute che non mutano mai, i limiti personali sono una condanna. Non chiede aiuto perché pensa che tutto sia inutile e la rassegnazione, come una nebbia, nasconde tutti i tratti personali e del prossimo. Non trova più nessun senso ma non sa affidarsi, farsi aiutare. Si sente solo, anche se non lo è, e pensa che è inutile o troppo esigente essere buoni, sforzarsi. Dorme. Non sa affrontare l’abisso del cuore nel quale si sente sprofondato.

È la stessa tristezza di Pietro, Giacomo e Giovanni nell’orto degli ulivi, di fronte a qualcosa di troppo grande che fa misurare la propria debolezza, la fatica, che schiaccia la nostra debolezza. Non si può continuare così! In fondo è anche insofferente: il cuore diventa intrattabile, aggressivo, egocentrico, vittimista; giudica tutto, anche se stesso, con fastidio; è disamorato ma presuntuoso, vuole trovare una soluzione a qualsiasi costo, anche quello di lasciare tutto. «Ho deluso gli altri e me stesso; volevo essere diverso e mi ritrovo con le stesse contraddizioni e limiti; cosa ho fatto di buono?». Ha paura ed è orgoglioso; è triste, ma non cerca consolazione; si scopre contraddittorio e si vorrebbe perfetto. La soluzione non viene da sé, ma dall’angelo. È il pane dell’amore che ci cambia! L’angelo non lo tratta da malato, non lo medicalizza, non lo anestetizza, lo nutre! Sperimenta il dolore, non sa come fare e si addormenta. Ma il dolore non si vince con l’anestesia, scappando dalla vita, ma affrontandolo con la forza dell’amore. Il benessere non è una vita che cancella la sofferenza, ma la affronta e la vince. Dio non ci lascia vivere la sofferenza da soli, ha sempre compassione e col suo pane ci dona il suo amore più forte del male. Due volte l’angelo dovette ripetere con dolce insistenza il suo invito. Dio comprende nel profondo, più di noi stessi. È paziente verso Elia; calmo; non lo asseconda nello sconforto; non offre risposte immediate, rapide. Non lo rimprovera con un giudizio negativo o svalutante; non gli impone un dovere ma anche non lo lascia nel suo sonno e nella sua malinconica tristezza. Dio sa che non ci si libera facilmente dall’amarezza, dalla tristezza, dalla delusione. Sa che occorre una presenza buona per recuperare senso, desiderio, speranza, forza. Elia trova se stesso lasciando di volere bene così com’è. Non serve un cibo speciale, risolutivo, straordinario: gli offre del pane, con amore. Elia nutrito dal cibo più semplice, comune, segno della premura di Dio, ritrova la forza e riprende il cammino verso l’Oreb, il Sinai, il monte dell’alleanza.

Lasciamoci nutrire dal Pane di Gesù, pane dell’Eucarestia, della Parola e dei poveri, che nutre la nostra vita e diventa il pane del cammino. Dio non ci abbandona e spera anche quando pensiamo non ci sia più futuro possibile. È pane della carità, quel pane di solo amore che Gesù offre donando se stesso. «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato ed ha dato se stesso per noi». Nutriamoci e trasformiamo il suo pane in amore per tutti. Pane che dura per sempre e nel quale c’è già la vera vittoria.

Romena (AR)
08/08/2021
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